tonysierra
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martedì 12 febbraio 2013
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compagno di disavventura
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Il film è stato fatto molto bene, anche se la tigre era molto feroce, in questa disavventura instaura con Pi una sorta di compromesso per la sopravvivenza di entrambi.
Bella la storia, belle le ambientazioni e le immagini della natura, in questo film ci si abbandona ed immedesima nel personaggio di Pi
Non ho condiviso la scelta di non far voltare la tigre a guardare Pi nel momento dell'approdo nell'isola, voglio immaginare che andasse incontro a Pi nella foresta.
Consiglio la visione
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linus2k
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domenica 23 dicembre 2012
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il capolavoro di ang lee
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Cosa significa credere? Qual'è il significato di fede? E da questo che Pi ed il suo interlocutore partono per un favoloso ed incredibile viaggio indietro nel tempo e attraverso fatti che hanno dell'incredibile.
Del film "Vita di Pi", tratto dal best seller di Yann Martel, se ne parla da tantissimo tempo. Lo avrebbe dovuto girare Jeunet ma il suo progetto venne bloccato dal lievitare dei costi di produzione.
La sfida era immensamente complicata ed ardua: raccontare della vita di un mare di un ragazzino indiano naufrago con una tigre. Ardua sia in termini tecnici ed anche in termini di pubblico: la storia è tanto strana e difficile da far dubitarne la resa in termini cinematografici.
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Cosa significa credere? Qual'è il significato di fede? E da questo che Pi ed il suo interlocutore partono per un favoloso ed incredibile viaggio indietro nel tempo e attraverso fatti che hanno dell'incredibile.
Del film "Vita di Pi", tratto dal best seller di Yann Martel, se ne parla da tantissimo tempo. Lo avrebbe dovuto girare Jeunet ma il suo progetto venne bloccato dal lievitare dei costi di produzione.
La sfida era immensamente complicata ed ardua: raccontare della vita di un mare di un ragazzino indiano naufrago con una tigre. Ardua sia in termini tecnici ed anche in termini di pubblico: la storia è tanto strana e difficile da far dubitarne la resa in termini cinematografici.
Ang Lee credo che abbia risolto il tutto in maniera eccelsa, realizzando forse il suo film più bello.
E per bello intendo in tutti i sensi.
"Vita di Pi" è in primis uno immenso spettacolo per gli occhi: dalle prime scene si assiste ad una fotografia ampia, limpida, avvolgente. Immagini di una bellezza raramente riviste sul grande schermo si susseguono in un trionfo per gli occhi che non ricordo da tempo (consiglierei il 3D, utilizzato in questa pellicola in maniera magistrale). Gli sfumati nei flashback, le spettacolari scene in mare aperto, le oniriche riprese che confondono realtà con immaginazione, tutto in "Vita di Pi" funziona per immergere lo spettatore in questo immenso spettacolo e confondergli sufficientemente le idee tra reale e fantastico.
Niente è abusato, tutto ben dosato, anche l'effetto speciale è funzionale al film e non al voler colpire a tutti i costi (difetto frequente in Hollywood).
La cosa bella però è che, oltre alla splendida confezione, il film è ricco di messaggi, metafore, contenuti e richiami, uno di quei film così densi che potrebbero richiedere persino una seconda visione. E' una grande storia sulla fede, sulle religioni, sul rapporto con gli animali, con la Natura (non solo in senso ambientale, ma anche con la propria natura umana), sul coraggio, sulla dominanza della nostra parte aggressiva, sul divino e sul razionale. Un film che continua a farti pensare e discutere fuori dalla sala cinematografica.
E per far questo tutti i registri sono usati, l'avventura, la tensione, scene più leggere e ironiche, l'onirismo più alto.
Vita di Pi è un film da vedere ed amare e non vedere superficialmente.
...e sulla prima domanda, "cosa significa credere?", ascoltate le parole di Pi... alla fine del film
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sasa61
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domenica 6 gennaio 2013
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un film dolce e poetico
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Film piacevole e poetico. Una storia originale arricchita dagli effetti speciali di un bel 3D. L'adolescente sulla barca in mezzo all'oceano è la rappresentazione del viaggio della vita che tutti dobbiamo compiere, solitario, pieno di prove fisiche e psicologiche. La tigre è la rappresentazione dei nostri pensieri negativi e delle nostre paure che dobbiamo sconfiggere e imparare a controllare. Quando la tigre si inoltra nella giungla, anche ciò che rappresentava sparisce. Per sempre.
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sarina1986
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giovedì 27 dicembre 2012
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pi: poesia nell'epoca del 3d.
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A chi era scettico nei confronti del 3D, o quantomeno mai pienamente appagato dai tentativi degli ultimi anni, adesso posso finalmente dire che le cose sono veramente cambiate. Evidentemente ci voleva Ang Lee. Perchè se prima era solo un pretesto per farci balzare sulla poltrona dalla sensazione di "contatto" con immagini strabilianti ma spesso fini a se stesse, con Vita di Pi la terza dimensione diventa attiva nei confronti della storia. Che poi, oltre a questo, sia anche una gioia per gli occhi, un trionfo di immagini oniriche che sfondano il limite dello schermo, è indubbio. Complice di questo cambiamento è la vicenda semplice e poetica, il meraviglioso esempio di sopravvivenza del giovane naufrago Pi, che da solo su una scialuppa di salvataggio, si tiene aggrappato alla vita con l'istinto e la forza di un animale feroce.
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A chi era scettico nei confronti del 3D, o quantomeno mai pienamente appagato dai tentativi degli ultimi anni, adesso posso finalmente dire che le cose sono veramente cambiate. Evidentemente ci voleva Ang Lee. Perchè se prima era solo un pretesto per farci balzare sulla poltrona dalla sensazione di "contatto" con immagini strabilianti ma spesso fini a se stesse, con Vita di Pi la terza dimensione diventa attiva nei confronti della storia. Che poi, oltre a questo, sia anche una gioia per gli occhi, un trionfo di immagini oniriche che sfondano il limite dello schermo, è indubbio. Complice di questo cambiamento è la vicenda semplice e poetica, il meraviglioso esempio di sopravvivenza del giovane naufrago Pi, che da solo su una scialuppa di salvataggio, si tiene aggrappato alla vita con l'istinto e la forza di un animale feroce. Appunto. Perchè, come dire, proprio solo non è. Compagno di avventure un maschio di tigre del bengala, fiore all'occhiello dello zoo del padre, che con loro viaggiava sulla nave. Una convivenza forzata che, da pericolo per la vita del ragazzo, si trasforma progressivamente nella sua salvezza. L'animale diventa una proiezione di se stesso, del suo istinto primordiale di sopravvivenza, dei suoi bisongni necessari, la fame e la sete, che diventano gli unici. Filo conduttore della storia la fortissima spiritualità di Pi, confuso seguace di molte religioni: la fede lo distingue dalla bestia, o meglio possiamo dire che quest'ultima, impaurita durante la tempesta, rappresenta la parte di lui che non coglie la potenza di un Dio nella furia e nella meraviglia del "selvaggio" mondo dell'oceano. Un mondo popolato di esseri straordinari, sempre al limite tra realtà e fervida immaginazione, frutto del genio visionario del regista. Quindi poesia, spiritualità, sogno e speranza che si concilano perfettamente a sorprendenti effetti speciali mai ostentati e ad un 3D che, come dicevamo, non è più accessorio, bensì indispensabile per godersi in pieno la storia, entrarci dentro e coglierne il significato. Perchè sì, la poesia può davvero sopravvivere, anche nell'epoca del 3D.
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andrea giostra
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martedì 1 gennaio 2013
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la speranza e la fede salveranno l'uomo.
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Vita di Pi (2012)
Straordinaria e spettacolare metafora della vita dell’uomo, delle emozioni devastanti e dei moti d’animo ri-nascenti che l’attraversano dalla nascita alla morte terrena.
Sono la sintesi e la semplicità descrittiva gli elementi che fanno del film di Ang Lee un’opera d’arte - nel senso cinematografico del termine – che sa colpire al cuore lo spettatore in modo indolore e subliminale. Salvo poi, quando alla fine i titoli cominciano a scorrere sul grande schermo, costringerlo a riflettere sul significato del film, a renderlo consapevole, lentamente, che il messaggio è arrivato e che questo messaggio è silenziosamente fragoroso all’interno della sua “anima”, della sua sensibilità di essere umano.
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Vita di Pi (2012)
Straordinaria e spettacolare metafora della vita dell’uomo, delle emozioni devastanti e dei moti d’animo ri-nascenti che l’attraversano dalla nascita alla morte terrena.
Sono la sintesi e la semplicità descrittiva gli elementi che fanno del film di Ang Lee un’opera d’arte - nel senso cinematografico del termine – che sa colpire al cuore lo spettatore in modo indolore e subliminale. Salvo poi, quando alla fine i titoli cominciano a scorrere sul grande schermo, costringerlo a riflettere sul significato del film, a renderlo consapevole, lentamente, che il messaggio è arrivato e che questo messaggio è silenziosamente fragoroso all’interno della sua “anima”, della sua sensibilità di essere umano.
I piani di lettura di Lee sono molteplici e si succedono repentini intrecciandosi ripetutamente, quasi a voler confondere lo spettatore, obbligandolo a cambiare celermente punto di vista, prospettiva, griglia di lettura, matrice interpretativa. Gli “elementi primari” con i quali Lee ha creato questa sua “meravigliosa opera” – nel senso che per lunghi tratti il film rappresenta una “realtà filmica” meravigliosamente (wondrous things!) onirica e ipnotizzante – sono tanti, ma rimangono incontaminati e sempre chiaramente riconoscibili in ogni momento del film: allegorici e metafisici, politici e religiosi, etici e morali, ludici ed esistenziali, sentimentali e razionali, passionali e cinici, opportunistici e altruistici, darwiniani e cristiano/musulmano/induisti. Già questo risultato riuscirebbe ad ergere il film come uno dei migliori dell’anno del Signore 2012.
Ma a Lee questo già straordinario risultato non è bastato!
Dopo aver costruito una preliminare cornice narrativa apparentemente scontata, Lee fa entrare in scena il naufrago protagonista del film, il giovanissimo e bravissimo Suraj Sharma, che, provando a rinnegare la dolorosissima tragedia del naufragio subìto, e non potendo cancellare le improvvise e laceranti ferite lasciate dal dolore inflittogli dall’improvvisa perdita dei suoi familiari, trasforma lentamente il suo terribile pathos interiore nella fantastica avventura evolutiva e spirituale dell’uomo di ogni tempo.
Tra imprevedibili peripezie, inaspettati e pericolosi attacchi mortali, minacciosi uragani e tempeste oceaniche, in Sharma prendono irruentemente e prepotentemente il sopravvento, per condurlo alla salvezza di giovane naufrago, l’ancòra ignorato istinto di sopravvivenza, la fiducia sempre più vigorosa nel proprio talento, la forza umana che si sprigiona dall’immenso amore ricevuto dai suoi cari oramai persi per sempre. Sono la speranza e la fede in Dio i porti sicuri nei quali ci dobbiamo rifugiare nei “momenti di tempesta”. E’ questa la rotta di vita e l’àncora di salvezza terrena, prima ancora che divina, che magnificamente con un film fantastico traccia Lee: solo la fede e la speranza possono farci superare i momenti di grande dolore, i momenti in cui tristi ci sentiamo soli al mondo, i momenti in cui abbiamo irrimediabilmente perso ogni cosa. Solo la fede e la speranza possono darci la giusta spinta vitale, dopo le “terribili sciagure” subìte, per gustare con passione ed entusiasmo la nostra vita, e dare un senso compiuto alla nostra esistenza terrena.
PS – E’ interessante conoscere la genesi del romanzo e della storia narrata nel film di Lee.
Intorno agli anni novanta lo scrittore e viaggiatore canadese Yann Martel, leggendo una recensione di John Updike sul “New York Times Review of Books”, viene a conoscenza dell’ultimo romanzo dello scrittore brasiliano Moacyr Scliar, che narra la storia di una famiglia ebrea che nel 1933 gestisce uno zoo a Berlino. A causa della crisi economica di quegli anni, la famiglia decide di emigrare in Brasile portando con se tutti gli animali dello zoo, trasportandoli su una grande nave mercantile. Durante il viaggio, però, la nave affonda. Gli unici superstiti, che si ritrovano su una scialuppa in mezzo all’oceano, sono un ebreo e una pantera nera. E’ chiara l’allegoria della storia di Scliar: la pantera nera rappresenta il temuto regime nazista.
Cinque anni dopo, durante il suo secondo viaggio in India, mentre ammira la splendida vista sulla pianura di Bombay dalla silenziosa e isolata stazione arroccata sulla collina di Matheran, Martel ha l’ispirazione. Prendendo spunto dalla premessa della storia di Scliar, nella sua mente improvvisamente esplodono le idee per quello che già allora immagina il romanzo della sua vita. Martel ha due protagonisti principali: un ragazzo indiano e una tigre del Bengala che per 277 giorni dovranno condividere una scialuppa di salvataggio in mezzo all’oceano. Tre le caratteristiche umane che vuole impersonare nella sua storia: la iena (la vigliaccheria), l’orango tango (l’istinto materno), la zebra (l’esoterismo), che si ritrovano, assieme a Pi e a Richard Parker, sulla scialuppa.
Richard Parker è il nome che Martel dà alla “sua” tigre del Bengale. Richard Parker è il nome di diversi naufraghi di epoca vittoriana, alcuni realmente esistiti, cannibalizzati o uccisi in mare dai loro stessi compagni di sventura. Il più noto è quello raccontato nel 1838 nell’unico romanzo di Edgard Allan Poe dal titolo “the Adventures of Arthur Gordon Pym”. Altri Richard Parker naufraghi cannibalizzati o impiccati in mare, si succedono negli anni: 1797, Richard Parker marinaio, capo rivolta di uno dei due grandi ammutinamenti della Royal Navy vittoriana passati alla storia come “Spithead and Nore mutinies”; 1846, Richard Parker apprendista, naufrago del “Francis Spaight”; 1884, Richard Parker mozzo, naufrago della “Mignonette”.
(recensione di Andrea Giostra)
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[+] poesia e crudeltà della vita
(di irmana)
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andrea giostra
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martedì 1 gennaio 2013
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la speranza e la fede salveranno l'uomo.
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Vita di Pi (2012)
Straordinaria e spettacolare metafora della vita dell’uomo, delle emozioni devastanti e dei moti d’animo ri-nascenti che l’attraversano dalla nascita alla morte terrena.
Sono la sintesi e la semplicità descrittiva gli elementi che fanno del film di Ang Lee un’opera d’arte - nel senso cinematografico del termine – che sa colpire al cuore lo spettatore in modo indolore e subliminale. Salvo poi, quando alla fine i titoli cominciano a scorrere sul grande schermo, costringerlo a riflettere sul significato del film, a renderlo consapevole, lentamente, che il messaggio è arrivato e che questo messaggio è silenziosamente fragoroso all’interno della sua “anima”, della sua sensibilità di essere umano.
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Vita di Pi (2012)
Straordinaria e spettacolare metafora della vita dell’uomo, delle emozioni devastanti e dei moti d’animo ri-nascenti che l’attraversano dalla nascita alla morte terrena.
Sono la sintesi e la semplicità descrittiva gli elementi che fanno del film di Ang Lee un’opera d’arte - nel senso cinematografico del termine – che sa colpire al cuore lo spettatore in modo indolore e subliminale. Salvo poi, quando alla fine i titoli cominciano a scorrere sul grande schermo, costringerlo a riflettere sul significato del film, a renderlo consapevole, lentamente, che il messaggio è arrivato e che questo messaggio è silenziosamente fragoroso all’interno della sua “anima”, della sua sensibilità di essere umano.
I piani di lettura di Lee sono molteplici e si succedono repentini intrecciandosi ripetutamente, quasi a voler confondere lo spettatore, obbligandolo a cambiare celermente punto di vista, prospettiva, griglia di lettura, matrice interpretativa. Gli “elementi primari” con i quali Lee ha creato questa sua “meravigliosa opera” – nel senso che per lunghi tratti il film rappresenta una “realtà filmica” meravigliosamente (wondrous things!) onirica e ipnotizzante – sono tanti, ma rimangono incontaminati e sempre chiaramente riconoscibili in ogni momento del film: allegorici e metafisici, politici e religiosi, etici e morali, ludici ed esistenziali, sentimentali e razionali, passionali e cinici, opportunistici e altruistici, darwiniani e cristiano/musulmano/induisti. Già questo risultato riuscirebbe ad ergere il film come uno dei migliori dell’anno del Signore 2012.
Ma a Lee questo già straordinario risultato non è bastato!
Dopo aver costruito una preliminare cornice narrativa apparentemente scontata, Lee fa entrare in scena il naufrago protagonista del film, il giovanissimo e bravissimo Suraj Sharma, che, provando a rinnegare la dolorosissima tragedia del naufragio subìto, e non potendo cancellare le improvvise e laceranti ferite lasciate dal dolore inflittogli dall’improvvisa perdita dei suoi familiari, trasforma lentamente il suo terribile pathos interiore nella fantastica avventura evolutiva e spirituale dell’uomo di ogni tempo.
Tra imprevedibili peripezie, inaspettati e pericolosi attacchi mortali, minacciosi uragani e tempeste oceaniche, in Sharma prendono irruentemente e prepotentemente il sopravvento, per condurlo alla salvezza di giovane naufrago, l’ancòra ignorato istinto di sopravvivenza, la fiducia sempre più vigorosa nel proprio talento, la forza umana che si sprigiona dall’immenso amore ricevuto dai suoi cari oramai persi per sempre. Sono la speranza e la fede in Dio i porti sicuri nei quali ci dobbiamo rifugiare nei “momenti di tempesta”. E’ questa la rotta di vita e l’àncora di salvezza terrena, prima ancora che divina, che magnificamente con un film fantastico traccia Lee: solo la fede e la speranza possono farci superare i momenti di grande dolore, i momenti in cui tristi ci sentiamo soli al mondo, i momenti in cui abbiamo irrimediabilmente perso ogni cosa. Solo la fede e la speranza possono darci la giusta spinta vitale, dopo le “terribili sciagure” subìte, per gustare con passione ed entusiasmo la nostra vita, e dare un senso compiuto alla nostra esistenza terrena.
PS – E’ interessante conoscere la genesi del romanzo e della storia narrata nel film di Lee.
Intorno agli anni novanta lo scrittore e viaggiatore canadese Yann Martel, leggendo una recensione di John Updike sul “New York Times Review of Books”, viene a conoscenza dell’ultimo romanzo dello scrittore brasiliano Moacyr Scliar, che narra la storia di una famiglia ebrea che nel 1933 gestisce uno zoo a Berlino. A causa della crisi economica di quegli anni, la famiglia decide di emigrare in Brasile portando con se tutti gli animali dello zoo, trasportandoli su una grande nave mercantile. Durante il viaggio, però, la nave affonda. Gli unici superstiti, che si ritrovano su una scialuppa in mezzo all’oceano, sono un ebreo e una pantera nera. E’ chiara l’allegoria della storia di Scliar: la pantera nera rappresenta il temuto regime nazista.
Cinque anni dopo, durante il suo secondo viaggio in India, mentre ammira la splendida vista sulla pianura di Bombay dalla silenziosa e isolata stazione arroccata sulla collina di Matheran, Martel ha l’ispirazione. Prendendo spunto dalla premessa della storia di Scliar, nella sua mente improvvisamente esplodono le idee per quello che già allora immagina il romanzo della sua vita. Martel ha due protagonisti principali: un ragazzo indiano e una tigre del Bengala che per 277 giorni dovranno condividere una scialuppa di salvataggio in mezzo all’oceano. Tre le caratteristiche umane che vuole impersonare nella sua storia: la iena (la vigliaccheria), l’orango tango (l’istinto materno), la zebra (l’esoterismo), che si ritrovano, assieme a Pi e a Richard Parker, sulla scialuppa.
Richard Parker è il nome che Martel dà alla “sua” tigre del Bengale. Richard Parker è il nome di diversi naufraghi di epoca vittoriana, alcuni realmente esistiti, cannibalizzati o uccisi in mare dai loro stessi compagni di sventura. Il più noto è quello raccontato nel 1838 nell’unico romanzo di Edgard Allan Poe dal titolo “the Adventures of Arthur Gordon Pym”. Altri Richard Parker naufraghi cannibalizzati o impiccati in mare, si succedono negli anni: 1797, Richard Parker marinaio, capo rivolta di uno dei due grandi ammutinamenti della Royal Navy vittoriana passati alla storia come “Spithead and Nore mutinies”; 1846, Richard Parker apprendista, naufrago del “Francis Spaight”; 1884, Richard Parker mozzo, naufrago della “Mignonette”.
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johnny1988
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lunedì 24 dicembre 2012
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se non ci credi, puoi vederlo in bianco e nero.
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“Il nuovo Avatar”, “una fiaba indiana dal sapore religioso” sono alcune delle definizioni con cui la stampa ha promosso la nuova opera di Ang Lee sul piano internazionale. Al volgere di un anno che si è profilato carico di ansie apocalittiche, sovreccitato dalla crisi economica e da una massificazione delle tecnologie digitali, spunta un film che si faceva già aspettare da anni. Vita di Pi è stato un'impresa che solo Ang Lee, dopo anni di staffetta, ha avuto il coraggio di realizzare. La storia prende ispirazione da una vecchia fiaba indiana, densa di religiosità e di spirito d'avventura, in cui universo e singolo, ignoto ed esperibile finiscono per fondersi in una danza cosmica e purificatoria.
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“Il nuovo Avatar”, “una fiaba indiana dal sapore religioso” sono alcune delle definizioni con cui la stampa ha promosso la nuova opera di Ang Lee sul piano internazionale. Al volgere di un anno che si è profilato carico di ansie apocalittiche, sovreccitato dalla crisi economica e da una massificazione delle tecnologie digitali, spunta un film che si faceva già aspettare da anni. Vita di Pi è stato un'impresa che solo Ang Lee, dopo anni di staffetta, ha avuto il coraggio di realizzare. La storia prende ispirazione da una vecchia fiaba indiana, densa di religiosità e di spirito d'avventura, in cui universo e singolo, ignoto ed esperibile finiscono per fondersi in una danza cosmica e purificatoria. Pi, già grande e con famiglia, racconta il suo viaggio dall'India al Canada come una lunga costellazione di prove, un viaggio verso il passaggio all'età adulta, su una scialuppa e in compagnia di una tigre del Bengala. Se il percorso inizia come un naufragio e una prova di sopravvivenza, presto esso si tramuterà per il giovane nella ricerca dell'identità e della vita. Tutto parte come una fiaba che si misura con l'idea della fede, una fede che non conosce confini di religione e di cultura, ma che viene messa alla prova solo quando ogni certezza è fragile. E come Pi cerca di conoscere se stesso attraverso gli occhi della tigre, così Ang Lee spalanca a noi una soglia su un universo spettacolare, con la semplicità surreale del suo stile e con la sua placida bellezza, in ideale equilibrio fra lo spettacolo d'intrattenimento e la profondità dei contenuti. Vita di Pi non si limita sul piano fiabesco, né semplicemente su quello favolistico: Pi non cerca la felicità, né cerca di ammonire i vizi e le virtù umane. La sua storia è, piuttosto, una parabola sulla vita, espressa nella sua forma più ancestrale e spuria. Qui l'uomo è una sorta di piccolo ladro di Bagdad che cerca di cogliere l'essenza dell'universo, si misura con i propri limiti e con la propria natura, affettuosa, ma anche aggressiva: Pi, senza la tigre, in effetti, non sopravvivrebbe. Spetta allo spettatore singolo scegliere a quale versione credere della storia di Pi, se a quella fiabesca con gli animali o a quella più realistica con gli esseri umani. Il resto è meraviglia per gli occhi.
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motorocco
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sabato 29 dicembre 2012
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grandi effetti, ma le emozioni...
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Precisiamo subito. Il film vale le due ore che dura, il 3D, che personalmente non mi fa impazzire, è utilizzato molto bene e tutto l'impianto tecnico è veramente bello. Le scene delle tempeste sono estremamente coinvolgenti, la tigre fantastica e molte sequenze oniriche sono decisamente di grande effetto. Mi ha lasciato perplesso personalmente quando nelle scene finali vuole stupire e volendo spiegare troppo crea incongruenze e confusione. Come moltissimi film americani che prima della fine devono chiarire bene gli intenti della produzione e fare la lezioncina! Ma perchè? Così si mette una briglia alla fantasia dello spettatore, che forse con qualche spunto sfumato avrebbe potuto proiettarsi a proprio modo sulla scialuppa emozionandosi.
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Precisiamo subito. Il film vale le due ore che dura, il 3D, che personalmente non mi fa impazzire, è utilizzato molto bene e tutto l'impianto tecnico è veramente bello. Le scene delle tempeste sono estremamente coinvolgenti, la tigre fantastica e molte sequenze oniriche sono decisamente di grande effetto. Mi ha lasciato perplesso personalmente quando nelle scene finali vuole stupire e volendo spiegare troppo crea incongruenze e confusione. Come moltissimi film americani che prima della fine devono chiarire bene gli intenti della produzione e fare la lezioncina! Ma perchè? Così si mette una briglia alla fantasia dello spettatore, che forse con qualche spunto sfumato avrebbe potuto proiettarsi a proprio modo sulla scialuppa emozionandosi.
Ho letto di molta attenzione al misticismo e alla ricerca di Dio...Io ho visto però un altro punto fulcrale nel film: il cammino di un uomo verso l'età adulta, attraverso il confronto con il lato oscuro che è in noi che viene continuamente e conflittualmente tenuto più o meno sotto controllo dalla razionalità. Interessante metafora, ben sviluppata dal rapporto ragazzo tigre.
Complessivamente un bel film, attuale, ben congegnato con grandi dispendio di mezzi e energie.
Personalmente però sono convinto che un film per emozionare profondamente abbia bisogno di molti meno mezzi, ma di più idee e soprattutto di più poesia.
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(di toto12)
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