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giulio vivoli
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domenica 28 ottobre 2012
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le belve ammaestrate
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Un Oliver Stone colpito da Tarantinite acuta firma un action movie in salsa glamour e modaiola probabilmente graditissimo ai giovani lettori di Don Wislow, meno ai fans di chi si innamorarono del regista di Wall Street, Platoon, Nato il 4 Luglio, JFK e World Trade Center, autentici capolavori di arte cinematografica e vicende di grande presa narrativa.
Ne Le Belve c'e' sicuramente una grande ricerca stilistica di inquadrature perfette a volte da cartolina from California, compresi gli interni di ville sul mare arredate con perfetto gusto contemporaneo, ma questo manierismo accompagnato da scene e dialoghi cool in stile videoclippato, rendono il film poco emozionante e privo di tensione.
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Un Oliver Stone colpito da Tarantinite acuta firma un action movie in salsa glamour e modaiola probabilmente graditissimo ai giovani lettori di Don Wislow, meno ai fans di chi si innamorarono del regista di Wall Street, Platoon, Nato il 4 Luglio, JFK e World Trade Center, autentici capolavori di arte cinematografica e vicende di grande presa narrativa.
Ne Le Belve c'e' sicuramente una grande ricerca stilistica di inquadrature perfette a volte da cartolina from California, compresi gli interni di ville sul mare arredate con perfetto gusto contemporaneo, ma questo manierismo accompagnato da scene e dialoghi cool in stile videoclippato, rendono il film poco emozionante e privo di tensione.
Eppure la vicenda del narcotraffico violento ed efferato si presterebbe al caso (ricordate Traffic di Soderberg sempre con Benicio del Toro,che coincidenza!), ma che credibilita' puo' avere una coppia d'affari formata da un reduce dell'Afganistan e un laureato masterizzato in felpa tipo Zuckenberg che s'inventano in laboratorio la migliore erba in commercio fino a sfidare il cartello messicano, affiancati da un direttore finanziario in perfetta tenuta da biker con tanto di mountain bike? La similitudine della start up di successo fondata dalle giovani menti della Silicon Valley come se fosse una Apple, un'Amazon o una Microsoft e' roba da ridere che non sta in piedi e neanche a quattro zampe!
Dopo la prima mezz'ora che in realta' prometteva bene, tra scene di menage a trois-The Dreamers alternate a quelle di tortura-Garage Olimpo, dalle teste mozzate e sparse per terra con ordine quasi geometrico in poi si capisce dove si vuole andare a parare e da quel momento si incrociano le braccia e si accetta lo spettacolo finto e poco realistico, detto anche americanata tecnicamente ineccepibile.
Si arriva cosi' al finale non lieto ma lietissimo, dopo l'ennessima illusione del colpo di scena cattivo, corretto immediatamente da un ripensamento sliding door tanto improbabile quanto in tono con il resto del fumettone.
Gli attori sono piu' bravi dei doppiatori, d'altra parte il cinema americano non pecca mai di professionalita', qualche volta di credibilita'.
Mr. Stone, please do it again!
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[+] ma non era un "plutarco" di hollywood?
(di no_data)
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gabriele.vertullo
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domenica 28 ottobre 2012
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platoon in wall street
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Dopo averlo lasciato con l’ambizioso e claudicante Wall Street-I soldi non dormono mai, il regista Oliver Stone torna al cinema con Le Belve, film che solo apparentemente diverge per soggetto e tematiche dal precedente, ma che in realtà è preparato con gli stessi ingredienti: affari illeciti, contrasti tra business e tanti personaggi corrotti. Questa volta però l’ opera del regista si rivela decisamente più convincente e selvaggio, perché, se vogliamo dirla con la filmografia stoniana,Le Belve è Platoon in Wall Strett.
Siamo nel paradiso di Laguna Beach, dove il botanico filantropo Ben (un sempre più maturo Aaron Johnson) e il freddo soldato Chon (il sempre tosto Taylor Kitsch) conducono una vita doviziosa e poligamica insieme a Ophelia “O” (una Blake Lively ancora in cerca della consacrazione cinematografica), coltivando e spacciando la migliore marijuana del pianeta.
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Dopo averlo lasciato con l’ambizioso e claudicante Wall Street-I soldi non dormono mai, il regista Oliver Stone torna al cinema con Le Belve, film che solo apparentemente diverge per soggetto e tematiche dal precedente, ma che in realtà è preparato con gli stessi ingredienti: affari illeciti, contrasti tra business e tanti personaggi corrotti. Questa volta però l’ opera del regista si rivela decisamente più convincente e selvaggio, perché, se vogliamo dirla con la filmografia stoniana,Le Belve è Platoon in Wall Strett.
Siamo nel paradiso di Laguna Beach, dove il botanico filantropo Ben (un sempre più maturo Aaron Johnson) e il freddo soldato Chon (il sempre tosto Taylor Kitsch) conducono una vita doviziosa e poligamica insieme a Ophelia “O” (una Blake Lively ancora in cerca della consacrazione cinematografica), coltivando e spacciando la migliore marijuana del pianeta. Tutto sembra così piacevole e perfetto, fino a quando la crudele (ma soprattutto rifiutata) Elena, signora del principale cartello messicano della droga, è determinata a ottenere la collaborazione dei due giovani; ottenendo un rifiuto Ophelia viene rapita.
Le Belve è un minestrone cinematografico d’inaspettato equilibrio, un’opera personalissima in cui l’intervento diretto del regista appare in superficie. Ogni sequenza è manovrata con incredibile perizia e sicurezza, senza rinunciare alla carica esplosiva della storia: Oliver Stone inserisce elementi dalla notevole spinta centrifuga, ma tessuti con estrema coesione e funzionalità, rivelando un consapevole dominio della materia. La violenza costituisce l’ossatura della vicenda, ma viene escluso ogni suo uso gratuito ed eccessivo, anche nelle scene più cruenti; per una storia che non è solo crudele e sanguinosa, ma anche sentimentale, passionale, fraterna e a tratti paradossale; supportata da un corredo musicale straordinariamente eclettico, a giustificazione delle molte sfaccettature del film.
Una componente caratteristica e dialettica del film è il confronto/scontro tra il mondo messicano e lo scenario californiano, spesso presentati in modo stilizzato: le belle ville con piscina e le popolate spiagge americane si oppongono alla grande reggia messicana di Elena corredata da statuine sacrali e molteplici teschi in stile Inquisizione spagnola. Il personaggio più confacente a quest’ultimo registro è un Benicio Del Toro brutale e spietato, in grado di mettere in ombra tutti gli altri personaggi.
Ciò che lascia un po’ perplessi è il (doppio) finale della storia, che non si adegua (in parte) alle aspettative dello spettatore, e che forse tradisce troppa sicurezza e un pizzico di pretenziosità da parte del regista.
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taxidriver
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lunedì 29 ottobre 2012
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il sogno di stone: ritornare alla natura
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Oliver Stone ci regala un film avvincente, che tiene col fiato sospeso, un film "forte" che sfida la realtà con una trama intricata, chiassosa, caotica. Questo è Stone, prendere o lasciare: non ci sono mezze misure. Il cinema d'autore, le inquadrature alliucinate, la narrazione introspettiva, si mescolano con l'action-movie puro, con sparatorie degne di un Tarantino, con scene di violenza pazzesca. Tutto è (volutamente) esagerato, sconvolgente, sanguigno (e di sangue ne scorre a fiumi). La trama tutto sommato offre spunti di riflessione interessanti, per esempio sull'uso e detenzione della cannabis, questa pianta dalle proprietà psicoattive, da sempre (o forse soltanto dalla rivoluzione controculturale dei Sessanta?) oggetto di controversie: pianta terapeutica, droga non conforme ai principi sociali e quindi vietata perchè non culturalmente accettata, o più semplicemente sostanza inutile e pericolosa? E poi il tema dell'amore, qui trasfigurato in uno strano triangolo (due uomini e una donna), ancora un tema controverso, una forma d'amore scandalosa per le convenzioni sociali dell'occidente.
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Oliver Stone ci regala un film avvincente, che tiene col fiato sospeso, un film "forte" che sfida la realtà con una trama intricata, chiassosa, caotica. Questo è Stone, prendere o lasciare: non ci sono mezze misure. Il cinema d'autore, le inquadrature alliucinate, la narrazione introspettiva, si mescolano con l'action-movie puro, con sparatorie degne di un Tarantino, con scene di violenza pazzesca. Tutto è (volutamente) esagerato, sconvolgente, sanguigno (e di sangue ne scorre a fiumi). La trama tutto sommato offre spunti di riflessione interessanti, per esempio sull'uso e detenzione della cannabis, questa pianta dalle proprietà psicoattive, da sempre (o forse soltanto dalla rivoluzione controculturale dei Sessanta?) oggetto di controversie: pianta terapeutica, droga non conforme ai principi sociali e quindi vietata perchè non culturalmente accettata, o più semplicemente sostanza inutile e pericolosa? E poi il tema dell'amore, qui trasfigurato in uno strano triangolo (due uomini e una donna), ancora un tema controverso, una forma d'amore scandalosa per le convenzioni sociali dell'occidente. Sembra quasi un film di protesta di un ex-hippie. Poi entrano in gioco i cattivi, che hanno la faccia da schiaffi di Benicio Del Toro, baffone e camicie sbottonate, ma anche la frangia nero-corvina di Salma Hayek. I cattivi, le mafie, i messicani che tagliano le teste dei nemici e le espongono come trofeo di guerra. Stone sogna un mondo pulito, un mondo immerso nella natura, un ritorno alla natura, allo stato primitivo, alla semplicità (e l'uso libero di marijuana sembra rientrare in questa visione). In effetti, è un film visionario, più per il messaggio che per le scene in se. E' chiaro che il mondo cattivo è quello dove girano i soldi, dove gli uomini sono affamati di potere, cioè il mondo capitalista, quello nostro. Il mondo buono, invece, è quello dei tranquilli ragazzi che fanno il loro lavoro (anche coltivare marijuana con una percentuale di THC del 33%), senza rompere le scatole a nessuno, ma anche quello dei sentimenti, dei legami disinteressati, dell'amore. E' di questo mondo che abbiamo bisogno, più che mai, in questa epoca buia e decadente.
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tony.stark
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sabato 10 novembre 2012
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il triangolo no, non l'avevamo considerato...
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Due giovani e la loro comune ragazza, Ofelia(la voce narrante della vicenda), se la spassano in California godendosi i lauti proventi della loro piccola impresa che produce "erba" di alta qualità; ma, perfino nei film, quando è troppo bello per essere vero allora non è destinato a durare. La redditizia attività risveglia infatti le invidie (e gli appetiti) dei famigerati cartelli messicani della droga: la fanciulla viene rapita e i due innamorati tra mille pericoli tenteranno di riconquistarla.Il film fonde l'aspetto sentimentale all' azione e alla violenza, anche se il ritmo poteva essere più incalzante, e la nostra coppia di eroi meritava un avversario più prestigioso della "regina" Elena,una donna che maschera col pugno di ferro il proprio fallimento come madre.
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Due giovani e la loro comune ragazza, Ofelia(la voce narrante della vicenda), se la spassano in California godendosi i lauti proventi della loro piccola impresa che produce "erba" di alta qualità; ma, perfino nei film, quando è troppo bello per essere vero allora non è destinato a durare. La redditizia attività risveglia infatti le invidie (e gli appetiti) dei famigerati cartelli messicani della droga: la fanciulla viene rapita e i due innamorati tra mille pericoli tenteranno di riconquistarla.Il film fonde l'aspetto sentimentale all' azione e alla violenza, anche se il ritmo poteva essere più incalzante, e la nostra coppia di eroi meritava un avversario più prestigioso della "regina" Elena,una donna che maschera col pugno di ferro il proprio fallimento come madre. La filantropia del più sensibile dei protagonisti non era necessaria, la differenza tra i due era già abbastanza marcata, così come il "tifo" per loro da parte del pubblico non era in discussione. L' epopea del principiante che, lavorando in proprio, umilia la concorrenza dei "classici" trafficanti di stupefacenti è un aspetto in comune con il più riuscito "American Gangster" di alcuni anni fa. Il doppio finale, che tra l'altro fuorvia lo spettatore in modo subdolo e scorretto, è la pecca maggiore del film: era meglio se la regia si fosse fermata al primo, con la morte un po' di tutti i personaggi, e con Ofelia che finalmente vedeva realizzato il suo nome shakesperiano, nell' estremo e romantico abbraccio con i suoi due uomini.Il lieto fine (che in realtà è più triste dell'altro) è invece in agguato, e dissolve la scena più epica della pellicola, coprendo d'altro canto di gloria la comparsa di lusso John Travolta. Peccato che gli immortali Butch Cassidy e Sundance Kid siano già stati citati nel film, perchè era già pronto per loro il titolo di questo commento. Pazienza. Voto:3/5
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oropilla
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lunedì 29 ottobre 2012
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non basta un cast 'stellare'...
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E' sempre più frequente riscontrare prodotti cinematografici americani, che investono tutto su cast di indiscutibile bravura impegnato ad interpretare sceneggiature mediocri...si stenta a credere che ‘Le Belve’ porti la firma di Oliver Stone.
Una storia narrata dalla protagonista,’O’ (Blake Lively) bionda californiana beatamente impegnata in un menage a trois con due uomini, Chon (Taylor Kitsch),e Ben (Aaron Johnson),caratterialmente opposti ma uniti da due vizi: ‘O’e la droga che producono e vendono con enorme giro d’affari e di guadagni.
In un universo complesso e crudele, come quello dei narcotrafficanti, Chon e Ben però sono due balordi, ingenui e incapaci che nella realtà sarebbero stati fagocitati senza troppe cerimonie.
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E' sempre più frequente riscontrare prodotti cinematografici americani, che investono tutto su cast di indiscutibile bravura impegnato ad interpretare sceneggiature mediocri...si stenta a credere che ‘Le Belve’ porti la firma di Oliver Stone.
Una storia narrata dalla protagonista,’O’ (Blake Lively) bionda californiana beatamente impegnata in un menage a trois con due uomini, Chon (Taylor Kitsch),e Ben (Aaron Johnson),caratterialmente opposti ma uniti da due vizi: ‘O’e la droga che producono e vendono con enorme giro d’affari e di guadagni.
In un universo complesso e crudele, come quello dei narcotrafficanti, Chon e Ben però sono due balordi, ingenui e incapaci che nella realtà sarebbero stati fagocitati senza troppe cerimonie...Oliver Stone invece ci ha fatto un film , inverosimile (come quando la protagonista, dopo essere stata legata, malmenata e quasi mutilata chiede uno spazzolino da denti!) e ridicolo (come quando uno dei boys è in immersione con tanto di equipaggiamento da sub pronto all'azione ma oops… ha il fucile scarico con gli elastici pendenti, scena che ha suscitato un'inaspettata risata nella sala).
Errori a parte, quel che tiene attaccati allo schermo è la speranza che sopraggiunga un qualche elemento che dia senso al film oltre ai fiumi di sangue, le teste decapitate, le nevrosi delle protagoniste e i due poveretti inverosimilmente pronti a dare la propria vita per riavere la loro 'amata' condivisa. Niente...anzi, peggio di niente:ben 2 finali,il primo alla Quentin Tarantino ma molto più grezzo in cui muoiono tutti in un bagno di sangue, poi quando sei già in piedi pronto a lasciare la sala e anche l’ultima speranza di dare un senso al biglietto pagato e alle due ore buttate via ecco addirittura il giochino del riavvolgimento del nastro…e il secondo finale, ancor peggio del primo, nel quale tutti si salvano e vivono felici e contenti.
I veri ‘Selvaggi’ (dal titolo originale dell film ‘Savages’) sono quelli che mettono in circolazione questi prodotti e pensano che mescolando in qualche maniera sesso, pistole, sangue e droga e mettendo sul set un bravissimo Benicio Del toro e l’ottimo John Travolta abbiano chiuso il cerchio. E bravo Oliver Stone.
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