theophilus
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lunedì 9 dicembre 2013
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l'enfant è cresciuto
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LE GAMIN AU VÉLO
Con Il ragazzo con la bicicletta, grand prix al Festival di Cannes 2011, i fratelli Dardenne non rivoluzionano di certo il loro linguaggio. Continuano a girare attorno ai loro temi prediletti con le chiavi di lettura di sempre e con un'inconfondibile cifra stilistica. ‘Nuovi’ sono i due interpreti del film, Thomas Doret e Cécile de France, ma sempre i medesimi gli attori, che qui rivestono ruoli secondari, Jérémie Regnier, Olivier Gourmet e Fabrizio Rongione.
Notiamo, però, un’evoluzione del loro cinema in senso più umanistico. C’è in Le gamin au vélo una speranza di catarsi estranea - o comunque più difficile da rinvenire - alla loro filmografia precedente.
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LE GAMIN AU VÉLO
Con Il ragazzo con la bicicletta, grand prix al Festival di Cannes 2011, i fratelli Dardenne non rivoluzionano di certo il loro linguaggio. Continuano a girare attorno ai loro temi prediletti con le chiavi di lettura di sempre e con un'inconfondibile cifra stilistica. ‘Nuovi’ sono i due interpreti del film, Thomas Doret e Cécile de France, ma sempre i medesimi gli attori, che qui rivestono ruoli secondari, Jérémie Regnier, Olivier Gourmet e Fabrizio Rongione.
Notiamo, però, un’evoluzione del loro cinema in senso più umanistico. C’è in Le gamin au vélo una speranza di catarsi estranea - o comunque più difficile da rinvenire - alla loro filmografia precedente.
Quest’ultima fatica ci ha richiamato il loro L’enfant, vincitore a Cannes nel 2005. Si potrebbe quasi rinvenire una continuità cronologica nelle due storie. Il bambino rifiutato e venduto di sei anni fa continua la sua agonia di figlio in un rapporto disperato con un padre che continua a non volerne sapere di lui. Jérémie Regnier che là era protagonista disadattato, qui, per quanto motore dell’azione, è personaggio defilato. Non è il suo vuoto che viene analizzato dai Dardenne, bensì la rabbia dolorosa del figlio alla ricerca di un sentimento che non ha mai ricevuto.
La domanda di Cyril «Perché hai voluto che venissi a stare da te?» è speculare alla non risposta di Samantha. Entrambe frutto di una sensazione, ancora inspiegabile per il ragazzo e terribilmente confusa per la donna, albergano quel bisogno di uscire da se stessi che è universalmente chiamato amore. Non c’è un perché all’amore. Il dato che i personaggi maschili dei racconti dei due registi belgi ne siano generalmente non più che sfiorati, potrebbe far riflettere sul perché di questa refrattarietà.
L’andamento del film sembra meccanico, schematico al limite del determinismo. Salvo accendersi di una luce diversa nella sua conclusione, che fa riconsiderare tutta la storia. Quello che rischiava di apparire un insieme di stereotipi ben congegnati, si trasforma in un modello sociale preciso, asciutto, tagliente. Si paga tutto, ma c’è la possibilità di un riscatto. Anzi, alla fine i conti si debbono pareggiare comunque per consentire alla vita di proseguire.
Segnaliamo l’ottima prova di Cécile de France, da noi già ammirata in due commedie di Cédric Klapisch L’auberge espagnole (2002) e Les poupées russes (2005), nell’angosciante e discusso horror Haute tension di Alexander Aja (2003) e nel recente Hereafter di Clint Eastwood (2011).
Enzo Vignoli
29 giugno 2011
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luca scial�
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lunedì 20 gennaio 2014
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un tintin con la bici
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Cyril si trova in un Istituto, essendo stato rifiutato da un padre che vive alla giornata e non vuole più saperne di lui. Come unica compagna alla sua fedele bicicletta, che il padre ha pure tentato di vendersi. Gliela ritrova Samantha, parrucchiera trentenne, che prende a cuore la sua storia. Al punto da prenderselo in custodia nei weekend e rinunciare al proprio compagno. Ma Cyril è un ragazzo difficile, sfuggente, che si ritrova sempre nei guai. Pensando sempre a quel padre snaturato che non lo vuole più...
A tre anni di distanza da Il matrimonio di Lorna, i fratelli Dardenne tornano ad occuparsi di minorenni dalla vita difficile. Il leitmotiv è il loro tipico, quello brevettato: storie di vita drammatiche, che però finiscono sempre con un pò di speranza.
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Cyril si trova in un Istituto, essendo stato rifiutato da un padre che vive alla giornata e non vuole più saperne di lui. Come unica compagna alla sua fedele bicicletta, che il padre ha pure tentato di vendersi. Gliela ritrova Samantha, parrucchiera trentenne, che prende a cuore la sua storia. Al punto da prenderselo in custodia nei weekend e rinunciare al proprio compagno. Ma Cyril è un ragazzo difficile, sfuggente, che si ritrova sempre nei guai. Pensando sempre a quel padre snaturato che non lo vuole più...
A tre anni di distanza da Il matrimonio di Lorna, i fratelli Dardenne tornano ad occuparsi di minorenni dalla vita difficile. Il leitmotiv è il loro tipico, quello brevettato: storie di vita drammatiche, che però finiscono sempre con un pò di speranza. E così anche il dodicenne Cyril, che somiglia tanto al mitico Tintin, con la differenza che invece di un cane, il suo migliore amico è una bici, riesce a trovare nella bella Samantha quell'adulto in grado di rimetterlo sulla retta via.
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stefano capasso
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mercoledì 27 maggio 2015
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l'amore che salva
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Cyrille è un ragazzo di 12 anni che è stato lasciato dal papà in una centro di accoglienza per l’infanzia. In una delle sue diverse fughe, nel tentativo di ritrovare la sua bicicletta e suo padre, incontra una donna Samanta che lo prende in simpatia e accetta di occuparsi di lui nei weekend. Ma Cyrille incontra anche dei ragazzi più grandi di lui che cercheranno di sfruttarlo proponendogli azioni criminali.
Mi è piaciuto molto questo film dei fratelli Dardenne. Il linguaggio narrativo della regia è sempre rigoroso e informale, sceglie di seguire gli avvenimenti quasi come fosse in presa diretta.
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Cyrille è un ragazzo di 12 anni che è stato lasciato dal papà in una centro di accoglienza per l’infanzia. In una delle sue diverse fughe, nel tentativo di ritrovare la sua bicicletta e suo padre, incontra una donna Samanta che lo prende in simpatia e accetta di occuparsi di lui nei weekend. Ma Cyrille incontra anche dei ragazzi più grandi di lui che cercheranno di sfruttarlo proponendogli azioni criminali.
Mi è piaciuto molto questo film dei fratelli Dardenne. Il linguaggio narrativo della regia è sempre rigoroso e informale, sceglie di seguire gli avvenimenti quasi come fosse in presa diretta. Questo facilita la partecipazione empatica per le vicende del ragazzo e della donna che lo ospita. E’ la necessità di raccontare un disagio che si antepone alla forma cinematografica. Quello dell’adolescente abbandonato che vive il doloroso rifiuto di occuparsi di lui da parte del padre e riesce, tra diversi pericoli, a sviluppare diverse abilita di sopravvivenza che si completano, fino a farne prendere una direzione sana, con l’amore di una donna che ha voglia di dedicarsi a lui. E insieme troveranno il modo di costruire quella relazione che può salvare entrambi.
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howlingfantod
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domenica 4 dicembre 2016
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i dardenne.....
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Fiaba moderna e triste senza necessariamente il lieto fine, quanto al massimo uno spiraglio alla speranza come in altri film dei Dardenne (l’Enfant, Il matrimonio di Lorna). Una grande attenzione come al solito alla sceneggiatura, precisa e rigorosa, prima a seguire il filo quasi di un poliziesco con il bambino (Cyril) che quasi come un detective si mette sulle tracce del padre che è fuggito, che non lo vuole e lo ha abbandonato in un istituto. Il tema forte e portante dell’ abbandono è l’impalcatura del film e tale è la sua portata, come del resto in tutti i loro film che affrontano senza tanti fronzoli scabre situazioni ed esistenze ai margini di persone ferite e dimenticate o dalla società o dagli stessi affetti familiari, che gli attori vengono quasi devitalizzati, i dialoghi e l’espressività sono essenziali e scarnificati al massimo, senza lasciare il minimo spazio al melodramma, ad un giudizio morale dello spettatore stesso su quello che sta vedendo, ma solo alla pura, neutra, asettica rappresentazione, vero marchio di fabbrica dei due fratelli registi.
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Fiaba moderna e triste senza necessariamente il lieto fine, quanto al massimo uno spiraglio alla speranza come in altri film dei Dardenne (l’Enfant, Il matrimonio di Lorna). Una grande attenzione come al solito alla sceneggiatura, precisa e rigorosa, prima a seguire il filo quasi di un poliziesco con il bambino (Cyril) che quasi come un detective si mette sulle tracce del padre che è fuggito, che non lo vuole e lo ha abbandonato in un istituto. Il tema forte e portante dell’ abbandono è l’impalcatura del film e tale è la sua portata, come del resto in tutti i loro film che affrontano senza tanti fronzoli scabre situazioni ed esistenze ai margini di persone ferite e dimenticate o dalla società o dagli stessi affetti familiari, che gli attori vengono quasi devitalizzati, i dialoghi e l’espressività sono essenziali e scarnificati al massimo, senza lasciare il minimo spazio al melodramma, ad un giudizio morale dello spettatore stesso su quello che sta vedendo, ma solo alla pura, neutra, asettica rappresentazione, vero marchio di fabbrica dei due fratelli registi. La storia di Cyril vira così nella ricerca dell’ archetipo femminile e materno che cerca e sembra trovare in Samantha, la parrucchiera che si offre di ospitarlo per il fine settimana (il mistero rimane e deve rimanere su che fine abbia fatto la sua vera madre). Le fughe, le crisi, la continua corsa di Cyril alla ricerca di un affetto che plachi la sua rabbia, lo si vede sempre di corsa o sull’ iconica bicicletta, oppure a piedi o a correre, per strade, fuggire da finestre. Una fiaba essenziale dei giorni nostri che assomiglia per alcuni versi a quella di Pinocchio con tanto di incontro con una sorta di Lucignolo, nella figura del capo della gang che assume un certo significato di surrogato ala paternità e costituirà lo snodo della seconda parte del film fino al finale agrodolce e comunque di speranza.
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algernon
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domenica 29 maggio 2011
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il ragazzo e la parrucchiera
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come altre volte i Dardenne mettono in scena una storia di disagio infantile. questa volta è un ragazzino dodicenne, Cyril, abbandonato dal padre in un istituto e ostinatamente rifiutato per l'incapacità dello stesso di svolgere il suo ruolo paterno. viene in soccorso Samantha, una donna dolce e forte, che accetta di prenderlo con sé nei fine settimana. arduo si rivela il tentativo di recuperarlo ad una vita familiare e sociale sana, il ragazzo è scontroso e fragile, scappa per cercare il padre, si fa abbindolare da una piccola banda di ragazzi devianti, dal cui capo rimane affascinato, fino al punto di rendersi colpevole egli stesso di comportamenti criminali e violenti. sono la costanza e l'affetto di Samantha a riuscire infine.
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come altre volte i Dardenne mettono in scena una storia di disagio infantile. questa volta è un ragazzino dodicenne, Cyril, abbandonato dal padre in un istituto e ostinatamente rifiutato per l'incapacità dello stesso di svolgere il suo ruolo paterno. viene in soccorso Samantha, una donna dolce e forte, che accetta di prenderlo con sé nei fine settimana. arduo si rivela il tentativo di recuperarlo ad una vita familiare e sociale sana, il ragazzo è scontroso e fragile, scappa per cercare il padre, si fa abbindolare da una piccola banda di ragazzi devianti, dal cui capo rimane affascinato, fino al punto di rendersi colpevole egli stesso di comportamenti criminali e violenti. sono la costanza e l'affetto di Samantha a riuscire infine. film inquietante, nonostante il lieto fine, ottimamente diretto e interpretato. da vedere
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[+] 5/6
(di epidemic)
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lisa casotti
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venerdì 18 novembre 2011
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un gattino arruffato e selvaggio
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Non sapremo mai perché Samantha ha deciso di “adottare” Cyril. Non lo sa nemmeno lei.
È accaduto dopo una stretta, un abbraccio che l’ha lasciata immobile, pietrificata. È accaduto così, come accade che la nostra famiglia non sia quella di origine, ma quella che ci capita.
L’amore ci raggiunge seguendo le sue strade, che spesso sono diverse e lontane da quelle che ostinatamente ci mettiamo a percorrere.
Così Cyril, gattino arruffato e selvaggio, che graffia, che scalcia, che quasi ti vien voglia di dargli una pacca, impiega un po’ a capire e “digerire” che il suo papà non lo vuole, che l’ha tradito, che ha altro da fare e non se ne dispiace nemmeno tanto. E che se vuole cambiare vita, crescere e liberarsi dalla sua rabbia e accettare l’amore, così come viene, deve affidarsi ad altre mani, quelle di una parrucchiera malinconica, che tra l’amore di un compagno e l’affetto che prova per questo ragazzino, sceglie quest’ultimo, come un conato improvviso, un sussulto spontaneo, senza ricamarci troppo intorno o riflettere a lungo.
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Non sapremo mai perché Samantha ha deciso di “adottare” Cyril. Non lo sa nemmeno lei.
È accaduto dopo una stretta, un abbraccio che l’ha lasciata immobile, pietrificata. È accaduto così, come accade che la nostra famiglia non sia quella di origine, ma quella che ci capita.
L’amore ci raggiunge seguendo le sue strade, che spesso sono diverse e lontane da quelle che ostinatamente ci mettiamo a percorrere.
Così Cyril, gattino arruffato e selvaggio, che graffia, che scalcia, che quasi ti vien voglia di dargli una pacca, impiega un po’ a capire e “digerire” che il suo papà non lo vuole, che l’ha tradito, che ha altro da fare e non se ne dispiace nemmeno tanto. E che se vuole cambiare vita, crescere e liberarsi dalla sua rabbia e accettare l’amore, così come viene, deve affidarsi ad altre mani, quelle di una parrucchiera malinconica, che tra l’amore di un compagno e l’affetto che prova per questo ragazzino, sceglie quest’ultimo, come un conato improvviso, un sussulto spontaneo, senza ricamarci troppo intorno o riflettere a lungo.
Proprio perché l’amore, quello che dicono vero, accade al di là di ogni considerazione logica, ma solo perché sì. E l’amore, quello vero, guarisce le ferite, così che Cyril ora, sguardo di cucciolo addomesticato, può guardare al futuro senza più il debito verso il passato e può diventare un uomo senza rancore e senza egoismo, capace di pensare a chi ha intorno, prima che al suo dolore.
Il ragazzo con la bicicletta è stato definito il capolavoro dei Dardenne. Non so dire se, in effetti, sia la loro opera migliore. Io ho amato moltissimo L’Enfant (e un po’ meno Rosetta). Quello che è certo è che i Dardenne riescono a fare apprezzare i loro film anche a chi non ama molto il cinema francese (con la sua tipica lentezza, lo musica quasi assente, i lunghi piani sequenza, i primi piani che indugiano). Sarà perché sono belgi e non francesi? Ma’, sarà…
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catia p.
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domenica 24 luglio 2011
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il ragazzo con la bicicletta – sopravvalutato?
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Film senza fronzoli, senza giri di parole e senza colonna sonora, quest'ultima fatica dei fratelli Dardenne si preoccupa solo di andare dritta al bersaglio come un gancio destro ben assestato.
Siamo subito partecipi di una realtà ben dura da affrontare: un padre vedovo parcheggia un ragazzino tredicenne in un istituto di accoglienza e si fa negare al figlio che tenta ripetutamente di riavvicinarlo.
Thomas Doret presta il suo giovanissimo volto acqua e sapone all'arrabbiato Cyril nella sua caparbia ricerca dell'amore paterno laddove (e sembra impossibile) è destinato a trovare solo l'insormontabile muro del rifiuto.
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Film senza fronzoli, senza giri di parole e senza colonna sonora, quest'ultima fatica dei fratelli Dardenne si preoccupa solo di andare dritta al bersaglio come un gancio destro ben assestato.
Siamo subito partecipi di una realtà ben dura da affrontare: un padre vedovo parcheggia un ragazzino tredicenne in un istituto di accoglienza e si fa negare al figlio che tenta ripetutamente di riavvicinarlo.
Thomas Doret presta il suo giovanissimo volto acqua e sapone all'arrabbiato Cyril nella sua caparbia ricerca dell'amore paterno laddove (e sembra impossibile) è destinato a trovare solo l'insormontabile muro del rifiuto.
Lui prova a scalarlo in tutti i modi, questo muro, a forza di pugni, morsi, corse e fughe.
Avrà come unica fortuna quella d'incontrare, in questo suo continuo moto selvaggio e inarrestabile, la bella e buona Samantha (Cécile De France, splendida come sempre) che decide di colmare il vuoto nella vita del ragazzino, prendendosi cura di lui e donandogli il suo affetto incondizionato, senza chiedere nulla in cambio.
Le forti tematiche di fondo – tra cui la naturale ricerca di figure di riferimento, la rabbia giovane, il pericolo di sbando quando si è soli e senza amore – vengono dipanate nel film senza mai cadere nel melenso o nello stucchevole.
Al contrario, i registi procedono con sobria durezza per tutta la pellicola, riuscendo a pieno nell'intento di tenere desta la nostra attenzione e spingendoci alla riflessione su temi assai delicati.
Per non rischiare spoiler, tralascio le considerazioni sul finale dal quale, però, traiamo il giusto insegnamento sul potere e l'importanza dell'amore parentale.
Elencati i punti di forza, non posso non contestare alcune scelte narrative che mi lasciano dubbiosa.
I Dardenne affondano, senza pietà e sistematicamente tutte le figure maschili della storia, in una gara al ribasso: dal padre egoista e anaffettivo, al malvivente adescatore di giovani sbandati, al partner incomprensivo e poco innamorato.
Per contro, esaltano a dismisura l'unica protagonista femminile, una sorta di santa che indirizza il suo naturale istinto materno verso un ragazzino non solo sconosciuto, ma problematico ai massimi livelli.
La generosità della donna, per quanto meravigliosa, sfiora l'inverosimile poiché nasce dal “nulla”: un incontro rapidissimo e fugace tra lei e Cyril a cui mancano almeno tre o quattro inquadrature e tutto un pezzo di sceneggiatura che giustificasse e rendesse plausibile il suo interesse per il “caso umano”.
L'elezione a “donna dell'anno” è troppo smaccata nel suo accollarsi senza motivo non solo il caratteraccio del ragazzino, ma tutti i disastri che ne derivano, rinunciando persino alla sua relazione amorosa per curarsi di lui.
Mentre il cinema degli ultimi anni in generale e degli ultimi tempi in particolare scandaglia in tutte le sue sfumature la necessità di ritrovare un padre degno di questo nome (si vedano anche i recenti Corpo Celeste e The Tree of Life), questa madre che basta a se stessa ed è così super-brava, super-buona e super-bella ci sembra una soluzione sì rassicurante, ma un po' troppo semplicistica per colmare una lacuna di cui si sta avvertendo forte il dilagare.
Lo dico da appartenente al genere femminile: la teoria della super-donna proposta dai Dardenne non mi ha convinta e abbassa il tono del film.
Un vero peccato.
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marzaghetti
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domenica 13 gennaio 2013
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tre personaggi incollati alla storia che vivono
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Scarna, asciutta, lineare, banale e troppo semplificata cronaca di vite difficili e di complicate relazioni padre-figlio negletto-ragazza/madre pseudo-adottiva. Lo stile, così realistico, spoglio, dimesso, è talmente accentuato che a me è sembrato tutto finto, forzato, distaccato. I tre personaggi sembrano incollati alla storia che vivono, non so se mi spiego. Spicca, se non altro, la brava ed intensa Cecile De France, mentre il piccolo Doret ha la faccia di legno. La colonna sonora, che giunge di soppiatto e irrompe nel silenzio totale con 3 accordi nei momenti più catartici, mi ha fatto venire l'orchite.
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Scarna, asciutta, lineare, banale e troppo semplificata cronaca di vite difficili e di complicate relazioni padre-figlio negletto-ragazza/madre pseudo-adottiva. Lo stile, così realistico, spoglio, dimesso, è talmente accentuato che a me è sembrato tutto finto, forzato, distaccato. I tre personaggi sembrano incollati alla storia che vivono, non so se mi spiego. Spicca, se non altro, la brava ed intensa Cecile De France, mentre il piccolo Doret ha la faccia di legno. La colonna sonora, che giunge di soppiatto e irrompe nel silenzio totale con 3 accordi nei momenti più catartici, mi ha fatto venire l'orchite. Valutazione: 2,0.
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boyracer
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martedì 31 maggio 2011
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il "solito" francese.
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Il cinema francese è sempre un'incognita. Accanto a grandi maestri universalmente riconosciuti,
specialmente nel passato (Jean-Luc Godard, François Truffaut, Claude Chabrol, Eric Rohmer...), si sono più recentemente affiancati altri registi che potremmo definire più "popolari", i quali hanno forse leggermente abbassato il livello artistico ma decisamente aumentato gli introiti in tutto il mondo (Luc Besson, Patrice Leconte, Jean-Pierre Jeunet, Mathieu Kassovitz...).
Ma in molti di loro è spesso sempre presente un'accezione prettamente francese, una sorta di stile comune, che sinceramente risulta poco digeribile allo spettatore italiano.
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Il cinema francese è sempre un'incognita. Accanto a grandi maestri universalmente riconosciuti,
specialmente nel passato (Jean-Luc Godard, François Truffaut, Claude Chabrol, Eric Rohmer...), si sono più recentemente affiancati altri registi che potremmo definire più "popolari", i quali hanno forse leggermente abbassato il livello artistico ma decisamente aumentato gli introiti in tutto il mondo (Luc Besson, Patrice Leconte, Jean-Pierre Jeunet, Mathieu Kassovitz...).
Ma in molti di loro è spesso sempre presente un'accezione prettamente francese, una sorta di stile comune, che sinceramente risulta poco digeribile allo spettatore italiano.
I film introspettivi, infatti, portano sempre con se dialoghi faticosi e un po' logorroici, narrazioni poco avvincenti e un po' piatte, interpretazioni rigorose al limite del mono tono, fotografie e scenografie molto "naturali" che risultano spesso opprimenti per quanto sono squallide e depressive.
E' vero che il genere richiede quello, ma lo stesso genere girato in Italia, per esempio, quando ovviamente a girarlo sono i nostri migliori registi, acquista un respiro più poetico e "movimentato", pur affrontando storie di disperazione e di disagio sociale/psicologico.
Per i film di altro genere, che strizzano l'occhio ai blockbuster americani, resta comunque quel senso di incompiuto o di maldestro che non permette un sincero apprezzamento dell'opera.
In questo ambito i fratelli Dardenne sono gli eredi naturali dei registi del primo gruppo citato (in particolare Rohmer e Chabrol), ed evidenziano esattamente gli stessi loro pregi e difetti.
Rigore stilistico, narrativo e interpretativo, sono un pregio fino a quando non diventano manierismo e freddezza (o addirittura monotonia), perchè comunque lo scopo del cinema, dell'arte in generale, è emozionare e stimolare chi ne fruisce.
Il "ragazzo volutamente e freddamente abbandonato dal padre" (della madre non si sa nulla) può essere certamente un tema forte degno di essere rappresentato con toni dimessi e malinconici, ma un'intera comunità di contorno che non sorride mai (mai!) e un adolescente "difficile" che in pochi giorni diventa con disarmante naturalezza un "criminale" convinto (e solo perchè gli viene chiesto dall'ultimo venuto), sono due pilastri del film minati alla base, e, insieme a tutti gli altri aspetti stridenti, fanno crollare la base stessa del film, che dovrebbe essere la verosimiglianza di una comune ma intensa storia di disagio sociale.
Jean Pierre Junet (Delicatessen, Il favoloso Mondo di Amelie) è tutta un'altra storia, esattamente agli antipodi.
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