mystic
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sabato 27 aprile 2013
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recitazione sublime e un cronenberg sottotono
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Jung e Freud. Freud e Jung. E Sabina Spielrein. David Cronenberg è rapito di fronte al rapporto maestro-discepolo tra i due grandi studiosi di psicoanalisi del novecento e dalla relazione perversa e pericolosa tra la Spielrein (Knightley) e lo stesso Jung (Fassbender). A dangerous method è un film sugli equilibri precari, un'opera che osserva con una certa malinconia la vita di tre anime stanche.
Jung, svizzero e protestante, trova in un immenso Michael Fassbender la propria ragion di esistere sulla celluloide. Freud rimane invece sullo sfondo, nonostante l'impronta indelebile del quasi irriconoscibile Viggo Mortensen. Ma è di Keira Knightley l'interpretazione migliore, seppur non priva di imperfezioni, una psicopatica che preferisce la violenza alla tenerezza e che è in grado di cogliere, nonostante tutto, i risvolti più nascosti della vita dei pazienti.
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Jung e Freud. Freud e Jung. E Sabina Spielrein. David Cronenberg è rapito di fronte al rapporto maestro-discepolo tra i due grandi studiosi di psicoanalisi del novecento e dalla relazione perversa e pericolosa tra la Spielrein (Knightley) e lo stesso Jung (Fassbender). A dangerous method è un film sugli equilibri precari, un'opera che osserva con una certa malinconia la vita di tre anime stanche.
Jung, svizzero e protestante, trova in un immenso Michael Fassbender la propria ragion di esistere sulla celluloide. Freud rimane invece sullo sfondo, nonostante l'impronta indelebile del quasi irriconoscibile Viggo Mortensen. Ma è di Keira Knightley l'interpretazione migliore, seppur non priva di imperfezioni, una psicopatica che preferisce la violenza alla tenerezza e che è in grado di cogliere, nonostante tutto, i risvolti più nascosti della vita dei pazienti.
Nonostante la recitazione sia sublime, è Cronenberg a rimanere al di sotto delle ambizioni: ritmo lento, voce fuori campo e letture epistolari convincono solo in parte.
Cupo, triste, spaventoso, sconvolgente e potenzialmente scomodo. Non per questo del tutto riuscito.
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jacopo b98
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domenica 29 settembre 2013
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melodramma alla cronenberg su una rivalità storica
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1904, Zurigo. La giovane Sabina Spielrein (1885-1942, Knightley) è internata in una clinica psichiatrica dove è presa in cura dal dottor Carl Jung (1875-1961, Fassbender). Tra i due il rapporto diventa sempre più stretto finché si trasforma in erotico e questo mette in dubbio le certezze psicoanalitiche di Jung, ispirate dal maestro Sigmund Freud (1856-1939, Mortensen). Il rapporto tra Jung e Freud andrà quindi deteriorandosi: il primo avrà il coraggio di oltrepassare i confini solidi e già esplorati della psicoanalisi, il secondo, pur di non rovinarsi la reputazione, preferirà rimanere in “territori esplorati”. Sabina intanto guarirà dalla sua pazzia e diventerà la prima donna psicoanalista.
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1904, Zurigo. La giovane Sabina Spielrein (1885-1942, Knightley) è internata in una clinica psichiatrica dove è presa in cura dal dottor Carl Jung (1875-1961, Fassbender). Tra i due il rapporto diventa sempre più stretto finché si trasforma in erotico e questo mette in dubbio le certezze psicoanalitiche di Jung, ispirate dal maestro Sigmund Freud (1856-1939, Mortensen). Il rapporto tra Jung e Freud andrà quindi deteriorandosi: il primo avrà il coraggio di oltrepassare i confini solidi e già esplorati della psicoanalisi, il secondo, pur di non rovinarsi la reputazione, preferirà rimanere in “territori esplorati”. Sabina intanto guarirà dalla sua pazzia e diventerà la prima donna psicoanalista. Scritto da Christopher Hampton, basato sulla sua pièce teatrale del 2002, a sua volta basata sul romanzo di John Kerr The Most Dangerous Method, è il film più classico di Cronenberg che abbandona i primi horror splatter e i thriller quali A History of Violence e La Promessa dell’Assassino, per dedicarsi ad un genere più “tranquillo” con questo raffinato melodramma in cui tuttavia è possibilissimo scorgere tracce dell’ingegno del suo autore: in fondo i temi sono quelli cari al regista: l’erotismo, la violenza e qui anche la psicoanalisi e, curiosamente, la libertà. Perché lo psicoanalista fa molto di più che guarire un paziente, gli dona la libertà, come dice Sabina. Film fisico e psicologico, costoso e raffinato, nella messa in scena, nei costumi (Denise Cronenberg) e nelle scenografie (James McAteer), impreziosite dalla splendida fotografia di Peter Suschitzky e dalle magnifiche musiche di Howard Shore. Film incarnato su due poli: le idee di Jung e Freud, il primo disposto a sperimentare e ad andare oltre ogni limite, il secondo pur di mantenere la reputazione di inventore e maestro assoluto della psicoanalisi, non disposto a “rischiare”. E l’arbitro dello scontro è Sabina che, invece di essere schiacciata dall’amore per Jung e allo stesso tempo per le idee di Freud, si libera e diventa una donna autonoma, capace di pensare e formulare da sola. Attori bravissimi: spiccano Fassbender, ormai attore di punta del panorama cinematografico internazionale (grazie soprattutto a Hunger e Shame, che lo hanno portato alle collaborazioni con grandi cineasti americani quali Ridley Scott e Quentin Tarantino); la Knightley mai stata così brava e fisica, ma d’altra parte non aveva ancora avuto molte occasioni di “sfogare” il proprio talento; e infine Mortensen, ormai vero feticcio del regista, come Johnny Depp per Burton e Leonardo DiCaprio per Scorsese.
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killbillvol2
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martedì 3 marzo 2015
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opera cronenberghiana doc
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Perché? Questo si sono chiesti i critici di tutto il mondo e gli spettatori più attenti. Perché David Cronenberg, regista famoso per suoi temi ricorrenti sempre presenti in ogni sua opera, ha deciso di girare un film sulla psicoanalisi, concentrandosi tra il triangolo Jung, Freud, Spielrein, da una sceneggiatura non scritta da lui e (apparentemente) priva di ogni tema cardine del suo cinema? La risposta non esiste in quanto queste domande sono infondate.
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Perché? Questo si sono chiesti i critici di tutto il mondo e gli spettatori più attenti. Perché David Cronenberg, regista famoso per suoi temi ricorrenti sempre presenti in ogni sua opera, ha deciso di girare un film sulla psicoanalisi, concentrandosi tra il triangolo Jung, Freud, Spielrein, da una sceneggiatura non scritta da lui e (apparentemente) priva di ogni tema cardine del suo cinema? La risposta non esiste in quanto queste domande sono infondate. Inutile parlare della regia perfetta (diventata e rimasta tale da almeno trent'anni) o degli attori magnifici, ma piuttosto del Cronenberghiano presente in questo film. Perché, al contrario di quanto qualcuno potrebbe trarre da una frettolosa visione, nella pellicola sono presenti almeno due temi portanti dell'opera omnia del regista canadese. Il primo, il più evidente, è la metamorfosi della mente, la sua disgregazione e la sua autodistruzione. Quella della mente di Sabina Spielrein, vertice del triangolo e cardine dell'interpretazione del film, impersonata da una Knightley che rischia di cadere più volte nel ridicolo e nel grottesco, ma riesce a salvarsi in calcio d'angolo. L'ultima parte della filmografia di Cronenberg (da Existenz in poi, per intenderci) è contraddistinta non più dalla mutazione dei corpi, ma da quella della mente, la quale, a volte, può operare anche su questi ultimi (come faceva nel manifesto della poetica del regista, il capolavoro Videodrome). Come il malato Ralph Fiennes di Spider o il violento Viggo Mortensen de La Promessa dell'Assassino (emblematici, in questo caso, i tatuaggi), prima è la mente di Sabina ad essere malata e in seguito, dopo averla curata, è quella di Jung a degenerare e a portarlo alla crisi che lo colpì prima della Seconda Guerra Mondiale, che predette in un sogno e che si portò via l'amante-paziente. La mente, insomma, come ci si aspetta da un film sulla psicoanalisi, lo studio della psiche, appunto. Ma c'è qualcos'altro nell'opera parlatissima, fredda solo all'apparenza (il personaggio della moglie di Jung e la storia d'amore tra quest'ultimo e Sabina sono nella migliore tradizione dei film in costume della Hollywood classica, trattati solamente con più distacco) di Cronenberg, qualcosa a lui molto più vicina. Nella pellicola è accennata solo una volta, ma, secondo il sottoscritto, la chiave di lettura, la risposta al "perché?" di cui sopra risiede nel trattato psicoanalitico scritto dalla Spielrein sulla disgregazione dell'io e, in particolare, in un unica frase (che parafraso): "la nascita di un nuovo corpo implica di conseguenza l'annientamento di quello precedente". L'annientamento dell'io durante l'amplesso sessuale è l'unico modo per far nascere un nuovo essere. Non credo di dover aggiungere molto per spiegare quanto questo concetto sia vicinissimo a un regista, la cui stessa filmografia muta continuamente e che ha fatto inneggiare un giovane James Woods alla "Nuova Carne", appunto. Alla luce di questi fatti, persino i detrattori (molti dei quali sono tali in quanto fan di Cronenberg) non potranno che riconoscere la grandezza di uno dei film migliori degli ultimi dieci anni.
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angelo umana
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lunedì 16 marzo 2015
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ospedali che traboccano
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Vale la pena riportare le frasi esatte e le parole, almeno della versione italiana, del film A dangerous method, del 2011, che si suppone il regista David Cronenberg e il soggettista-sceneggiatore Christopher Hampton abbiano voluto preparare basandosi su documenti, fatti, citazioni. Qui è quasi lo stesso soggetto di Prendimi l’anima di Roberto Faenza, film del 2003: “quasi” perché mentre il film di Faenza si concentrava esclusivamente sulla passione tra Sabina Spielrein e Carl Jung, lei dapprima paziente del medico poi sua amante, successivamente da laureata collega-psicanalista sia di Jung che di Freud, il film di Cronenberg, più interessante, dice della stessa passione inquadrata nelle teorie psicanalitiche di inizio del secolo scorso, quelle dei due medici precursori, Freud e colui che ne fu prima allievo poi competitore, Jung.
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Vale la pena riportare le frasi esatte e le parole, almeno della versione italiana, del film A dangerous method, del 2011, che si suppone il regista David Cronenberg e il soggettista-sceneggiatore Christopher Hampton abbiano voluto preparare basandosi su documenti, fatti, citazioni. Qui è quasi lo stesso soggetto di Prendimi l’anima di Roberto Faenza, film del 2003: “quasi” perché mentre il film di Faenza si concentrava esclusivamente sulla passione tra Sabina Spielrein e Carl Jung, lei dapprima paziente del medico poi sua amante, successivamente da laureata collega-psicanalista sia di Jung che di Freud, il film di Cronenberg, più interessante, dice della stessa passione inquadrata nelle teorie psicanalitiche di inizio del secolo scorso, quelle dei due medici precursori, Freud e colui che ne fu prima allievo poi competitore, Jung. Una prima paziente forse inconsapevole della Spielrein (Keira Knightley) fu proprio la moglie di Jung, all’insaputa di questa il medico e l’allieva applicano su di lei il trattamento sperimentale di Freud (Viggo Mortensen), “la cura delle parole”.
Sabina, ricoverata a 17 anni nella clinica zurighese dove lavora Jung (Michael Fassbender), il 17-8-1904, picchiata dal padre da quando aveva quattro anni e costretta poi a baciargli la mano, rivela al medico, quando comincia a fidarsene: mi bagnavo ogni volta che mi mandava nella stanzetta dove mi avrebbe raggiunta, mi piaceva, sono sporca, oscena, non devono farmi uscire di qui.
Jung chiede a Freud se non si possa usare un termine più blando che non libido e gli attribuisce l’interpretazione esclusivamente sessuale del materiale clinico e dei sogni, che il maestro puntualmente spiegava. Nella clinica svizzera di Jung arriva Otto Gross (un Vincent Cassel perfetto nella parte del ribelle alle norme sociali dell’epoca, simili del resto a quelle di oggi), mandato da Freud come paziente ma che è psichiatra a sua volta e che si definisce pubblicità deambulante delle possibilità della psicanalisi, avendo avuto numerose amanti anche tra le sue stesse pazienti che, lui dice, altro non desideravano. Questo genio sregolato – differente dal compunto e compreso nel ruolo professionale Jung – addebita alla psichiatria dell’epoca la ferma repressione di un forte desiderio sessuale ribelle. Quindi lei non crede nella monogamia?, chiede Jung a Gross. E lui: Per un nevrotico del mio livello immaginare un concetto più logorante è impossibile. Jung: E non trova che in fondo sia necessario e desiderabile porsi qualche limite come contributo al tranquillo svolgersi della civiltà? Ma la “regola” di Gross è non reprimere mai niente e non c’è da stupirsi che gli ospedali trabocchino, considerata la repressione sessuale del tempo. Il piacere è semplicissimo finché non decidiamo di complicarlo. E’ quello che mio padre chiama maturità. E io chiamo arrendersi. Perché tanti affannosi sforzi per soffocare i nostri più elementari istinti naturali? Jung considera invece arrendersi il cedere al desiderio che già egli stesso avverte della Spielrein. In fondo dunque ha ragione Gross che, nella lettera che gli scrive fuggendo dalla clinica, consiglia di non passare mai davanti all’oasi senza fermarsi a bere.
Jung alla Spielrein quando lei la prima volta prende l’iniziativa, baciandolo: E’ opinione comune che sia l’uomo a prendere l’iniziativa. Sabina: Non c’è qualcosa di maschile in ogni donna e di femminile in ogni uomo?Quando vorrà prendere l’iniziativa io abito nel palazzo col bovindo! Sarà una passione liberatoria e tenerissima tra i due, Sabina soddisferà anche suoi desideri masochistici e a Jung si è come aperto un mondo. Le confesserà alla fine in preda a un esaurimento, dopo l’allontanamento di un periodo e aver dovuto confessare a Freud che la paziente è stata sua amante, e mentre Sabina, che è ebrea-russa, parte per Rostov dove si dedicherà alla psicologia infantile: Eri tu il gioiello prezioso. Mi hai fatto capire chi sono. A volte devi fare qualcosa di imperdonabile per continuare a vivere. Solo il medico ferito può guarire.
La moglie di Jung invece non ha mai voluto sapere nulla delle dicerie e delle lettere anonime che descrivono la tresca, è appagata – forse era un ruolo autoimposto delle mogli di quel tempo - dall’aver dato, alla terza o quarta gravidanza, un figlio maschio a Carl. L’amore diventa abitudine se vivi sotto lo stesso tetto con una persona, è lo stesso Jung a dirlo alla Spielrein, che gli fa notare che il loro rapporto è un’altra cosa.
Freud sostiene di non avere obiezioni a che Jung sconfini nella telepatia e parapsicologia, vede che l’allievo si sta avventurando in terreni che lui non ha coltivato, Carl non vuole delimitare strettamente i confini scientifici e così escludere degli interi ambiti d’indagine. E’ fautore del percorrere territori inesplorati, del reinventarsi del paziente. Gli sfugge con la Spielrein un giudizio su Freud, che sarebbe vittima di un rigido pragmatismo, che non si può reprimere e dimenticare il sentimento, che secondo questi nulla è possibile che esista se la nostra intelligenza non è in grado di dimostrare che esista. Per Freud infatti il mondo è lì ed è quello che è, quasi immodificabile e forse senza altro da scoprire. Il maestro è timoroso che le loro ricerche abbandonino la (sua) terraferma della teoria sessuale per sguazzare nel fango nero della superstizione … i detrattori ci faranno a pezzi. Non si può fare!
La scienza psicanalitica si è evoluta anche per intuizioni ed errori, Freud – il cui venerare le donne era frutto della coercizione educativa e sociale dei tempi - ne è il padre, Jung e altri l’hanno progredita fino a noi. Dopo la rottura tra i due una scena mostra Freud che ripone in una scatola il ritratto di Jung indugiando ad osservarlo alcuni secondi, sembra convinto in cuor suo che Jung andrà più lontano. La Spielrein volle studiare e laurearsi per restituire la libertà alle persone come tu mi hai ridato la mia, questo dice a Jung. Sembra convincere perfino Freud (Vienna, 1912) interessato ai suoi studi che associano l’amore alla morte, quando afferma che se la pulsione sessuale è un semplice stimolo verso il piacere, la repressione dello stimolo porta all’autodistruzione. Ma questa può essere un’autodistruzione creativa, generare un essere nuovo nella persona che si abbandoni al piacere, si annulli e si perda nell’altro, rinunciando al proprio ego per la natura autoannientante dell’atto sessuale.
Nel film c’è il riferimento storico alla prima guerra mondiale di qualche anno dopo: Jung racconta alla Spielrein di un sogno fatto, un’inarrestabile marea che scende dal mare del Nord e che supera le Alpi e si mischia alle acque del lago, acqua che diventa sangue, cosa che avverrà molto presto. Non si direbbe che all’inizio del nostro secolo nuovo le convenzioni sociali, le norme della nostra organizzazione sociale, siano di molto cambiate: le nevrosi generate dai ruoli che ognuno deve recitare, dagli imperativi che il “progresso” o la moderna società impongono, la necessità o desiderabilità di porsi qualche limite non sono diminuite egli ospedali traboccano comunque: qualcuno ha detto che sia più manovrabile o guidabile una società basata sulla famiglia, sulla coppia come nucleo stabile, sarebbe arduo amministrare dei “cani sciolti” come Otto Ross, che nella realtà peraltro morì di fame a Berlino nel 1919. La Spielrein, dopo aver istruito molti psicanalisti in Russia, fu deportata dai tedeschi in Germania e lì fucilata con le sue due figlie nel 1941. Freud fu costretto a lasciare Vienna, si trasferì a Londra dove morì di tumore nel 1939. Jung se ne andò serenamente nel 1961.
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great steven
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lunedì 27 luglio 2015
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esemplare documento di cinema d'autore europeo.
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A DANGEROUS METHOD (CAN/GB/GERM/SVIZZ, 2011) diretto da DAVID CRONENBERG. Interpretato da MICHAEL FASSBENDER, VIGGO MORTENSEN, KEIRA KNIGHTLEY, VINCENT CASSEL, SARAH GADON, KATHARINA PALM, CHRISTIAN SERRITIELLO
La storia copre un arco di tempo che va dal 1905 al 1912, ed è interamente ambientata nell’Europa continentale, soprattutto nella Svizzera della belle époque dove nasce il rapporto triangolare fra tre personalità alla ricerca di un’identità sociale, professionale e morale: il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud, il giovane medico-psicologo Carl Gustav Jung e l’aspirante psichiatra Sabina Spielrein, dapprima sofferente di una grave nevrosi e poi seriamente impegnata negli studi universitari.
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A DANGEROUS METHOD (CAN/GB/GERM/SVIZZ, 2011) diretto da DAVID CRONENBERG. Interpretato da MICHAEL FASSBENDER, VIGGO MORTENSEN, KEIRA KNIGHTLEY, VINCENT CASSEL, SARAH GADON, KATHARINA PALM, CHRISTIAN SERRITIELLO
La storia copre un arco di tempo che va dal 1905 al 1912, ed è interamente ambientata nell’Europa continentale, soprattutto nella Svizzera della belle époque dove nasce il rapporto triangolare fra tre personalità alla ricerca di un’identità sociale, professionale e morale: il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud, il giovane medico-psicologo Carl Gustav Jung e l’aspirante psichiatra Sabina Spielrein, dapprima sofferente di una grave nevrosi e poi seriamente impegnata negli studi universitari. Da notare che è proprio lei a causare l’avvicinamento di Jung a Freud, da lui considerato come un innegabile maestro e una fonte ricchissima di ispirazione, nonostante le sostanziali differenze di pensiero in merito alla veridicità delle fondamenta di una disciplina che in quel periodo stava debuttando nella mentalità degli scienziati più colti e curiosi. Cronenberg decide di ritrarre gli aspetti più mutevoli e contradditori di tre personaggi sicuramente discutibili dal punto di vista della ricerca forsennata di un significato esistenziale, ma la cui integrità e importanza nello sviluppo di teorie solidamente costruite, nonché di cambiamenti profondamente innovativi, non vengono mai poste sotto un interrogativo che rischierebbe dal canto suo di provocare infruttuose forzature. Il film, perfettamente riuscito anche analizzandolo secondo le prospettive più algide e rigorose, rappresenta pure una riflessione meditabonda ma pur sempre accesa sul mestiere dello psicoanalista: pieno di rischi, pericolosamente in bilico fra decisioni che potrebbero esser suscettibili di danneggiare i pazienti, continuamente ambivalente e non privo di coinvolgimenti emotivi destabilizzanti, come quello in cui Jung (un eccellente Fassbender, più controllato e introverso del solito) cade accettando di intessere una relazione sentimentale, a tratti morbosa, con colei che lo distrae dalla moglie fedele e che finisce per affezionarsi a lui sia come un compagno amoroso che come un mentore mediante le traversie di una vita che è capace soltanto di innescare malattie mentali. La meno riuscita del terzetto è probabilmente la Spielrein della Knightley, per via di qualche insistente spinta di troppo sul pedale della redenzione psicologica attraverso una love story che racchiude in sé elementi masochistici di dolore e perdizione, mentre il Freud di Montersen spicca, oltre che per un’aderenza fisica che evita accuratamente la caricatura, per un approccio assai pragmatico e severo al metodo analitico con cui l’esperto per antonomasia di un settore così complesso e sfaccettato opera in un ambiente che è aperto con costanza agli scivoloni, alle paure e alle incertezze. Il regista non manca di inserire le rispettive fragilità nella crescita di tre personalità apparentemente diversissime e in contrasto fra loro, ma in realtà piuttosto adiacenti se le si esamina prendendo in considerazione un aspetto piuttosto ricorrente: il bisogno irrefrenabile e spasmodico di dare un senso a ciò che si vive e al materiale (non solamente clinico) su cui si lavora con accanita dedizione e impegno inappuntabile. E poi abbiamo finalmente a che fare con un esempio di co-produzione fra case cinematografiche di nazionalità diverse che riesce, estromettendo le onnipresenti major statunitensi, a confezionare un prodotto appetibile anche per il pubblico che non s’intende dell’argomento (la psicoanalisi e tutti i suoi correlati) attorno a cui ruota con un dispiegamento di mezzi davvero impressionante e tutt’altro che ampolloso. C’è anche spazio per Otto Gross (un bizzarro ma efficace Cassel), curiosissimo personaggio a metà strada fra il trasandato bohemién e il genio incompreso che gioca a comportarsi da sessuomane mentre persegue un suo personale modo di vivere basato interamente sul soddisfacimento delle pulsioni più immediate e sul travolgimento emozionale spalmato a bella posta nel lavoro. Presentato al Festival di Venezia 2011 e ingiustamente privato di un riconoscimento: con un’opera così raffinata i cui inni di sincerità gridano a squarciagola, si avrebbe avuto una manifestazione cinematografica con uno stampo in più di creatività organica.
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molenga
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lunedì 3 ottobre 2011
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ben confezionato ma prevedibile
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Cronenberg, avvalendosi di tre ottimi attori, ha confezionato un bel film su un periodo focale per lo sviluppo della psichiatria; Freud è interpretato da Mortensen, jung da fassbender e la spielrein dalla knightley: personaggio centrale è proprio jung, dapprima seguace, poi erede designato e infine rivale di freud, la paziente/amante/dottoressa spielrein è keira knigtley. Nel filmi tre si trovano prigionieri della fama, del dabaro e soprattutto del conflitto tra scienza e metafisica. Purtroppo ci troviamo di fronte a fatti storici sui quali più che lavorare di luci e di costumi(eccellentemente" non si può fare; in poche parole, "A dangerous method" non raggiunge i livelli di "spider".
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Cronenberg, avvalendosi di tre ottimi attori, ha confezionato un bel film su un periodo focale per lo sviluppo della psichiatria; Freud è interpretato da Mortensen, jung da fassbender e la spielrein dalla knightley: personaggio centrale è proprio jung, dapprima seguace, poi erede designato e infine rivale di freud, la paziente/amante/dottoressa spielrein è keira knigtley. Nel filmi tre si trovano prigionieri della fama, del dabaro e soprattutto del conflitto tra scienza e metafisica. Purtroppo ci troviamo di fronte a fatti storici sui quali più che lavorare di luci e di costumi(eccellentemente" non si può fare; in poche parole, "A dangerous method" non raggiunge i livelli di "spider".
Grandissimi i camaleonti fassbender e mortensen, delizioso il cammeo di cassel; un discorso a parte va fatto per la knightley, molto brava nell'interpretare la spielrein e i suoi mutamenti-indotti- nel corso delle vicende, ma qualcuno pensi a quella giovane e, per carità di Dio, la faccia mangiare: salvate il soldato knightley.
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gabriella
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lunedì 14 marzo 2016
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istinti naturali e razionalità
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L’isteria fin dal IV secolo A.C. era associata al’ utero femminile , il cui spostamento provocava comportamenti inspiegabili, più avanti si pensava fosse la privazione sessuale la causa; in ogni caso questo si protrasse per 4000 anni fino a che nel 1895 Sigmund Freud scrisse un saggio in cui definiva l’isteria una malattia psichica più che fisica e che era legata a eventi sessuali traumatici vissuti nell’infanzia e rimossi. E’ l’alba della psicanalisi, i pazienti vengono curati con la terapia delle parole. Questo “metodo pericoloso”viene usato anche dal dottor Carl Gustav Jung ( Michael Fassbender), seguace di Freud e delle sue teorie. Giovane e brillante medico, , all’inizio del novecento , nella sua clinica di Zurigo si trova a dover curare una giovane donna, Sabina Spielrein ( Keira Knightley), affetta seriamente da isteria.
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L’isteria fin dal IV secolo A.C. era associata al’ utero femminile , il cui spostamento provocava comportamenti inspiegabili, più avanti si pensava fosse la privazione sessuale la causa; in ogni caso questo si protrasse per 4000 anni fino a che nel 1895 Sigmund Freud scrisse un saggio in cui definiva l’isteria una malattia psichica più che fisica e che era legata a eventi sessuali traumatici vissuti nell’infanzia e rimossi. E’ l’alba della psicanalisi, i pazienti vengono curati con la terapia delle parole. Questo “metodo pericoloso”viene usato anche dal dottor Carl Gustav Jung ( Michael Fassbender), seguace di Freud e delle sue teorie. Giovane e brillante medico, , all’inizio del novecento , nella sua clinica di Zurigo si trova a dover curare una giovane donna, Sabina Spielrein ( Keira Knightley), affetta seriamente da isteria. Data la mente viva edinamica di Sabina ,Jung si rivolge a Freud ( Viggo Mortenson) per un consulto. Avviene così un’intreccio tra i tre,dove la donna diventa il punto focale e motivo di discussione prima,e di disputa poi, tra i due medici . Nel frattempo Jung fa la conoscenza di Otto Gross ( Vincent Cassel), psichiatra e paziente, secondo il quale bisogna sapersi liberare dalla razionalità e dalle sue regole e sprigionare le pulsioni sessuali, così la relazione tra Sabina e Jung, valica il confine professionale , violandolo, e i due si lasciano trasportare da una passione caratterizzata da aspetti sadomasochisti in cui entrambi provano piacere . La corrispondenza di Jung con Freud circa la relazione con una paziente non è sincera fino in fondo, la corrispondenza di Sabina con Freud, tanto più s’infittisce, più diviene complice e solidale. Sullo sfondo, la signora Jung, ricca e benestante, che finge di non sapere, con dignitosa sofferenza e delusa di non compiacere il marito partorendo solo figlie femmine. Le discussioni tra i due psicanalisti diventa sempre più verbosa fino a creare una linearità non più condivisa, il giovane Jung che abbraccia teorie più “mistiche” e l’anziano Freud che si dissocia con convinzione da esse. Pur mantenendo una certa fedeltà storica, il film risente di un certo classicismo, non osa, rimane algido e freddo come uno studio medico, pur essendo un film a colori, dà l’impressione di una pellicola in bianco e nero, a eccezione della scena nella barca con le vele rosse ( regalo a Jung da parte della moglie), con i corpi rannicchiati dei due protagonisti. Molti hanno detto che Cronenberg quasi non si riconosce, eppure sono evidenti le sue asimmetrie ( il rapporto medico paziente, così come ne “Inseparabii”, o le mutazioni fisiche ( Il volto deformato dall’isteria della Knigthley ), e l’interesse per la mente umana, così complessa e indecifrabile , temi molto cari al regista canadese.Ottima l’interpretazione di Mortenson e Fassbender, decisamente inferiore quella della Knithtley che spesso appare forzata e tirata. Forse non è il miglior film di Cronenberg, forse il testo teatrale lo appesantisce e gli toglie quel vigore che ben conosciamo nelle sue opere, eppure la sua estetizzante violenza non lascia indifferenti ,così come i suoi disordini emotivi.
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viva_la_vida
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venerdì 28 ottobre 2011
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dov'è il cinema?
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A Dangerous Method è potenzialmente un grande film, nuovo e originale. Ma solo potenzialmente. Cominciamo dall’inizio: la trama è incentrata sulla figura di Jung, psicanalista ispirato da Freud, da cui poi prenderà le distanze in seguito a prese di posizione di tipo più mistico-filosofiche rispetto alla fredda analisi freudiana. Ma la vicenda è incentrata per lo più sulla storia d’amore tra Jung, marito devoto, e una sua paziente con una storia di grottesca traumaticità alle spalle. Le basi per un buon film non mancano di certo. E a fare la trama sono i dialoghi, curati quasi maniacalmente, sempre espressione di ricercatezza e incisivi.
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A Dangerous Method è potenzialmente un grande film, nuovo e originale. Ma solo potenzialmente. Cominciamo dall’inizio: la trama è incentrata sulla figura di Jung, psicanalista ispirato da Freud, da cui poi prenderà le distanze in seguito a prese di posizione di tipo più mistico-filosofiche rispetto alla fredda analisi freudiana. Ma la vicenda è incentrata per lo più sulla storia d’amore tra Jung, marito devoto, e una sua paziente con una storia di grottesca traumaticità alle spalle. Le basi per un buon film non mancano di certo. E a fare la trama sono i dialoghi, curati quasi maniacalmente, sempre espressione di ricercatezza e incisivi. Il problema tuttavia è che a fare la trama sono solo i dialoghi. Ne deriva senza dubbio una pellicola elitaria e, per dirla banalmente, noiosa. Chi guarda un film vuole anche “vedere” e proprio sul vedere si basa del resto l’arte cinematografica. Un film che piacerà senz’altro ai professoroni del cinema, che vi ritroveranno una ricercatezza stilistica originale, ma su questo non vi è dubbio. Ciò che manca sono le scene, i luoghi, le persone, i volti. Le scenografie sono ripetitive e le inquadrature poco azzardate. I personaggi, che si esprimono solo con le parole, mancano di bellezza. La trama manca di espressività. Il risultato è un film vuoto e pesante.
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jaylee
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mercoledì 2 novembre 2011
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il triangolo no...
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Cronenberg illustra il triangolo (virtuale) tra Carl Jung, Sigmund Freud e Sabine Spielrein nel primo quarto del ventesimo secolo… Basato su una pièce teatrale, a sua volta tratta da un libro (già questo dà un primo senso di polpettone della domenica sera…), A Dangerous Method risulta un’opera narrativa piuttosto verbosa e statica. I personaggi sono tutto sommato ben delineati dall’inizio, anche se, forse proprio per questo, alla fine risultano piuttosto didascalici e bidimensionali. Jung, curioso, intuitivo, contradditorio; Freud, dogmatico, scientifico, razionale; la Spielrein destinata ad essere vittima (consapevole) di se stessa, intrappolata tra il martello e l’incudine. Di fatto, neanche una volta nel film questi personaggi escono dalla loro parte, ogni azione è perfettamente prevedibile.
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Cronenberg illustra il triangolo (virtuale) tra Carl Jung, Sigmund Freud e Sabine Spielrein nel primo quarto del ventesimo secolo… Basato su una pièce teatrale, a sua volta tratta da un libro (già questo dà un primo senso di polpettone della domenica sera…), A Dangerous Method risulta un’opera narrativa piuttosto verbosa e statica. I personaggi sono tutto sommato ben delineati dall’inizio, anche se, forse proprio per questo, alla fine risultano piuttosto didascalici e bidimensionali. Jung, curioso, intuitivo, contradditorio; Freud, dogmatico, scientifico, razionale; la Spielrein destinata ad essere vittima (consapevole) di se stessa, intrappolata tra il martello e l’incudine. Di fatto, neanche una volta nel film questi personaggi escono dalla loro parte, ogni azione è perfettamente prevedibile. I dialoghi non sopperiscono, purtroppo, alla mancanza di sviluppo della trama. Anzi, il film di per sé sembra una sequenza di episodi piuttosto che un’opera unica.
A differenza del rapporto Jung/Spielrein (piatto) e quello Freud/Spielrein (appena accennato, anche se di fatto la Spielrein, e non Jung, è la vera prosecutrice del pensiero di Freud, come si capisce nel film), il rapporto tra il maestro (Freud) e il discepolo (Jung) avrebbe senz’altro i suoi punti di interesse, anche se, fastidiosamente, i due giocano semplicemente ad interpretare i rispettivi sogni (o fanno finta di farlo) per comunicare tra di loro, questo per almeno 3 volte nel film, rendendo il gioco noioso, invece di affrontare in modo godibile, l’inevitabile divergenza dei due pensieri, e le motivazioni che sottendono (Freud rappresenta un modello scientifico avulso dalla cultura dominante, Jung è invece immerso nello Zeitgeist della propria epoca, ormai prossimo alle mitologie ed epiche dei totalitarismi del ‘900).
Purtroppo, A Dangerous Method risulta essere un’opera minore di Cronenberg, assolutamente asettica e a tratti poco ispirata, di certo non supportato dalle glaciali interpretazioni di Fassbender e Mortensen, e da quella posticcia della Knightley (altro che metodo Stanislavskij…). Anche la regia appare più adatta ad uno sceneggiato tedesco, che ad un film con queste aspettative. Si salva, a sorpresa, il quasi cameo di Vincent Cassel, nella parte dell’erotomane e nichilista Otto Gross, che dà un senso di leggerezza e calore nella sua visione del personaggio.
Per alcuni versi questo film ricorda (con pregi e difetti) il Kinsey di Bill Condon... Evidentemente la tematica dell’Eros studiata in modo quasi entomologico deve essere piuttosto complessa da riportare sullo schermo, anche per un maestro certo non timido come Cronenberg. In definitiva, un film che si perderà presto nella memoria. Peccato, perché i presupposti per una pellicola interessante c’erano tutti.
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blackredblues
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lunedì 3 ottobre 2011
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a dangerous subject
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Il film tratta della famosa e mal risaputa disputa tra Sigismondo e Calo Gustavo. A mettere pepe su tutto ciò il rapporto professional-sessuale tra Carlo Gustavo e una sua paziente, poi futura terapeuta. Il campionario è completo: isteria, transfert e controtranfert, rapporto paziente-terapeuta, sessocentrismo, dispute sul metodo. RItengo che sia impossibile parlare di psicologia attraverso i media (per una insanabile idiosincrasia tra i due elementi) e ritengo altrettanto per quanto riguarda il cinema e la psicoanalisi. E' pur vero che è uno sporco lavoro e qualcuno deve pur farlo. In questo caso lo fà Cronenberg, regista da me molto amato, che però in questo caso, forse anche a causa dell'argomento, non ritengo che riesca ad insinuarsi nei reconditi della mente umana come è solito saper fare coi suoi film.
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Il film tratta della famosa e mal risaputa disputa tra Sigismondo e Calo Gustavo. A mettere pepe su tutto ciò il rapporto professional-sessuale tra Carlo Gustavo e una sua paziente, poi futura terapeuta. Il campionario è completo: isteria, transfert e controtranfert, rapporto paziente-terapeuta, sessocentrismo, dispute sul metodo. RItengo che sia impossibile parlare di psicologia attraverso i media (per una insanabile idiosincrasia tra i due elementi) e ritengo altrettanto per quanto riguarda il cinema e la psicoanalisi. E' pur vero che è uno sporco lavoro e qualcuno deve pur farlo. In questo caso lo fà Cronenberg, regista da me molto amato, che però in questo caso, forse anche a causa dell'argomento, non ritengo che riesca ad insinuarsi nei reconditi della mente umana come è solito saper fare coi suoi film. Per questo motivo l'impressione complessiva è quella di una pellicola abbastanza inutile, che non dice nulla di particolarmente interessante. Devo essere onesto, quando mi sono alzato dal sedile della sala cinematografica ho pensato: "Certo che, col senno del poi, avrei potuto aspettare che uscisse in DVD". Tra le altre cose non ho ritrovato la plasticità nelle figure che ha caratterizzato molti film del regista. E' un film di luce, toni tenui e sfumati che restituiscono, anche in questo caso, una certa piattezza visiva. Gli attori sono molto bravi. Bisogna essere onesti dicendo che il doppiaggio della Knightley durante le crisi rende il tutto un po' ridicolo (d'altronde quando ci si abitua a vedere i film in lingua originale il doppiaggio rischia risultare sempre ridicolo). Insomma, come avrete capito non ne sono entusiasta (peccato perchè amo essere entusiasta di Cronenberg).
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