nino pell.
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domenica 17 ottobre 2010
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in risposta a marezia
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Cara Marezia. Non ho ben capito se il tuo intervento si riferisse al mio. Nel caso positivo ti consiglio di riflettere di più sulle cose prima di intervenire a vanvera (te lo dico per il tuo interesse affinché tu possa evitare di fare una brutta figura) in quanto è chiaro che il film mette in evidenza il decorso della malattia del protagonista. Appare chiarissimo. Lo stadio terminale è invece quello nel quale chi viene colpito dalla malattia resta praticamente immobile come un vegetale nel letto. Ed invece nel finale il protagonista si perde nela zona di campagna legata ai suoi ricordi. Se invece non ti riferivi a me, mi scuso per l'equivoco.
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micol bassani
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domenica 17 ottobre 2010
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il magico mondo del morbo di alzheimer.
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Faccio parte di quella categoria di persone che sanno, purtroppo, realmente che cosa è il morbo di Alzheimer. Mia madre, ora è deceduta, ne era affetta.
Reputo il film veramente vergognoso e non aggiungo altro.
Non era necessario utilizzare questa malattia e comunque nessu'altra per raccontare una storia d'amore. E' una malattia che lede i nervi ed i rapporti affettivi di tutti i familiari del paziente. Sono veramente indispettita e disgustata.Credo sia il caso di raccontare alcune cose: la struttura sanitaria è molto assente, quotidianamente devi affrontare le situazioni più disparate, tua madre non ti riconosce più e non riconosce più la sua casa e vuole giocare con le bambole ecc.Inoltre sono sempre pazienti di età oltre i sett'anni.
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Faccio parte di quella categoria di persone che sanno, purtroppo, realmente che cosa è il morbo di Alzheimer. Mia madre, ora è deceduta, ne era affetta.
Reputo il film veramente vergognoso e non aggiungo altro.
Non era necessario utilizzare questa malattia e comunque nessu'altra per raccontare una storia d'amore. E' una malattia che lede i nervi ed i rapporti affettivi di tutti i familiari del paziente. Sono veramente indispettita e disgustata.Credo sia il caso di raccontare alcune cose: la struttura sanitaria è molto assente, quotidianamente devi affrontare le situazioni più disparate, tua madre non ti riconosce più e non riconosce più la sua casa e vuole giocare con le bambole ecc.Inoltre sono sempre pazienti di età oltre i sett'anni.
Comunque se vogliamo parlare degli attori:
1) Fabrizio Bertivoglio, cerca di fare il suo meglio, anche se più che un malato di Alzheimer, sembra un drogato.
2)Francesca Neri, ridicola ed inespressiva, la mimica facciale è bloccata dal botolino.
3)Lino Capolicchio, ha l'aspetto di un malato terminale
4) Vincenzo Crocitti, è deceduto pochi giorni fa, era affetto da un tumore e si vede . Anche in questo caso il regista non ha avuto alcuna pietà, nel farlo recitare, ha risparmiato dul compenso..............
5) Erika Blanc, (sparita dopo la morte del compagno Alberto Lionello), Martine Brochard, Serena Grandi, dovevano lavorare e nessuno ormai le considera. Per cui abbiamo risparmiato sui compensi.
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marezia
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domenica 17 ottobre 2010
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anzi,
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peggio di tantum ergo perché non hai nemmeno capito che quello che hai visto è IL DECORSO DELLA MALATTIA e NON il procedere di situazioni di semplice incomunicabilità o solitudine. Complimenti vivissimi!
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nino pell.
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domenica 17 ottobre 2010
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un argomento trattato con garbata poesia
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Ciò che mi è piaciuto e mi ha convinto del regista Pupi Avati è stata la sua la capacità di aver affrontato in questo suo film il tema dell'alzhaimer con un garbato senso di equilibrio e di non scadere nell'ovvio mostrando, ad esempio, la condizione terminale del protagonista malato per la quale conosciamo tutti le atroci e conclusive sofferenze fisiche. Ottimo il livello interpretativo degli attori. Un finale essenziale ma carico di poesia e che lascia allo spettore un senso pacato ma sentito di commozione.
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mister dp
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domenica 17 ottobre 2010
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i volti della memoria
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Consigliato:sì
Si parla di: Alzheimer, coppia, famiglia, ricordi d’infanzia, Emilia, ciclismo
Visto allo spettacolo delle 22.30
Non mi piacciono le recensioni che svelano troppo la trama rovinando la visione (come fa Fazio con libri e film) pertanto solo qualche nota critica. Film ambientato in una Roma mai così nordica e privata dei suoi soliti luoghi comuni e per i flash back in seppia, nella campagna emiliana. Alta borghesia intellettuale e delle professioni (per cui regolatevi) nel primo caso e mondo contadino del dopoguerra nel secondo. Si parla di malattia ma non solo. Bentivoglio immenso e col pilota automatico, Neri brava ma un’attrice naturalmente più vecchia sarebbe stata più credibile.
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Consigliato:sì
Si parla di: Alzheimer, coppia, famiglia, ricordi d’infanzia, Emilia, ciclismo
Visto allo spettacolo delle 22.30
Non mi piacciono le recensioni che svelano troppo la trama rovinando la visione (come fa Fazio con libri e film) pertanto solo qualche nota critica. Film ambientato in una Roma mai così nordica e privata dei suoi soliti luoghi comuni e per i flash back in seppia, nella campagna emiliana. Alta borghesia intellettuale e delle professioni (per cui regolatevi) nel primo caso e mondo contadino del dopoguerra nel secondo. Si parla di malattia ma non solo. Bentivoglio immenso e col pilota automatico, Neri brava ma un’attrice naturalmente più vecchia sarebbe stata più credibile. Al di là delle parti principali però, alcune scene, soprattutto di raccordo e con parti minori, sembrano mal recitate e frettolose. Va bene la prolificità recente di Avati, ma certe scene erano peggio di ‘Un posto al sole’. Trama che procede a pezzetti, quasi fatta a fette, forse per non far prevalere troppo la facile emozione e la retorica. Se è frutto di una scelta precisa, niente da eccepire. In mano ad un americano sicuramente questo materiale avrebbe fatto la fortuna della Kleenex. Bella e ben interpretata la piccola parte di Cavina, e forse la migliore interpretazione che abbia mai visto di Serena Grandi (ma qui è anche responsabilità mia). Bello anche l’espediente del flashback per introdurre brani dal sapore autobiografico, uno su tutti quello della ‘lotta’ con la ragazza di campagna, che non può non essere stato vissuto. Piccola nota. Le musiche dei film di Avati sono sempre uguali, che si tratti del Bar Margherita, del figlio bonaccione o della borghesia romana.
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gianali
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sabato 16 ottobre 2010
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un film senza età
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E' sicuramente un eccellente lavoro di Pupi Avati.Un film che tutti dovrebbero vedere ed in particolare i giovani,per scoprire o riscoprire la realtà con le sue emozioni,il dolore,la malattia,la solitudine,lontanissimo dal mondo platinato che i media ci dipingono ogni giorno.Un film per pensare,riflettere sul proprio e altrui presente.A mio avviso c'è tanta poesia,tanta sensibilità e amore.
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alexia62
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venerdì 15 ottobre 2010
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entusiasta
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Aspettavo questo film con ansia ed anche questa volta Pupi Avati non si è smentito,di nuovo un film toccante che affronta un tema difficile, coinvolgente dal punto di vista emotivo ma non lacrimevole,nostalgico e a tratti autobiografico,come la maggior parte dei suoi film,ben diretto e ben recitato. Bellissimi i flash back color seppia,nei quali il protagonista vive la sua infanzia,che è un pò anche l'infanzia del regista di origine emiliana.
Bella l'ambientazione nella campagna bolognese degli anni 50/60. Apprezzabile un ottimo Bentivoglio e la Neri che riesce sempre a sorprendere.Ancora una volta sono rimasta entusiasta da un film di Avati,ancora una volta VIVA il cinema italiano!
p.
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Aspettavo questo film con ansia ed anche questa volta Pupi Avati non si è smentito,di nuovo un film toccante che affronta un tema difficile, coinvolgente dal punto di vista emotivo ma non lacrimevole,nostalgico e a tratti autobiografico,come la maggior parte dei suoi film,ben diretto e ben recitato. Bellissimi i flash back color seppia,nei quali il protagonista vive la sua infanzia,che è un pò anche l'infanzia del regista di origine emiliana.
Bella l'ambientazione nella campagna bolognese degli anni 50/60. Apprezzabile un ottimo Bentivoglio e la Neri che riesce sempre a sorprendere.Ancora una volta sono rimasta entusiasta da un film di Avati,ancora una volta VIVA il cinema italiano!
p.s. x marezia ti ho risposto sul forum de "la solitudine dei numeri primi"
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annelise
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venerdì 15 ottobre 2010
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la mente nella nebbia
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Ci sono Lino e Chicca : un giornalista sportivo ed una docente universitaria. C'è la loro bella casa piena di libri e vuota di figli .
Ci sono, poi, momenti intensi e profondi in cui si ci si immerge nel passato di un uomo e nel presente di una coppia. I pensieri di Lino, che si ammala di Alzheimer, si trasformano da bizzarri sintomi confusi, in ricordi chiari, precisi di un'infanzia e di un'adolescenza lontane. Si susseguono le immagini dei suoi amici, dei suoi semplici giochi, del suo cane Perchè, degli zii che lo hanno amorevolmente accolto quando è rimasto orfano.
Questo passato prende via via lo spazio del presente e Lino non è più l'adulto , giornalista affermato, che tutti conoscono.
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Ci sono Lino e Chicca : un giornalista sportivo ed una docente universitaria. C'è la loro bella casa piena di libri e vuota di figli .
Ci sono, poi, momenti intensi e profondi in cui si ci si immerge nel passato di un uomo e nel presente di una coppia. I pensieri di Lino, che si ammala di Alzheimer, si trasformano da bizzarri sintomi confusi, in ricordi chiari, precisi di un'infanzia e di un'adolescenza lontane. Si susseguono le immagini dei suoi amici, dei suoi semplici giochi, del suo cane Perchè, degli zii che lo hanno amorevolmente accolto quando è rimasto orfano.
Questo passato prende via via lo spazio del presente e Lino non è più l'adulto , giornalista affermato, che tutti conoscono. Torna ad essere l'adolescente che ama il ciclismo e fa la corsa campestre.
Chicca ,l'amore della sua vita, lo osserva,si interroga , si preoccupa: la diagnosi della malattia la scovolge . Si allontana quando lui diventa aggressivo. Torna, poi, quando lui le scrive una lettera d'amore. Chicca lì si trasforma nella madre amorevole di un figlio mai avuto: gioca con lui, ride con lui, è la complice di Lino in un mondo di fantasia.
Il loro mondo è sempre stato esclusivo ed incomprensibile agli altri. Sono stati una coppia che si è protetta dalle intrusioni familiari e che, anche in questo momento,si chiude al mondo
Il loro è un amore forte che è diventato tenero e delicato.
La tenerezza in questo film è come la nebbiolina dell'Emilia : pervade lo schermo.
Gli attori sono bravi, non solo la Neri e Bentivoglio ( perfetto nel personaggio) e il regista crea abilmente un'atmosfera che non è mai angosciosa nè cupa. Il film non è un dramma ma è un film sulla vita e sull'amore.
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aesse
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venerdì 15 ottobre 2010
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meglio malati che sani!
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Se siamo d’accordo sul fatto che non esista maggiore sacrilegio che soffocare con la pesantezza dell’età adulta il bambino che ognuno di noi è stato, si capirà che non è un paradosso eccessivo giudicare di entità veniale tutti gli accadimenti di cui sono oggetto, più o meno direttamente, i protagonisti dell’ennesima fatica di Pupi Avati “Una sconfinata giovinezza”che, a scanso di equivoci, voglio da subito definire più che pregevole. A mio avviso, quindi, niente può orbare di più un’esistenza che condurre una vita dimentichi di quella promessa il cui mantenimento è l’unico scopo del vivere, quella promessa che nell’infanzia, e se va bene anche nell’adolescenza è chiara ed inconfondibile, niente può essere più grave, neanche una malattia terribile come l’Alzhimer, una vera e propria piaga sociale e visto che stiamo parlando del racconto che ce ne fa il film e a tale rappresentazione dobbiamo attenerci e solo di quella siamo autorizzati a parlare.
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Se siamo d’accordo sul fatto che non esista maggiore sacrilegio che soffocare con la pesantezza dell’età adulta il bambino che ognuno di noi è stato, si capirà che non è un paradosso eccessivo giudicare di entità veniale tutti gli accadimenti di cui sono oggetto, più o meno direttamente, i protagonisti dell’ennesima fatica di Pupi Avati “Una sconfinata giovinezza”che, a scanso di equivoci, voglio da subito definire più che pregevole. A mio avviso, quindi, niente può orbare di più un’esistenza che condurre una vita dimentichi di quella promessa il cui mantenimento è l’unico scopo del vivere, quella promessa che nell’infanzia, e se va bene anche nell’adolescenza è chiara ed inconfondibile, niente può essere più grave, neanche una malattia terribile come l’Alzhimer, una vera e propria piaga sociale e visto che stiamo parlando del racconto che ce ne fa il film e a tale rappresentazione dobbiamo attenerci e solo di quella siamo autorizzati a parlare. Forse è proprio a questo tipo di lettura che allude il titolo del film, questa giovinezza che tracima e sconfina oltre i limiti imposti dall’età adulta e ci disvela il nascondiglio segreto dove il nostro bambino interiore continua ad “essere” incurante di noi. Quindi sempre seguendo il paradosso dell’assunto vivere una sconfinata giovinezza, seppure patologica, è meno peggio che colpevolmente archiviarla… e ad averla una giovinezza del genere di quella narrata da Avati infatti non è affatto scontato che a parità di condizioni anagrafiche per tutti vada allo stesso modo potendo cioè esperire una vita non fatta di fatti come è quella degli adulti ma con il mito che la fa da padrone e le inezie quotidiane avvolte da un’aura eroica! Difatti, per il protagonista, Lino, poi giornalista sportivo, la giovinezza che si riaffaccia e che prepotente patologicamente lo travolge con un’identificazione totale è quella di solo pochi mesi trascorsi vicino a Sasso Marconi in una cascina degli zii a guarire dalla sua orfanità incipiente e a sentirsi crescere come solo si può fare, ingordi di esperienze, liberi in campagna. Questi i motivi per i quali la commozione che si prova durante la visione di questo bel film si nutre non di tragedia ma di bello e di gioia e della forza dell’amore grande che unisce Lino, uno splendido Bentivoglio, a Chicca, un’eburnea Francesca Neri, amore che la malattia di lui spinge a nuove modalità di manifestazione: lei diverrà madre affettuosa, protettiva e complice… fino all’incidente in cui Chicca se la vede brutta pronta a “ resuscitare” però per il finale del film comparendovi sana e salva senza una spiegazione logica né clinica alla sua miracolosa guarigione. Lino che tale resurrezione aveva visto come unica soluzione e tale eventualità aveva perseguito caparbiamente in un improbabile viaggio a ritroso nel tempo, non lo saprà, sembra scomparso alla ricerca del suo vecchio cane, un bel bracco italiano compagno fedele della sua adolescenza che si chiamava Perché ed è forse grazie a questo suo nome, come i perché che si eternano all’infinito, che Lino si rifiuta di crederlo morto dato che, come dice sorridendo, è impossibile… è un cane immortale!...
ANTONELLA SENSI
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marezia
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venerdì 15 ottobre 2010
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idrusina,
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Adatto ad un pubblico anziano? SECONDO TE, hai detto bene! Io direi sensibile, invece. Che cosa pensavi di andare a vedere? Sai cos'è l'Alzheimer? Fai il paio con tantum ergo anche se siete una coppia "aperta", a quanto pare.
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