paapla
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venerdì 8 ottobre 2010
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commuovere e sorprendere
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C’è una malattia degenerativa che distrugge la vita degli altri, si chiama alzheimer, sono circa 800.000 le persone colpite da demenza oggi in Italia. Pupi Avati ha pubblicato per Rizzoli “Una sconfinata giovinezza”, da cui ha tratto il bellissimo film oggi nelle sale. Il protagonista Lino Settembre (Fabrizio Bentivoglio), perde il contatto con il mondo che lo circonda, trova rifugio nel ricordo dell'infanzia e nei campioni del ciclismo: Coppi, Bartali, Magni, Van Looy, Charly Gaul. L’Alzheimer avanza, distrugge il presente di Lino, lo confina in un passato remoto, fatto di emozioni e profumi dell’infanzia. Le badanti che lo assistono si chiamano: Tatyana e Svetlana. E’ fortunato, ha una buona pensione, al contrario del professore di letteratura inglese, stipendio di 2100 euro, due figli, moglie a casa ammalata d’alzheimer e sola!
Pupi Avati raccontano con maestria, miscela con sapienza passata e presente, commuovere e sorprendere.
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C’è una malattia degenerativa che distrugge la vita degli altri, si chiama alzheimer, sono circa 800.000 le persone colpite da demenza oggi in Italia. Pupi Avati ha pubblicato per Rizzoli “Una sconfinata giovinezza”, da cui ha tratto il bellissimo film oggi nelle sale. Il protagonista Lino Settembre (Fabrizio Bentivoglio), perde il contatto con il mondo che lo circonda, trova rifugio nel ricordo dell'infanzia e nei campioni del ciclismo: Coppi, Bartali, Magni, Van Looy, Charly Gaul. L’Alzheimer avanza, distrugge il presente di Lino, lo confina in un passato remoto, fatto di emozioni e profumi dell’infanzia. Le badanti che lo assistono si chiamano: Tatyana e Svetlana. E’ fortunato, ha una buona pensione, al contrario del professore di letteratura inglese, stipendio di 2100 euro, due figli, moglie a casa ammalata d’alzheimer e sola!
Pupi Avati raccontano con maestria, miscela con sapienza passata e presente, commuovere e sorprendere.
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francesco giuliano
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giovedì 14 ottobre 2010
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agape
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Un film o meglio una fiaba, come è nello stile del regista Pupi Avati, dove la poesia suscita nello spettatore forti emozioni e gli fa provare sensazioni coinvolgenti. Parla, questo bel film, di due personaggi, “giganti” nella loro semplicità, ormai non più giovani, che si amano, come se vivessero fuori dal proprio tempo, come se fossero nella fase di innamoramento: lui, un uomo, giornalista sportivo di successo, lei, una donna, brava docente universitaria, coniugi senza figli.
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Un film o meglio una fiaba, come è nello stile del regista Pupi Avati, dove la poesia suscita nello spettatore forti emozioni e gli fa provare sensazioni coinvolgenti. Parla, questo bel film, di due personaggi, “giganti” nella loro semplicità, ormai non più giovani, che si amano, come se vivessero fuori dal proprio tempo, come se fossero nella fase di innamoramento: lui, un uomo, giornalista sportivo di successo, lei, una donna, brava docente universitaria, coniugi senza figli. Vivono presi dal loro lavoro quotidiano, felici e sereni finché subentra subdolamente una malattia che coglie all’improvviso il marito, che scombussola il quieto vivere e che spadroneggia tra le mura di quell’incantevole ma raro focolare e che, a poco a poco, non domina solo un corpo, ma intreccia nell’animo della moglie una tetra maglia sottile, invisibile, impercettibile, che, rendendo vana ogni speranza di guarigione, gradualmente, Le infonde nel contempo coraggio e animosità.
L’eros che si era manifestato prima come desiderio reciproco, come smania ricambiata, come mutua frenesia, come biunivocità collaborativa, incomincia a cedere il passo di fronte alla cattiveria e alla spietatezza generate da quella disumana malattia. Non c’è più reciprocità d’amore, non c’è scambio d’affetti, c’è soltanto perdita di quell’umano grande valore amoroso tanto e per tanto tempo riposto nella persona amata. Non c’è più eros ricompensato, C’è distacco!
La mancanza di figli, tuttavia, per un prodigio suscitato da una lettera, fa diventare per la donna il marito un figlio da accudire e da assistere e con cui giocare appassionatamente. Ed ecco non più l’eros, ma improvvisamente l’agape, cioè quella concezione d’amore che prescinde dal valore assegnato ad una persona, ovvero in quell’amore che una madre ripone verso il proprio figlio. Il marito diventa figlio. La moglie diventa madre. Soltanto con l’agape la moglie accetta il rifiuto, la mancanza di riconoscenza, l’ingratitudine. Accetta tutto. Grandi e da premio Oscar Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri. Bravissimo Avati che ha saputo creare, con continui flashback essenziali per la comprensione del film, atmosfere da sogno, per una storia che sogno non è. Purtroppo! (Francesco Giuliano)
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alexia62
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venerdì 15 ottobre 2010
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entusiasta
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Aspettavo questo film con ansia ed anche questa volta Pupi Avati non si è smentito,di nuovo un film toccante che affronta un tema difficile, coinvolgente dal punto di vista emotivo ma non lacrimevole,nostalgico e a tratti autobiografico,come la maggior parte dei suoi film,ben diretto e ben recitato. Bellissimi i flash back color seppia,nei quali il protagonista vive la sua infanzia,che è un pò anche l'infanzia del regista di origine emiliana.
Bella l'ambientazione nella campagna bolognese degli anni 50/60. Apprezzabile un ottimo Bentivoglio e la Neri che riesce sempre a sorprendere.Ancora una volta sono rimasta entusiasta da un film di Avati,ancora una volta VIVA il cinema italiano!
p.
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Aspettavo questo film con ansia ed anche questa volta Pupi Avati non si è smentito,di nuovo un film toccante che affronta un tema difficile, coinvolgente dal punto di vista emotivo ma non lacrimevole,nostalgico e a tratti autobiografico,come la maggior parte dei suoi film,ben diretto e ben recitato. Bellissimi i flash back color seppia,nei quali il protagonista vive la sua infanzia,che è un pò anche l'infanzia del regista di origine emiliana.
Bella l'ambientazione nella campagna bolognese degli anni 50/60. Apprezzabile un ottimo Bentivoglio e la Neri che riesce sempre a sorprendere.Ancora una volta sono rimasta entusiasta da un film di Avati,ancora una volta VIVA il cinema italiano!
p.s. x marezia ti ho risposto sul forum de "la solitudine dei numeri primi"
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pulpiccion.blogspot.com
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martedì 26 ottobre 2010
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una sconfinata tenerezza
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Penso che l'obiettivo di Pupi Avati fosse quello di raccontare una storia a cui nessuno potesse restare indifferente, forse perché si parla di malattia. E di una in particolare, l'alzheimer. E forse perché lo fa mettendosi dalla parte di chi questa malattia la subisce, insieme al malato. E' così che da storia di una malattia si trasforma, inevitabilmente nella storia di un amore.
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Penso che l'obiettivo di Pupi Avati fosse quello di raccontare una storia a cui nessuno potesse restare indifferente, forse perché si parla di malattia. E di una in particolare, l'alzheimer. E forse perché lo fa mettendosi dalla parte di chi questa malattia la subisce, insieme al malato. E' così che da storia di una malattia si trasforma, inevitabilmente nella storia di un amore.
Lino e Chicca sono i protagonisti, interpretati magistralmente da Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri. Non c'è molto da dire sulla trama, Lino si ammala e improvvisamente tutto cambia per lui, e per Chicca. La sofferenza, la violenza, l'abbandono e, infine, l'amore. Amore che si trasforma, passando da coniugale a filiale. Chicca trova il modo di comunicare con Lino, diventando insieme mamma e compagna di giochi. Commuovente la scena in cui giocano con i tappi di bottiglia sul pavimento di casa, proprio come fanno i bambini. Sì, perché Lino si è rifugiato nella sua infanzia, estraniandosi completamente dal mondo che lo circonda. E magari non ricorda più i nomi dei parenti, ma quelli dei ciclisti dell'epoca se li ricorda bene, e include la sua Chicca in questo suo viaggio infantile. Lei si lascia guidare da questo eterno ragazzo che le mostra una realtà, non tangibile, ma vivida nella sua mente.
Avati ne approfitta per descrivere, con occhio cinico, la pochezza di certi individui di campagna che contrappone, con abilità, alla famiglia di Chicca, borghese e benestante, ma altrettanto priva di sensibilità.
Che dire del finale? Sorprendente nella sua semplicità. Poco realista, fa però venire da pensare che non poteva finire altrimenti. Poetico.
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annelise
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venerdì 15 ottobre 2010
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la mente nella nebbia
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Ci sono Lino e Chicca : un giornalista sportivo ed una docente universitaria. C'è la loro bella casa piena di libri e vuota di figli .
Ci sono, poi, momenti intensi e profondi in cui si ci si immerge nel passato di un uomo e nel presente di una coppia. I pensieri di Lino, che si ammala di Alzheimer, si trasformano da bizzarri sintomi confusi, in ricordi chiari, precisi di un'infanzia e di un'adolescenza lontane. Si susseguono le immagini dei suoi amici, dei suoi semplici giochi, del suo cane Perchè, degli zii che lo hanno amorevolmente accolto quando è rimasto orfano.
Questo passato prende via via lo spazio del presente e Lino non è più l'adulto , giornalista affermato, che tutti conoscono.
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Ci sono Lino e Chicca : un giornalista sportivo ed una docente universitaria. C'è la loro bella casa piena di libri e vuota di figli .
Ci sono, poi, momenti intensi e profondi in cui si ci si immerge nel passato di un uomo e nel presente di una coppia. I pensieri di Lino, che si ammala di Alzheimer, si trasformano da bizzarri sintomi confusi, in ricordi chiari, precisi di un'infanzia e di un'adolescenza lontane. Si susseguono le immagini dei suoi amici, dei suoi semplici giochi, del suo cane Perchè, degli zii che lo hanno amorevolmente accolto quando è rimasto orfano.
Questo passato prende via via lo spazio del presente e Lino non è più l'adulto , giornalista affermato, che tutti conoscono. Torna ad essere l'adolescente che ama il ciclismo e fa la corsa campestre.
Chicca ,l'amore della sua vita, lo osserva,si interroga , si preoccupa: la diagnosi della malattia la scovolge . Si allontana quando lui diventa aggressivo. Torna, poi, quando lui le scrive una lettera d'amore. Chicca lì si trasforma nella madre amorevole di un figlio mai avuto: gioca con lui, ride con lui, è la complice di Lino in un mondo di fantasia.
Il loro mondo è sempre stato esclusivo ed incomprensibile agli altri. Sono stati una coppia che si è protetta dalle intrusioni familiari e che, anche in questo momento,si chiude al mondo
Il loro è un amore forte che è diventato tenero e delicato.
La tenerezza in questo film è come la nebbiolina dell'Emilia : pervade lo schermo.
Gli attori sono bravi, non solo la Neri e Bentivoglio ( perfetto nel personaggio) e il regista crea abilmente un'atmosfera che non è mai angosciosa nè cupa. Il film non è un dramma ma è un film sulla vita e sull'amore.
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algernon
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domenica 17 ottobre 2010
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bello
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Una storia delicata ma Pupi Avati è il regista giusto per raccontarla con garbo, e altrettanto garbati e ben scelti sono i protagonisti Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri. Ed il film non è affatto nosioso, come invece alcuni hanno scritto, al contrario riesce a comunicare un senso di attesa per il decorso della malattia e per le sue progressive manifestazioni. Belle anche le sequenze dell'infanzia, nella loro semplicità contadina. Sgradevole la famiglia, opulenta e distaccata. Tanto distaccata da omettere nel finale la necessaria sorveglianza per un malato tanto grave, e così permettere un epilogo sorprendente.
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manfro
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domenica 17 ottobre 2010
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un film emozionante e struggente come pochi
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Inutile soffermarsi sulla bravura e la capacità espressiva dell'ottimo cast messo in campo da Avati; ogni personaggio partecipa alla scena offrendo il suo contributo in maniera ineccepibile. La sensazione di drammaticità all'uscita dalla sala pervade la mente, viene spontaneo chiedersi se l'attore si è immedesimato tanto nella sua parte da contrarre realmente e non solo scenograficamente la malattia devastante, filo conduttore del film. A primo impatto può sembrare solo una banale descrizione medica e psicologica di un uomo, arrivato ormai all'eta della pensione, affetto da Alzhaimer. Ma più procede la narrazione, maggiore è la consapevolezza da parte dello spettatore che la narrazione va oltre l'aspetto medico-analitico.
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Inutile soffermarsi sulla bravura e la capacità espressiva dell'ottimo cast messo in campo da Avati; ogni personaggio partecipa alla scena offrendo il suo contributo in maniera ineccepibile. La sensazione di drammaticità all'uscita dalla sala pervade la mente, viene spontaneo chiedersi se l'attore si è immedesimato tanto nella sua parte da contrarre realmente e non solo scenograficamente la malattia devastante, filo conduttore del film. A primo impatto può sembrare solo una banale descrizione medica e psicologica di un uomo, arrivato ormai all'eta della pensione, affetto da Alzhaimer. Ma più procede la narrazione, maggiore è la consapevolezza da parte dello spettatore che la narrazione va oltre l'aspetto medico-analitico. L'uomo che regredisce bambino, è lui stesso a diventare narratore, spazia dall'odierno al passato dai toni nero-seppia, passando per il dolore e la malinconia della moglie, l'unico baluardo, l'unica fonte di speranza a cui un bambino fragile può aggrapparsi. E' un ritorno all'infanzia, ma lungi da essere una visione bambinesca della malattia,traspare e si condivide il dolore della mente stanca della compagna fedele da 50 anni. Il film è straordinariamente malinconico eppure davvero toccante. Anche troppo
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ipno74
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sabato 12 marzo 2011
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la delicatezza di un film
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Grande film di Pupi Avati.
Il film è tutto una delicatezza.
Delicata è la regia.
Delicato l'argomento.
Delicate le recitazioni.
Delicata la sceneggiatura.
Le scene sono girate con la lentezza della malattia che distrugge un uomo sino a farlo ritornare bambino.
La Neri sta diventando veramente brava.
Poi si sente il sapore dei vecchi film di una volta, quasi che il protagonista potrebbe essere sostituito da un viso ironico - drammatico come quello di Alberto Sordi.
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mister dp
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domenica 17 ottobre 2010
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i volti della memoria
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Consigliato:sì
Si parla di: Alzheimer, coppia, famiglia, ricordi d’infanzia, Emilia, ciclismo
Visto allo spettacolo delle 22.30
Non mi piacciono le recensioni che svelano troppo la trama rovinando la visione (come fa Fazio con libri e film) pertanto solo qualche nota critica. Film ambientato in una Roma mai così nordica e privata dei suoi soliti luoghi comuni e per i flash back in seppia, nella campagna emiliana. Alta borghesia intellettuale e delle professioni (per cui regolatevi) nel primo caso e mondo contadino del dopoguerra nel secondo. Si parla di malattia ma non solo. Bentivoglio immenso e col pilota automatico, Neri brava ma un’attrice naturalmente più vecchia sarebbe stata più credibile.
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Consigliato:sì
Si parla di: Alzheimer, coppia, famiglia, ricordi d’infanzia, Emilia, ciclismo
Visto allo spettacolo delle 22.30
Non mi piacciono le recensioni che svelano troppo la trama rovinando la visione (come fa Fazio con libri e film) pertanto solo qualche nota critica. Film ambientato in una Roma mai così nordica e privata dei suoi soliti luoghi comuni e per i flash back in seppia, nella campagna emiliana. Alta borghesia intellettuale e delle professioni (per cui regolatevi) nel primo caso e mondo contadino del dopoguerra nel secondo. Si parla di malattia ma non solo. Bentivoglio immenso e col pilota automatico, Neri brava ma un’attrice naturalmente più vecchia sarebbe stata più credibile. Al di là delle parti principali però, alcune scene, soprattutto di raccordo e con parti minori, sembrano mal recitate e frettolose. Va bene la prolificità recente di Avati, ma certe scene erano peggio di ‘Un posto al sole’. Trama che procede a pezzetti, quasi fatta a fette, forse per non far prevalere troppo la facile emozione e la retorica. Se è frutto di una scelta precisa, niente da eccepire. In mano ad un americano sicuramente questo materiale avrebbe fatto la fortuna della Kleenex. Bella e ben interpretata la piccola parte di Cavina, e forse la migliore interpretazione che abbia mai visto di Serena Grandi (ma qui è anche responsabilità mia). Bello anche l’espediente del flashback per introdurre brani dal sapore autobiografico, uno su tutti quello della ‘lotta’ con la ragazza di campagna, che non può non essere stato vissuto. Piccola nota. Le musiche dei film di Avati sono sempre uguali, che si tratti del Bar Margherita, del figlio bonaccione o della borghesia romana.
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angelo umana
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mercoledì 13 aprile 2011
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dove vanno i bambini che scappano?
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Misteri della mente, più intriganti dei misteri dell’aldilà contenuti in Hereafter di Eastwood (pretesti per una storia d’amore). La mente di Lino, giornalista sportivo dalla battuta pronta e dagli scritti fluenti, gli riserva pian piano vuoti di parole e di memoria, e la fatica di mettere insieme i pensieri. Dalla facilità dello scrivere a una fatica tremenda per comporre una lettera: è la mancanza di collegamenti dell’Alzheimer. I ritrovi alle feste comandate coi parenti lasciano il posto ai mormorii; alla stima dei colleghi si sostituisce il sospetto e l’allontanamento dal giornale; l’aggressività verso la moglie a causa di ciò che Lino perde, del proprio fallimento, prende il posto di un’unione serena.
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Misteri della mente, più intriganti dei misteri dell’aldilà contenuti in Hereafter di Eastwood (pretesti per una storia d’amore). La mente di Lino, giornalista sportivo dalla battuta pronta e dagli scritti fluenti, gli riserva pian piano vuoti di parole e di memoria, e la fatica di mettere insieme i pensieri. Dalla facilità dello scrivere a una fatica tremenda per comporre una lettera: è la mancanza di collegamenti dell’Alzheimer. I ritrovi alle feste comandate coi parenti lasciano il posto ai mormorii; alla stima dei colleghi si sostituisce il sospetto e l’allontanamento dal giornale; l’aggressività verso la moglie a causa di ciò che Lino perde, del proprio fallimento, prende il posto di un’unione serena. Nel film ci sono due grandi temi, la malattia senile (il deteriorarsi) e l’infanzia (isola felice). In questa si rifugia Lino – nei ritrovi parentali guarda caso amava la vicinanza dei bambini - quando non ha più legami logici col mondo e nemmeno con la moglie, che lo vorrebbe assistere come “il bambino che non ho mai avuto”. La regressione all’infanzia però è pericolosa, è la protezione cercata in un grosso ventre che ci conteneva da bambini e ci rendeva la vita sgombra da pensieri e pericoli, da adulti però quell'età si trasforma in un bosco che ci inghiotte. Inutile andare a cercare ciò che si è perso ma la mente indebolita non lo sa e cerca rifugio nel ventre caldo che non c’è più. Le scene di Pupi Avati sono ben ordinate come al solito, ha un modo sistematico di esporle; intense e vere le interpretazioni di Francesca Neri e Fabrizio Bentivoglio.
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