The Pacific

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La guerra di Spielberg e Hanks tanto simile a quelle di oggi

di Francesca Lombardo Il Venerdì di Repubblica

A raccontare la Seconda guerra mondiale avevano cominciato nel 1998 con Salvate il soldato Ryan. Poi, nel 2001, decidono di produrre Band of Brothers, la serie sulla guerra in Europa, diventata popolarissima. Ora arriva The Pacific (oggi in anteprima al Telefilm Festival di Milano e dal 9 maggio in onda su Sky Cinema 1).
Anche stavolta Tom Hanks e Steven Spielberg hanno fatto le cose in grande: un budget da 250 milioni di dollari, sette anni di preparazione, sei registi e sei sceneggiatori, un cast tecnico di 800 persone, 138 attori e più di 26 mila comparse. Ma l'attesissima miniserie televisiva in dieci puntate è una specie di sequel di Band of Drothers o cos'altro? «È il rovescio della medaglia» spiega Tom Hanks. «Con Band of Brothers avevamo raccontato la Seconda guerra mondiale versione uno e sapevamo che c'era ancora la versione due da affrontare» spiega Hanks. «La versione uno era quella della guerra in Europa, gli aspetti strategici, le immagini di eserciti che sfilavano e marciavano in luoghi storici e simbolo del continente, la sconfitta di Hitler e Mussolini. Gli americani che liberano Parigi, Berlino che cade. Ma la natura della guerra nel Pacifico è stata molto diversa da quella combattuta in Europa, dove il nemico si arrendeva, veniva fatto prigioniero, e i corpi dei caduti restituiti ai loro cari. Nelle isole del Sud Pacifico, la distruzione totale del nemico era l'unica opzione possibile».
Secondo Hanks e Spielberg, la guerra contro l'impero nipponico è anche l'aspetto meno documentato dai media e dal cinema. «Nello sceneggiato, però, non ci sono solo soldati che muoiono. The Pacific è anche la storia di quelli che sono sopravvissuti, fisicamente e emotivamente, che hanno avuto la forza di continuare a vivere una volta tornati a casa. Abbiamo voluto raccontare anche la storia delle loro famiglie, dei momenti condivisi prima della partenza per il fronte, il mondo da cui provenivano e il mondo che li ha accolti al loro rientro. E soprattutto la loro straordinaria capacità di tornare alla vita» aggiunge Spielberg.
La trama riprende le vicende realmente vissute di tre marines: Eugene Siedge, interpretato da Joseph Mazzello (che da bambino aveva lavorato con Spielberg in Jurassik Park), Robert Leckie (James Badge Dale) e l'oriundo italiano John Basilone (Jon Seda), i quali, al ritorno in patria, hanno affrontato e sublimato gli orrori della guerra scrivendo le loro memorie.
«John Basilone ottenne la medaglia d'onore del Congresso e la sua vita e le sue imprese sono molto ben documentate, così abbiamo potuto raccontarle in modo dettagliato. Robert Leckie, prima della guerra, era uno scrittore, e al ritorno ha raccontato, in un libro magnifico intitolato L'elmetto per cuscino, la sua esperienza a Guadalcanal e Peleliu» racconta Hanks.
A scene di vita familiare, dunque, si alternano quelle ad alto voltaggio emotivo dei marines che sbarcano per la prima volta su una delle sperdute e inospitali isole del Pacifico. Senso di stupore, curiosità, paura, l'intensa pressione psicologica dovuta alla graduale scoperta di un territorio inospitale e selvaggio, ma anche il terrore e la vulnerabilità di fronte a un nemico feroce che non ha volto e non ha nome e spunta all'improvviso; sono queste le emozioni che definiscono la narrazione e il tono delle prime due puntate dello sceneggiato. «La tragicità» continua Hanks «sta nel fatto che i marines non avevano nessuna idea di quello che li aspettava. A differenza dei soldati arrivati in Europa, non conoscevano e non sapevano nulla del loro nemico».
In America, la serie televisiva è diventata il centro di molte polemiche sulle similitudini tra la guerra del '45 e quelle più recenti combattute dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan. «I giapponesi della guerra nel Pacifico si ispiravano a un sistema di valori diverso, difficile da comprendere e accettare da parte della cultura occidentale. C'erano i kamikaze, pronti a trasformarsi in armi umane e a sacrificare la vita in nome della loro devozione alla patria. È difficile non fare i paragoni con quelli di oggi. Per non parlare della inospitalità del terreno e delle difficili condizioni climatiche che i soldati americani hanno affrontato in Iraq e in Afghanistan».
Girato in maniera classica, con movimenti lenti di camera, ampie riprese angolari e con la tecnica dell'alta definizìone, in The Pacific si ha quasi la sensazione di vivere in prima persona l'esperienza della giungla: «Tutto è terribilmente reale, la fatica, il caldo asfissiante, gli insetti, la brutalità dei corpi dilaniati dalle armi da fuoco, ma anche le emozioni, la paura sul volto dei marines che si tramuta in ferocia spietata» spiega Spielberg.
L'uccisione del nemico non è più un gesto ispirato da ideali patriottici, ma diventa un atto disperato dettato dal senso della sopravvivenza. E al desiderio di fare intrattenimento, informando e soprattutto emozionando, si aggiunge il profondo senso di responsabilità che ha condizionato sia Spielberg che Hanks nella realizzazione di questo kolossal tv. «Penso che ogni volta che si raccontano storie vere si debba sentire una responsabilità speciale, e fare in modo che i veterani possano guardare la loro storia e dire "Sì, è andata proprio così"» racconta Spielberg.
Ma l'obiettivo dei due produttori è andato oltre il tentativo di rappresentare con correttezza e veridicità emotiva la vicenda dei marines sopravvissuti al conflitto. «Credo che con Band of Brothers, per la prima volta il mezzo televisivo si sia elevato come genere, trattando argomenti molto drammatici con la serietà tipica del mezzo cinematografico» spiega ancora Hanks. «Non a caso, la nostra serie è stata considerata alla stregua di un'opera letteraria che si conserva nella libreria di casa e che si torna a consultare magari dopo anni. Essere riusciti ad elevare un prodotto televisivo al livello di una forma d'arte, per noi è stato davvero un grande traguardo. E adesso speriamo di ottenere lo stesso risultato anche con The Pacific».
da Il Venerdì di Repubblica, 7 maggio 2010


di Francesca Lombardo, 7 maggio 2010

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