linus2k
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giovedì 4 novembre 2010
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la magia esiste!
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Non è vero che le magie non esistono... Se si mettono insieme un mito del cinema come Jacques Tati e si mette una sua sceneggiatura inedita in mano a Sylvain Chomet ("Le triplettes de Belleville"), l'effetto è di pura magia.
Ebbene sì... l'Illusionista compie la sua più grande magia in sala, davanti a quel pubblico che ha ancora voglia di songare davanti ad un bel film d'animazione fatto "come ai vecchi tempi", che riesce ad emozionare senza tecnologie speciali, computer grafica, occhialetti... La magia di Chomet è tutta nella sua matita e nella sua capacità di dar vita a personaggi fantastici, persino a fare un piccolo miracolo e restituirci, per 75 minuti, l'anima del grande Tati, come lo ricordiamo ancora da "Mon Oncle", "Playtimes" o dai tanti episodi di quello stralunato e dolcissimo personaggio che era Monsieur Hulot.
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Non è vero che le magie non esistono... Se si mettono insieme un mito del cinema come Jacques Tati e si mette una sua sceneggiatura inedita in mano a Sylvain Chomet ("Le triplettes de Belleville"), l'effetto è di pura magia.
Ebbene sì... l'Illusionista compie la sua più grande magia in sala, davanti a quel pubblico che ha ancora voglia di songare davanti ad un bel film d'animazione fatto "come ai vecchi tempi", che riesce ad emozionare senza tecnologie speciali, computer grafica, occhialetti... La magia di Chomet è tutta nella sua matita e nella sua capacità di dar vita a personaggi fantastici, persino a fare un piccolo miracolo e restituirci, per 75 minuti, l'anima del grande Tati, come lo ricordiamo ancora da "Mon Oncle", "Playtimes" o dai tanti episodi di quello stralunato e dolcissimo personaggio che era Monsieur Hulot.
L'Illusionista è tutto questo, è un piccolo, grande viaggio in un mondo fatto di suoni e di musica, che ha bisogno di pochissime parole per comunicare, ma che comunica meglio che se fosse stato parlato dall'inizio alla fine; penetra negli occhi e arriva subito a colpire le nostre corde più sensibili. E così, come un Pierrot triste, ci accompagna con un sorriso attraverso una storia malinconica e disillusa, una storia fondamentalmente triste come è triste scoprire il trucco del prestigiatore e rompere così la magia dell'illusione...
Probabilmente il miglior film di Chomet (supera a mio giudizio "Le triplettes de Belleville"), è un film che rimane impresso all'uscita, che ti lascia un segno, che ti fa venir voglia di rivederlo anche subito...
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il brandani
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domenica 26 dicembre 2010
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la magia esiste e chomet ce ne da la prova!
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È la triste storia di un prestigiatore che, nella seconda metà degli anni ’50, viene sempre più allontanato dai grandi e importanti teatri, vittima dell’avvento delle giovani rock star che, al contrario, fanno il tutto esaurito. Egli si ritrova quindi costretto a esibirsi in teatri di terz’ordine, locande e bar. Un giorno, durante una sua esibizione in un locale in Scozia, conosce una ragazzina che rimane totalmente ammaliata dai suoi numeri di magia. La ragazza, emblema dell’innocenza e dell’ingenuità infantile, crede di trovarsi di fronte a un vero mago e decide perciò di seguirlo, lasciando il suo lavoro di sguattera, nella speranza che la sua magia possa offrirle un futuro migliore.
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È la triste storia di un prestigiatore che, nella seconda metà degli anni ’50, viene sempre più allontanato dai grandi e importanti teatri, vittima dell’avvento delle giovani rock star che, al contrario, fanno il tutto esaurito. Egli si ritrova quindi costretto a esibirsi in teatri di terz’ordine, locande e bar. Un giorno, durante una sua esibizione in un locale in Scozia, conosce una ragazzina che rimane totalmente ammaliata dai suoi numeri di magia. La ragazza, emblema dell’innocenza e dell’ingenuità infantile, crede di trovarsi di fronte a un vero mago e decide perciò di seguirlo, lasciando il suo lavoro di sguattera, nella speranza che la sua magia possa offrirle un futuro migliore. Il prestigiatore non ha la forza di spezzare questo tenero incantesimo e dirle la verità, ma prima o poi tutti i bambini scoprono che Babbo Natale non esiste..
Dopo l’audace e bellissimo Appuntamento a Belleville, Sylvain Chomet supera sé stesso e ci regala questa perla alla quale non posso trattenermi dall’assegnare il massimo dei punti.
La bellezza dei fondali disegnati a mano (straordinariamente coerenti con i paesaggi reali) si sposa felicemente con qualche passaggio di telecamera realizzato in computer grafica sapientemente somministrata in dosi leggere. Chomet crea un mondo in cui naufragar ci è dolce, dove la consapevole mancanza di un nitido che tutto illumina (ma che spesso tutto rende artefatto) conferisce alla pellicola la bellezza di un cartone animato anni ’40, quelli, per intenderci, con gli sfondi realizzati con la tecnica dell'acquarello (dei quali capostipite è sicuramente Biancaneve e i sette nani di Walt Disney).
Ma il vero punto di forza del film sono sicuramente i personaggi.
Chomet muove le sue creature nei meandri più tristi della condizione umana, quelli della rinuncia alla realizzazione di un sogno: impossibile non provare dolore per le vicende che coinvolgono il clown e il ventriloquo, personaggi nei quali, volendo, si potrebbero scorgere degli echi felliniani (La strada, I clowns) e prima ancora chapliniani (Il circo).
Elemento molto importante che dimostra la maestria con cui è stato girato questo film è la scelta, divenuta ormai firma del regista, di non far mai parlare i personaggi. Tralasciando qualche sussulto, due, massimo tre parole sommesse, Chomet ripone molta più fiducia nella comunicatività delle loro espressioni e delle loro fisionomie: si tratta di vere e proprie caricature in movimento, dotate di una accattivante potenza satirica che si traduce in atto nel semplice ma efficace linguaggio del corpo. Il ciclista di Appuntamento a Belleville, con il suo corpicino minuto e i polpacci esageratamente sviluppati, era solo un bozzetto in confronto all’impatto comunicativo delle movenze delle rock star di questa pellicola.
A questo punto chi legge sono certo che si domanderà: “ok, dev’essere sicuramente un bel film, ma il massimo dei voti si da a un capolavoro: dove risiede in tutto ciò lo slancio per la tanto ambita quinta stella?”
Per rispondere a questa domanda è opportuno fare un approfondimento sulla genesi del film. Jacques Tati era un attore e mimo specializzato nella slapstick comedy, particolare tipologia di comicità che vide in Buster Keaton e in Charlie Chaplin i suoi massimo esponenti. Vincitore del premio Oscar nel 1958 con il lungometraggio Mon Oncle, da lui diretto e interpretato, Tati scrisse la sceneggiatura de L’illusionista nel 1956 ma essa rimase soltanto un insieme di fogli fino alla morte del suddetto. Fu solo grazie a Sophie Tatischeff, la figlia del regista, se oggi abbiamo il piacere di vedere questa meraviglia. Desiderosa di vederne la realizzazione, anche perché considerata come una lettera d'amore da parte del padre, Tatischeff acconsentì ad affidare la sceneggiatura a Chomet, nel quale vide la persona più adeguata a tale scopo.
Questa premessa è indispensabile per comprendere al meglio una scena nella seconda metà del film, la quale gli conferisce, per l’appunto, a mio avviso, l’ultima spinta per toccare le 5 stelle.
A un certo punto il prestigiatore, nel cercare la ragazza, finisce in un cinema in cui stanno proiettando Mon Oncle. Una volta entrato si blocca alla vista del protagonista del film, sorprendentemente simile a lui. In un inaspettato gioco di finzione Chomet ha posto il suo personaggio (che ha le sembianze di Jacques Tati) in posizione frontale rispetto al protagonista di Mon Oncle (interpretato da Jacques Tati), nel preciso momento in cui, nella reale sequenza mostrata, egli è nella medesima posizione rispetto al personaggio animato. Si viene così a creare un geniale gioco di specchi in cui i due personaggi, per qualche istante, compiono gli stessi movimenti e manifestano la stessa perplessità. La ciliegina sulla torta: una volta uscito dalla sala si può notare che il nome del cinema è Cameo. Applausi.
Tatischeff può ritenersi ampiamente soddisfatta, non poteva trovare un regista più adatto per far tornare in vita e al tempo stesso omaggiare il genio del padre.
Insomma, un film fantastico, magico, che per un’ora e mezza ci affascina, ci cattura e ci ammalia esattamente come l’illusionista con la giovane ragazza, ma che non si tira indietro nel farci del male, e se decide di farlo, non ha nessuna pietà. Premunitevi di un pacchetto di fazzoletti.
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nino quincampoix
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giovedì 11 novembre 2010
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la poesia e le sue magie
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Sarò ripetitivo (l'hanno già scritto in molti e quindi ammetto umilmente di essere poco originale): questo film è poesia. Poesia à la Jacques Tati, che lo scrive e lo interpreta (è lì davanti allo spettatore, non si può negare). I disegni animano uno storia candidamente semplice e affascinante. E se la vita è un grande spettacolo, come diceva uno dei più riusciti personaggi di Tati, Monsier Hulot, e basta soltanto avere occhi per osservare, Sylvain Chomet ce li fornisce con colori e luce che emozionano più di mille parole. Consigliato vivamente a chi ha voglia di sognare.
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aidanitterec
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martedì 2 novembre 2010
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l'illusionista la nostalgia dei buoni sentimenti
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L'illusionista è un gran film, tanto che ci si dimentica di guardare un film di animazione. I personaggi sono così ben caratterizzati, anche quelli che appaiono per pochi minuti, che esprimono tutta la loro umanità nel bene e nel male. Forse sentimenti di altri tempi, ma che ti lasciano tutta la nostalgia di voler rivivere il passato e il rimpianto per la poesia, il sentimento e il rispetto che appaiono persi nel mondo odierno. Il sentimento che lega Tatischeff (il vero nome di Jacques Tati di cui il personaggio ha i tratti essendo il film la realizzazione di una sceneggiatura originale di Tatì) ad Alice è tenero e generoso, l'ingenuità di Alice nel credere nella magia è disarmante e l'incontro con la realtà che all'imporvviso le si manifesta con l'amore anche se inevitabile lascia il rimpianto per l'ingenuità di un amore disinteressato e puro come quello padre/figlia che in effetti lega Tatischeff e Alice.
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L'illusionista è un gran film, tanto che ci si dimentica di guardare un film di animazione. I personaggi sono così ben caratterizzati, anche quelli che appaiono per pochi minuti, che esprimono tutta la loro umanità nel bene e nel male. Forse sentimenti di altri tempi, ma che ti lasciano tutta la nostalgia di voler rivivere il passato e il rimpianto per la poesia, il sentimento e il rispetto che appaiono persi nel mondo odierno. Il sentimento che lega Tatischeff (il vero nome di Jacques Tati di cui il personaggio ha i tratti essendo il film la realizzazione di una sceneggiatura originale di Tatì) ad Alice è tenero e generoso, l'ingenuità di Alice nel credere nella magia è disarmante e l'incontro con la realtà che all'imporvviso le si manifesta con l'amore anche se inevitabile lascia il rimpianto per l'ingenuità di un amore disinteressato e puro come quello padre/figlia che in effetti lega Tatischeff e Alice. Le immagini sono bellissime, la costa scozzese e Edimburgo hanno anche loro il fascino del passato. Grazie a Chomet per questo regalo, per darci la possibilità di passare poco meno di 1 ora e mezza immersi nella poesia.
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reservoir dogs
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domenica 6 febbraio 2011
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l'immortalità (nascosta) del cinema
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In una Parigi chiaroscurale di inizio '900 un piano sequenza iniziale ci introduce in un teatro, metafora della vita, dove un ombra longilinea ed un pò goffa si esibisce in giochi di prestigio.
Il bianco e nero sfuma ben presto in colorazioni calde che ci mostrano di un mondo di artisti la cui vita sembra essere legata a doppio filo con l'arte che essi praticano tanto da renderli incapaci a cambiare.
Un anziano illusionista, le cui sembianza con Monsieur Hulot è indiscutibile, durante le sue esibizioni fatte di conigli (aggressivi) che escono dal cappello e fazzolletti che nascondono colombe, si rende conto di dover lasciare posto ad una frenetica modernità fatta di juke box e giovani gruppi rock emergenti.
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In una Parigi chiaroscurale di inizio '900 un piano sequenza iniziale ci introduce in un teatro, metafora della vita, dove un ombra longilinea ed un pò goffa si esibisce in giochi di prestigio.
Il bianco e nero sfuma ben presto in colorazioni calde che ci mostrano di un mondo di artisti la cui vita sembra essere legata a doppio filo con l'arte che essi praticano tanto da renderli incapaci a cambiare.
Un anziano illusionista, le cui sembianza con Monsieur Hulot è indiscutibile, durante le sue esibizioni fatte di conigli (aggressivi) che escono dal cappello e fazzolletti che nascondono colombe, si rende conto di dover lasciare posto ad una frenetica modernità fatta di juke box e giovani gruppi rock emergenti.
Durante un trasferta in un piccolo paesino scozzese, l'illusionista troverà Alice, una giovane che affascinata dalla sua magia si affezzionerà ben presto all'uomo iniziando con lui un viaggio all'insegna della conoscenza reciproca e dell'affetto incondizionato; un "illusorio rapporto fra padre e figlia.
Lei giocherà con vestiti e le scarpe con i tacchi a fare la donna senza rendersi di diventarla realmente mentre lui farà cadere le luci della ribalta quando l'ultima insegna della città si sarà spenta.
Una partenza improvvisa e un profetico messaggio farà si che le due vite si separino e prendano ciascuna il loro corso.
A più di cinquant'anni dalla prima stesura della sceneggiatura del film di Tati (1956-59), Chomet riadatta l'opera trasformandola in un nostalgico omaggio al regista da tempo scomparso, modificandone in parte lo stile: inizialmente comico qui in chiave più drammatica.
Il cinema come la fotografia è uno dei pochi strumenti che fa si che ciò che si stà filmando sia consegnato in qualche modo alla Storia; che si possa diventare in qualche modo immortale, come in questo caso per Monsieur Hulot, alter ego di Jacques Tati, figura troppo singolare per essere imitata da altri.
Come nel precedente Appuntamente a Belleville, non vi è necessita della parola, forse qualche frase ma le immagini bastano a raccontare e far Sentire ciò che la voce non potrà mai esprimere.
Innovativo nel genere d'animazione (che predilige la continua mobilità della ripresa), in quanto ricco di inquadrature fisse (piani sequenza, profondità di campo) in modo che il fruitore possa godersi appieno l'immagine.
Una dedica a Sophie Tatischeff ci rivela l'amore paterno nascosto nella pellicola.
La magia non esiste ma l'illusione che essa ci può dare fa si che la vita possa essere in qualche modo allietata.
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club dei cuori solitari
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domenica 23 gennaio 2011
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illusioni
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Jacques Tati è stato uno dei più importanti registi e attori francesi di tutti i tempi, autore di un cinema originale e immediatamente riconoscibile. Ha portato l'arte mimica nel mondo del sonoro, proponendo una commedia garbata e raffinata, dai toni solari e mai volgare. Come Chaplin si esprimeva nel personaggio di Charlot, lui indossava i panni di Monsieur Hulot, mani sui fianchi, pipa e caratteristico berretto. I suoi film più importanti sono Giorno di Festa, Le vacanze di Monsieur Hulot, Mio Zio (che vinse l'oscar come miglior film straniero nel 1959) e soprattutto Tempo di Divertimento. Morì il 5 novembre del 1982, a Parigi. Sua figlia Sophie, che aveva lavorato ai suoi film come montatrice, ha trovato al Centre National de la Cinématographie di Parigi una sua vecchia sceneggiatura rimasta incompleta.
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Jacques Tati è stato uno dei più importanti registi e attori francesi di tutti i tempi, autore di un cinema originale e immediatamente riconoscibile. Ha portato l'arte mimica nel mondo del sonoro, proponendo una commedia garbata e raffinata, dai toni solari e mai volgare. Come Chaplin si esprimeva nel personaggio di Charlot, lui indossava i panni di Monsieur Hulot, mani sui fianchi, pipa e caratteristico berretto. I suoi film più importanti sono Giorno di Festa, Le vacanze di Monsieur Hulot, Mio Zio (che vinse l'oscar come miglior film straniero nel 1959) e soprattutto Tempo di Divertimento. Morì il 5 novembre del 1982, a Parigi. Sua figlia Sophie, che aveva lavorato ai suoi film come montatrice, ha trovato al Centre National de la Cinématographie di Parigi una sua vecchia sceneggiatura rimasta incompleta. L'unico modo per far rivivere suo padre era trasformarlo in un cartone animato, un personaggio composto da sogno e fantasia, com'era stato vicino ad essere lui nei suoi film. Così si è affidata al migliore in quel campo, in Francia, Sylvain Chomet, regista di Appuntamento a Belleville e di uno degli episodi di Paris, je t'aime. Il risultato è splendido.
La storia è ambientata negli anni '50 e vede protagonista un illusionista francese la cui carriera è in declino. I gusti del pubblico sono cambiati, ora i palchi spettano alle rock band isteriche. L'illusionista si muove timido e garbato, in punta di piedi, in un mondo di spacconi e sfruttatori. Gira per i teatri, le feste, i bar, come intrattenitore di pubblici distratti, zotici e ubriachi. Un giorno affronta una lunga trasferta per esibirsi in un pub in un piccolo paese della Scozia, dove stringe una particolare amicizia con l'ingenua ragazzina che vi lavora, Alice. Lei crede che le sue magie siano reali, e rimane colpita dalla gentilezza dell'uomo. Al suo ritorno in Francia lo segue, e vive con lui, che se ne prende cura come un padre. La vita scorre in un hotel fatiscente, popolato da un clown con tendenze suicide, un ventriloquo che soffre la solitudine ed un trio di acrobati gemelli. L'illusionista prova a fare soldi lavorando, con effetti disastrosi e grotteschi, ma le cose vanno sempre peggio, e non basta l'entusiasmo di Alice a migliorare le cose. Lei crescerà e troverà l'amore, lui libererà il suo bistrattato coniglio fra i suoi simili, e lascerà la città dopo un'ultima nota ad Alice: la magia non esiste. Un finale amaro, triste, impossibile per un film americano.
Chomet realizza un film d'animazione (quasi) muto, popolato dalle bellissime musiche che lui stesso ha scritto. Il più delle volte questo espediente è motivato dall'incomunicabilità fra l'illusionista ed Alice, che parlano due lingue diverse. L'unico vero messaggio che si scambiano è quello finale, scritto su un biglietto di carta. La cinepresa è sempre fissa, in campi lunghi o totali, o al limite figure intere. Il ritmo è scandito da un montaggio perfetto, che lascia giustamente godere delle immagini più belle partorite dalla matita dello stesso regista. Fa quasi tutto lui, tranne che giocare con il personaggio principale, che è in ogni gesto Jacques Tati. La sua presenza non si limita ad aleggiare nel corpo disegnato dell'illusionista, ma compare in una meravigliosa scena dentro un cinema, chiamato non a caso Cameo. Chomet dedica il film a Sophie Tatischeff, perché la storia al di là di tutto parla del rapporto padre-figlia, e molti significati nascosti sbocciano con l'ultima immagine rivelatrice. Il suo messaggio è che la magia stessa è un'illusione, così come il cinema, capace di riportare in vita qualcosa che non c'è più, ma soltanto per finta. Questo film è una poesia visiva, che non ha bisogno di parole, ed è il miglior omaggio che potesse essere fatto alla figura di Tati. Pura poesia, schiacciata e indifesa nel mondo frenetico, acido e cinico del 2000.
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quieromirar
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mercoledì 16 marzo 2011
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l’amara dolcezza di sylvain chomet
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Lubitsch avrebbe amato l’ultimo lungometraggio di Sylvain Chomet per la gentilezza del tocco con cui non si limita a dare corpo a una sceneggiatura di Jacques Tati, ma regala al pubblico un autentico atto d’amore nei confronti del cineasta. La scelta dell’animazione non è dovuta semplicemente alla difficoltà di trovare un interprete che potesse incarnare il personaggio di Tati, ma anche alla libertà espressiva che il segno grafico dona a una storia di stati d’animo e di attese che non collimano. Nel tessere una narrazione in cui il tempo è quello –dilatato, sospeso- della speranza, della ricerca, del rimpianto, la dolcezza malinconica dell’illusionista, puntualmente destinato a vedere inappagati i suoi sforzi, evidenzia la solitudine dell’uomo di spettacolo che si offre al pubblico distratto da nuove mode.
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Lubitsch avrebbe amato l’ultimo lungometraggio di Sylvain Chomet per la gentilezza del tocco con cui non si limita a dare corpo a una sceneggiatura di Jacques Tati, ma regala al pubblico un autentico atto d’amore nei confronti del cineasta. La scelta dell’animazione non è dovuta semplicemente alla difficoltà di trovare un interprete che potesse incarnare il personaggio di Tati, ma anche alla libertà espressiva che il segno grafico dona a una storia di stati d’animo e di attese che non collimano. Nel tessere una narrazione in cui il tempo è quello –dilatato, sospeso- della speranza, della ricerca, del rimpianto, la dolcezza malinconica dell’illusionista, puntualmente destinato a vedere inappagati i suoi sforzi, evidenzia la solitudine dell’uomo di spettacolo che si offre al pubblico distratto da nuove mode. Il massimo della visibilità –un corpo sul palco che vorrebbe celebrare il proprio valore- coincide quindi con la spersonalizzazione di chi si esibisce, ridotto a mezzo di intrattenimento, simile a un oggetto da consumare come le macchine con cui il mago ha ben scarsa dimestichezza. Non è un caso che l’unico suono pienamente udibile sia la musica da circo che il clown amico di Tatischeff ascolta ossessivamente: il ricordo di un periodo finito in cui vita e arte erano tutt’uno è troppo vivo e schiaccerà il ventriloquo, ovvero colui che vede nel proprio pupazzo –nel proprio talento- un prolungamento di sé. In questo film in cui non manca la crudeltà compaiono felici note psicologiche, come la porta aperta in soggettiva su Alice addormentata e inconsapevole dei sacrifici che il suo protettore sta facendo per lei. La cinepresa indugia un attimo in più su di lei e la porta si richiude con forza, come se Tatischeff volesse nascondere a se stesso l’amarezza che l’ingenua indifferenza della giovane gli procura e il bisogno di un’attenzione che lo riscatti dal degrado. “I maghi non esistono”, scriverà nell’ultima lettera alla ragazza, ma mentre guarda dal finestrino del treno che lo porta lontano è l’illusione che la vita non sia solo un vuoto spettacolo a fargli aprire gli occhi sul futuro.
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tiamaster
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mercoledì 26 ottobre 2011
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per chi ostenta critiche insensate...
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La magia può essere fatta non solo dai maghi ma anche da un ottimo regista e un animazione impeccabile.Questo film forse non sarà il massimo della scorrevolezza ma è una perla d'animazione del 2010,magari ci fossero simili film ogni giorno...la storia e indiscutibilmente magica e,nella sua semplicità,perfetta.Un ottima colonna sonora e edimburgo ricostruita in maniera superlativa riescono a emozionare lo spettatore.Un sacco di buoni sentimenti e di magie dell'anima danno vita a un film indiscutibilmente bello,che se fosse n pò più scorrevole e "alla portata di tutti" (visto che molta gente e limitata come film da guardare) sarebbe perfetto..avanti il prossimo!!!
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karmaqwerty
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martedì 5 giugno 2012
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la dignità delle illusioni
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Una storia semplice. Silenziosa. Una piccola poesia sussurrata piano all'orecchio della nostra sensibilità più delicata. Ed è proprio la delicatezza delle atmosfere, dei gesti, delle azioni che si svelano davanti al nostro continuo bisogno di risposte, a fare da padrona a tutta la storia. L'illusionista è un uomo d'altri tempi, tempi che sembrano lontanissimi da noi, e che nascondono segreti. Ma tutto quello che dobbiamo vedere è proprio lì davanti ai nostri occhi.
La dignità. Questo è il segreto. E nelle illusioni di tutti i giorni la magia lascia il posto ad una realtà che può farci soffrire, può non piacerci, può forse deluderci.
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Una storia semplice. Silenziosa. Una piccola poesia sussurrata piano all'orecchio della nostra sensibilità più delicata. Ed è proprio la delicatezza delle atmosfere, dei gesti, delle azioni che si svelano davanti al nostro continuo bisogno di risposte, a fare da padrona a tutta la storia. L'illusionista è un uomo d'altri tempi, tempi che sembrano lontanissimi da noi, e che nascondono segreti. Ma tutto quello che dobbiamo vedere è proprio lì davanti ai nostri occhi.
La dignità. Questo è il segreto. E nelle illusioni di tutti i giorni la magia lascia il posto ad una realtà che può farci soffrire, può non piacerci, può forse deluderci. Quello che non potrà mai toglierci è però la nostra dignità.
Difficile essere persone migliori di questo nostro piccolo, grande illusionista. Ogni giorno è una magia. Irripetibile. L'iullusione è solo quella di poter fermare il tempo che passa. Ma tutto il resto è magia.
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andyflash77
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martedì 14 agosto 2012
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vicini a chaplin e buster keaton
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In un’epoca tridimensionale come quella che cinematograficamente stiamo vivendo, dove la Pixar anno dopo anno macina vorticosamente innovazioni e l’industria di settore sforna pellicole 3D con sempre più frequenza, c’è qualcuno che va controcorrente: è il caso del francese Sylvain Chomet (nomination all’Oscar con "Appuntamento a Belleville") che ha adattato, disegnato e diretto "L’illusionista", da una sceneggiatura originale di Jacques Tati, scritta a fine anni 50 e recuperata a distanza di mezzo secolo negli archivi del Centre National de la Cinématographie.
Per comprendere meglio questa pellicola d’animazione, bisogna entrare nel microcosmo di Tati: accenniamo alla sua figura cercando di non apparire eccessivamente semplicistici.
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In un’epoca tridimensionale come quella che cinematograficamente stiamo vivendo, dove la Pixar anno dopo anno macina vorticosamente innovazioni e l’industria di settore sforna pellicole 3D con sempre più frequenza, c’è qualcuno che va controcorrente: è il caso del francese Sylvain Chomet (nomination all’Oscar con "Appuntamento a Belleville") che ha adattato, disegnato e diretto "L’illusionista", da una sceneggiatura originale di Jacques Tati, scritta a fine anni 50 e recuperata a distanza di mezzo secolo negli archivi del Centre National de la Cinématographie.
Per comprendere meglio questa pellicola d’animazione, bisogna entrare nel microcosmo di Tati: accenniamo alla sua figura cercando di non apparire eccessivamente semplicistici. Jacques Tati (1908-1982), mimo e attore di cabaret negli anni 30, è stato un regista d’indubbia grandezza e spiccata originalità nel panorama internazionale sul versante della commedia satirica; il suo umorismo sobrio e sottilissimo, pretesto dissacrante con cui tratteggiava le caratteristiche dell’uomo, ne fa un acuto e inimitabile osservatore della società moderna.
"L’illusionista" dunque riprende la medesima poetica e introduce un tassello più malinconico e intimo: sembra che la storia fosse stata accantonata perché troppo vicina alle vicende personali di Tati, quasi un soggetto autobiografico. Non a caso il testo affronta principalmente due argomenti: la fine dell’epoca del music hall a scapito del vigoroso rock’n’roll e soprattutto il tema universale del rapporto tra padre e figlia (quello del regista con la sua Sophie Tatischeff?).
Un attempato illusionista – ormai fuori moda – vaga tra una città e un’altra alla ricerca di un pubblico che resti stupefatto alla vista dei suoi trucchi. Non va troppo bene, ma un giorno, durante un’esibizione in un pub sulla costa scozzese, incontra una giovane ingenua e incantata di nome Alice che è disposta a credere alle sue "magie" e segue l’uomo che la guiderà delicatamente e amorevolmente all’età adulta.
Il racconto, ambientato a Parigi e in prevalenza Edimburgo, sembra fuori dal tempo; a cominciare dalla pressoché totale assenza di dialoghi e passando per la ricostruzione artigianale (anche per questo è stato deciso di utilizzare il 2D) dei luoghi e dei personaggi che rende in qualche modo più umano e vivo l’ambiente.
Le avventure dell’illusionista, musicate efficacemente dallo stesso Chomet, sono un condensato di arte mimica e – dietro una patina di apparente semplicità – riflessioni attente sulle piccole cose della vita e sulla relazione uomo/denaro/oggetti, in tutte le sue sfumature più ironiche, drammatiche, stravaganti, delicate.
Un piccolo gioiello dell’animazione dedicato a tutti quelli che amano un cinema più classico e spartano vicino a interpreti come Charlie Chaplin e Buster Keaton, oltre che consigliato a tutti coloro che in sala ricercano qualche appiglio che stimoli la propria sensibilità e le emozioni più autentiche.
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