gianmarco.diroma
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lunedì 28 febbraio 2011
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nel mondo della matematica pura
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Nel mondo della matematica pura, lì dove l'intuizione di una donna può veramente essere una guida, lì dove i frutti di una guerra diventano i frutti di uno stupro, lì dove la morte lascia il posto ad un passato tutto da riscoprire, lì dove essere fratelli significa anche essere padri, lì dove essere madri significa anche essere assassine, lì dove essere cristiani significa fare il tifo per i palestinesi arabi, lì dove la prigionia è così crudele da annullare ogni dignità umana, lì dove l'odio è il frutto dell'amore mancato, lì, stretta tra quattro piccole mura, si muove la donna che canta.
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Nel mondo della matematica pura, lì dove l'intuizione di una donna può veramente essere una guida, lì dove i frutti di una guerra diventano i frutti di uno stupro, lì dove la morte lascia il posto ad un passato tutto da riscoprire, lì dove essere fratelli significa anche essere padri, lì dove essere madri significa anche essere assassine, lì dove essere cristiani significa fare il tifo per i palestinesi arabi, lì dove la prigionia è così crudele da annullare ogni dignità umana, lì dove l'odio è il frutto dell'amore mancato, lì, stretta tra quattro piccole mura, si muove la donna che canta. La donna del titolo di questo film di Denis Villeneuve: una storia ai limiti del verosimile, ambientata in una terra dove sono avvenute delle tali atrocità da essere anche queste ai limiti del verosimile. Il mondo della matematica pura è il mondo rappresentato da quella equazione, frutto della morte della propria madre, che due gemelli canadesi si vedono costretti a risolvere. L'intuizione di una donna è quella di Jeanne, la femmina, che per prima si convince a compiere un viaggio nelle pieghe (ma sarebbe meglio chiamarle piaghe) del passato della madre Niwal. I frutti della guerra sono quelli che hanno tenuto lontano per tutta la vita Niwal dal suo primo figlio (perché lei, cristiana, non poteva avere una relazione con un dissidente palestinese). I frutti dell'odio producono i frutti di quello stupro di cui (per una serie di coincidenze) si farà protagonista proprio il figlio di Niwal ai danni di sua madre mentre lei è imprigionata per avere ucciso il capo dei Nazionalisti Cristiani (da qui l'essere una buona cristiana e fare il tifo per i palestinesi a causa delle tante brutture a cui questa "madre coraggio" ha dovuto assistere). Essere madri private del proprio figlio genera un odio tale da diventare assassine. Ed il risultato è una prigionia lunga 15 anni ai limiti della sopportabilità umana. E tra le brutali mura di un carcere si compie quell'orrore perfetto da un punto di vista matematico che dà alla luce i due gemelli protagonisti del film, costretti, per poter mettere su una lapide la parola fine a questa storia, a scoprire chi essi siano, ovvero il frutto della guerra, il frutto di uno stupro, ma allo stesso tempo il frutto di due anime che realmente si amavano da sempre e da sempre si son cercate.
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nalipa
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lunedì 23 maggio 2011
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come un'antica tragedia
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greca.
Film da un'adattamento della pièce del canadese Wajdi Mouawad, racconta guerra, terrorismo e genocidio in un crescendo di colpi di scena come in un thriller.
Quando il notaio Lebel legge a Jeanne e Simon il testamento dlela madre Nawal , i gemelli restano stupiti e scioccati davanti alle due buste lasciategli, una destinata al padre che credevano morto e l'altra a un fratello di cui non conoscevano l'esistenza. Jeanne parte per il Medio Oriente per scoprire il passato della sua famiglia e quindi poter esaudire ciò che la madre ha lasciato detto. Ben presto anche il fratello la raggiungerà e scopriranno insieme alcune terribili verità sulla madre e quindi su loro stessi.
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greca.
Film da un'adattamento della pièce del canadese Wajdi Mouawad, racconta guerra, terrorismo e genocidio in un crescendo di colpi di scena come in un thriller.
Quando il notaio Lebel legge a Jeanne e Simon il testamento dlela madre Nawal , i gemelli restano stupiti e scioccati davanti alle due buste lasciategli, una destinata al padre che credevano morto e l'altra a un fratello di cui non conoscevano l'esistenza. Jeanne parte per il Medio Oriente per scoprire il passato della sua famiglia e quindi poter esaudire ciò che la madre ha lasciato detto. Ben presto anche il fratello la raggiungerà e scopriranno insieme alcune terribili verità sulla madre e quindi su loro stessi.
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reservoir dogs
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mercoledì 2 marzo 2011
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la protesta nel canto
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I fratelli gemmelli Jeanne (Désormeaux-Poulin) e Simon (Gaudette) alla morte della madre Nawal (Azabal) ricevono dal notaio, ex datore di lavoro della donna, un testamento che parla di un fratello a loro sconosciuto e di un padre creduto morto.
La donna impone ai figli di avere degna sepoltura solo quando i gemelli troveranno i due sconosciuti e avranno consegnato loro una lettera ciascuno. Mentre Simon si rifiuta di accettare le condizioni e le notizie appena ricevute, Jeanne decide di intraprendere un viaggio cognitivo sul proprio passato e su quello della madre.
Attraverso la ricca presenza di flashback la storia si muove principalmente su due binari: quello legato al presente con Jeanne in viaggio alla ricerca del padre e del fratello e quello legato al passato con Nawal, la cui vita sembra intrisa di sangue e dolore come le guerre civili svoltesi in Palestina negli anni Settanta-Ottanta e tuttora in corso.
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I fratelli gemmelli Jeanne (Désormeaux-Poulin) e Simon (Gaudette) alla morte della madre Nawal (Azabal) ricevono dal notaio, ex datore di lavoro della donna, un testamento che parla di un fratello a loro sconosciuto e di un padre creduto morto.
La donna impone ai figli di avere degna sepoltura solo quando i gemelli troveranno i due sconosciuti e avranno consegnato loro una lettera ciascuno. Mentre Simon si rifiuta di accettare le condizioni e le notizie appena ricevute, Jeanne decide di intraprendere un viaggio cognitivo sul proprio passato e su quello della madre.
Attraverso la ricca presenza di flashback la storia si muove principalmente su due binari: quello legato al presente con Jeanne in viaggio alla ricerca del padre e del fratello e quello legato al passato con Nawal, la cui vita sembra intrisa di sangue e dolore come le guerre civili svoltesi in Palestina negli anni Settanta-Ottanta e tuttora in corso.
Così come in un calcolo matematico si giunge alla soluzione un passo alla volta ed ogni passo compiuto è scandito da una scritta rosso sangue, fino al tragico epilogo che tanto ricorda la tragedia greca del re Edipo.
I volti e gli sguardi di Jeanne, Simon e Nawal irrompono nell'obbiettivo tanto da rendere subordinato il paesaggio libanese, volti che nonostante la differenza d'esperienze di vita finiscono per assomigliarsi e confondersi al termine di questo percorso introspettivo.
Il canto può diventare elemento di protesta in un luogo come la prigione dove le grida sono gli unici suoni percettibili.
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stefano capasso
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martedì 14 aprile 2015
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bene e male, due facce della stessa medaglia
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La donna che canta è un film di Denis Villeneuve, ambientato tra Canada, Libano e Palestina. All’apertura del testamento di Nawal, il notaio comunica ai due figli gemelli, Jeanne e Simon chela madre ha lasciato un incarico. I due ragazzi dovranno trovare il loro padre ed un fratello, le quali esistenze erano state ignorate fino a quel momento. Cosi Jeanne parte per la terra d’origine e comincia a scavare nel passato, portando alla luce drammi inattesi fino alla scoperta finale.
Raccontato su due piani paralleli, quello della ricerca di Jeanne e quello della ricostruzione dei fatti che visse la madre, il film è costruito su una sceneggiatura davvero efficace e coinvolgente.
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La donna che canta è un film di Denis Villeneuve, ambientato tra Canada, Libano e Palestina. All’apertura del testamento di Nawal, il notaio comunica ai due figli gemelli, Jeanne e Simon chela madre ha lasciato un incarico. I due ragazzi dovranno trovare il loro padre ed un fratello, le quali esistenze erano state ignorate fino a quel momento. Cosi Jeanne parte per la terra d’origine e comincia a scavare nel passato, portando alla luce drammi inattesi fino alla scoperta finale.
Raccontato su due piani paralleli, quello della ricerca di Jeanne e quello della ricostruzione dei fatti che visse la madre, il film è costruito su una sceneggiatura davvero efficace e coinvolgente. Nell’emozionante viaggio alla scoperta delle proprie origine viene raccontato l’orrore della guerra che vide coinvolti cristiani e musulmani con le sue vendette interminabili. E la scoperta finale che in un crescendo di suspance si rivela nelle ultime battute del film apre il discorso al tema secondo me più importante. Nella verità che i due ragazzi trovano, e che la madre stessa aveva appena scoperto, c’è insieme l’amore e l’odio, l’origine di tutto il travaglio. Accettando il fatto che il bene e il male sono due facce della stessa medaglia diventa importante scegliere a quale dare maggiore importanza così da allineare l’altra di conseguenza.
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john doe
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giovedì 4 marzo 2021
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gli incendi della vita
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“Incendies” o “La Donna che Canta” in italiano (titolo di uno dei capitoli del film in originale) è un film del 2010 diretto dal regista canadese Denis Villeneuve.
Un regista poliedrico e dotato, attivo sin dall’inizio del nuovo millennio e che ha saputo spaziare dal thriller d’azione (“Sicario”) al noir poliziesco (“Prisoners”) sino al fantascientifico o distopico (“Blade Runner 2049”, “Arrival” e l’attesissimo remake “Dune”) e persino al drammatico quasi documentaristico o psicologico (“Polytechnique” o “Enemy”). Villeneuve è riuscito nell’arco di circa un ventennio a contribuire in modo intelligente e capace con un guasto estetico e tecnico estremamente riconoscibile alla produzione cinematografica canadese, statunitense ed internazionale.
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“Incendies” o “La Donna che Canta” in italiano (titolo di uno dei capitoli del film in originale) è un film del 2010 diretto dal regista canadese Denis Villeneuve.
Un regista poliedrico e dotato, attivo sin dall’inizio del nuovo millennio e che ha saputo spaziare dal thriller d’azione (“Sicario”) al noir poliziesco (“Prisoners”) sino al fantascientifico o distopico (“Blade Runner 2049”, “Arrival” e l’attesissimo remake “Dune”) e persino al drammatico quasi documentaristico o psicologico (“Polytechnique” o “Enemy”). Villeneuve è riuscito nell’arco di circa un ventennio a contribuire in modo intelligente e capace con un guasto estetico e tecnico estremamente riconoscibile alla produzione cinematografica canadese, statunitense ed internazionale. La pellicola “Incendies” forse non rappresenta il punto più alto della filmografia del regista, a mio parere raggiunto con “Polytechnique” e “Prisoners”, ma certamente si configura come un toccante film di guerra ed una pesante critica alla violenza e all’odio sconsiderato dell’essere umano. Il film si apre con l’inquadratura di un paesaggio arido, ma nel quale spiccano alcuni alberi, che si stringe sino al primo piano di un bambino (che poi scopriremo essere il figlio perduto di Nawal ed allo stesso tempo crudele violentatore). A questa prima scena evocativa segue la lettura del testamento della madre da parte di un notaio ai due figli: Jeanne e Simon Marwanne di origine libanesi. Per l’apertura delle loro lettere è necessario che questi trovino il padre ed il fratello, dei quali ignoravano l’esistenza, per consegnargli rispettivamente le loro lettere. Finché le lettere non saranno consegnate e la promessa mantenuta la madre rimarrà senza bara, con le spalle al cielo e senza alcuna lapide o epitaffio. Villeneuve dirige una pellicola densa, difficile da digerire, nella quale emerge il tema del viaggio alla ricerca delle proprie origini e dei propri natali. Mentre la figlia indaga sul passato della madre ci vengono proposti lunghi flashback, crudi e tragici, sulla vita passata di Nawal durante la guerra in Libano. Procedendo con la visione ci rendiamo conto del passato traumatico ed insostenibile che la madre dovette poi lasciarsi alle spalle, ma che la perseguitò per tutta la sua vita. L’opera si identifica come una problema insolvibile (emblematico è il lavoro stesso della figlia ovvero quello della professoressa di matematica), un’enigma per il quale è necessario scavare nel passato e nella memoria. Una sorta di indagine complessa dove il dramma familiare si sovrappone a quello sociale, in un film che condanna aspramente ogni estremismo o fondamentalismo. Un viaggio nel cuore del libano della guerra civile e nelle assurdità delle azioni umane che non trovano alcuna giustificazione o comprensione. La religione diviene un escamotage che maschera l’odio e la tirannia nei quali si muovono due figure femminili: la madre e la figlia. Un mondo distrutto dalla guerra al di fuori ed uno spaccato tragico di una famiglia sofferente dal di dentro, attraverso flashback sulla vita della madre e sequenze ai giorni presenti ci addentriamo sempre più in una realtà distrutta dall’odio degli uomini. La tecnica di Villeneuve non viene meno ed attraverso un montaggio fluido e calcolato ed una fotografia spenta e grigia, grazie alla quale spiccano le scene illuminate dal fuoco e dai bianchi di alcune case, veniamo violentemente trasportati in questo terrificante climax ascendente di emozioni sino allo sconcertante finale. In realtà il ritmo è caratterizzato da momenti dove la tensione è elevatissima ad altri dove viene stemperata da sequenze più placide. Il ritmo riesce abilmente a condurre lo spettatore sino allo straziante finale. La macchina segue le protagoniste (il fratello arriverà solo verso la fine) e con anche brevi piani sequenza ci trasporta nel mondo cupo in cui vivono e nell’operazione intricata di una vita passata da risolvere. Non a caso la pellicola è caratterizzata da capitoli che assumono il nome di luoghi o personaggi fondamentali per la comprensione del passato di Nawal, come dati di un problema matematico che solo verso la fine comprendiamo fino in fondo. La soluzione tuttavia sarà chiara, quanto inattesa e follemente irrealistica, se letta in senso letterale. Un finale che ha qualità allegoriche e che si identifica con la necessaria unione indissolubile tra amore e odio, due realtà dell’essere umano che vivono e coesistono dentro di lui, ma alle quali possiamo riferirci separatamente, interrogandoci sulla moralità delle nostre azioni (le due lettere riferite ad una singola persona nella quale coesistono sia il figlio amato che il sadico torturatore). Gli incendi sono proprio quelli della guerra (emblematica la scena dell’autobus) e dell’aberrante agire umano che trovano risoluzione solo con l’amore che siamo in grado di dimostrare. Spesso intercorrono durante la pellicola scene in acqua, in una piscina, nella quale fanno il bagno i due personaggi femminili, ed è proprio in una scena in acqua che la vicenda trova una sorta di risoluzione. Un film nel quale ricorrono alcuni temi tipici del regista canadese come quello della prigionia, della privazione della libertà e del dramma familiare (“Prisoners”, “Arrival”), quello della ricerca dell’identità e delle proprie origini (“Enemy”,“Blade Runner 2049”) o quello dell’assurdità dell’odio e della violenza (“Polytechnique”, “Sicario”). Musiche melodiche ed anche tipiche del territorio si alternano a momenti di grande silenzio che percorrono indomiti attimi di terrore. A mio avviso una colonna sonora che riesce a coinvolgerci ancora di più nell’intenso dramma vissuto dai protagonisti. Sempre in riferimento alle capacità del regista impossibile non fare riferimento alla sceneggiatura, alla quale ha contribuito anche lo stesso Villeneuve, che non solo plasma una trama ricca di avvenimenti e risvolti inaspettati, ma che modella dialoghi evocativi e poliglotti. Infatti nel film vi è una notevole coerenza storica e culturale e nelle battute tra i personaggi si alternano ben tre lingue: inglese, francese ed arabo. Una pellicola che va oltre la sua stessa forma e che ricerca, nei suoi intenti più puri, un’essenza pressoché universale ed imprescindibile. “Incendies” si colloca come una pietra miliare nella filmografia del regista e come una pellicola cruda ed avvincente che fa una critica intelligente ad una realtà sempre tristemente attuale.
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esnaider
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domenica 20 aprile 2014
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molto ben costruito...
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...rivelando la propria origine teatrale, il film ha il gravissimo difetto di non localizzare né storicamente, né geograficamente la vicenda. solo chi ha nozioni superiori al normale di storia e politica, può comprendere nella prima ora che i flashback in cui s'articola il film, si svolgono in libano tra la metà degli anni settanta e quella degli anni ottanta. un pretenziosa assurdità. chi diavolo può mai sapere che daresh è una città del libano? L'intenzione degli autori è forse quella di dare universalità all'orrore che viene narrato, ma è un passo per molti versi falso. ciò che accade, poteva credibilmente accadere solo in paesi multietnici e profondamente divisi, caratteristica non esattamente universale.
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...rivelando la propria origine teatrale, il film ha il gravissimo difetto di non localizzare né storicamente, né geograficamente la vicenda. solo chi ha nozioni superiori al normale di storia e politica, può comprendere nella prima ora che i flashback in cui s'articola il film, si svolgono in libano tra la metà degli anni settanta e quella degli anni ottanta. un pretenziosa assurdità. chi diavolo può mai sapere che daresh è una città del libano? L'intenzione degli autori è forse quella di dare universalità all'orrore che viene narrato, ma è un passo per molti versi falso. ciò che accade, poteva credibilmente accadere solo in paesi multietnici e profondamente divisi, caratteristica non esattamente universale. Nella prima parte del film è impossibile capire chi ammazza chi e perché. solo piccoli particolari lo rivelano allo spettatore colto, ma colto assai e senziente già negli anni ottanta: un ulivo, un rosario, una kefia. una cripticità eccessiva e non necessaria che danneggia un buon film, ben recitato e ben diretto che scivola poi nel finale in un'agnizione molto forzata, il cui valore più che nella verosimiglianza sta nella sua simbolicità. forse il torto del film è proprio quello di voler farsi simbolo universale, spesso a dispetto della materia di cui narra.
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enzo70
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mercoledì 17 febbraio 2016
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film equilibrato ed intelligente
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Al momento della morte della madre in Canada i due figli scoprono di avere un fratello ed un padre a Beirut. E le disposizioni testamentarie della donna prevedono che i figli consegnino ai due una lettera. Deressa, la figlia femmina decide di partire per il Libano per ricostruire la storia della made, mentre Simon, il maschio rimane a casa.
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Al momento della morte della madre in Canada i due figli scoprono di avere un fratello ed un padre a Beirut. E le disposizioni testamentarie della donna prevedono che i figli consegnino ai due una lettera. Deressa, la figlia femmina decide di partire per il Libano per ricostruire la storia della made, mentre Simon, il maschio rimane a casa. La ricerca del fratello porterà prima Deressa e poi Simon a scoprire il vero passato di Nawal, per anni detenuta in una sorta di lager, e che ha sempre resistito alle violenze con il canto. Villeneuve dimostra di saper fare un cinema elegante ed intelligente, non provo di rischi in alcuni passaggi, rischi risolti sempre con grande equilibrio narrativo. L’ennesimo film sulla questione medio orientale, ma è necessario dare merito al regista di aver offerto un’inquadratura diversa.
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francesco2
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mercoledì 11 aprile 2012
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(ri) scoprire il passato
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Come un altro, piuttosto celebrato film della scorsa stagione, "Un gelido inverno", anche quest'opera racconta sotto certi aspetti una storia che non c'è. Un passato da (ri)scoprire, anche se in questo caso l'intreccio, quando c'è, è sicuramente più denso.
C'è (almeno) una differenza sostanziale, tuttavia: se il film statunitense parla di un mondo piccolo, anzi di un posto isolato dal mondo, dove vigono leggi -Sic!- che è generoso definire settarie, "La donna che canta" è un film che si proietta verso una dimensione ampia.
Perché c'è un viaggio che abbraccia vari punti del mondo, ed avolte culture differenti: al quale poi si unirà anche l'altro fratello.
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Come un altro, piuttosto celebrato film della scorsa stagione, "Un gelido inverno", anche quest'opera racconta sotto certi aspetti una storia che non c'è. Un passato da (ri)scoprire, anche se in questo caso l'intreccio, quando c'è, è sicuramente più denso.
C'è (almeno) una differenza sostanziale, tuttavia: se il film statunitense parla di un mondo piccolo, anzi di un posto isolato dal mondo, dove vigono leggi -Sic!- che è generoso definire settarie, "La donna che canta" è un film che si proietta verso una dimensione ampia.
Perché c'è un viaggio che abbraccia vari punti del mondo, ed avolte culture differenti: al quale poi si unirà anche l'altro fratello. sotto una luce diversa, perché un viaggio per (ri) scoprire il (nostro?) passato è sempre qualcosa di multiforme.
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no_data
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martedì 7 marzo 2017
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melodramma molto ambizioso ma inverosimile
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Due fratelli gemelli scoprono, tramite il testamento della madre da poco morta, di avere un fratello e di non essere orfani di padre come credevano. Simon e Jeanne si trovano totalmente spiazzati dalla notizia, ma se il ragazzo in un primo tempo rifiuta di indagare sulla loro identità per consegnare loro una lettera ciascuno come richiesto da sua madre, Jeanne presto decide di mettersi in viaggio. Giunge così nel paese natale di sua madre, il Libano, alla ricerca di parenti che non sapeva di avere, ma soprattutto alla ricerca di sua madre, il cui passato le si svela a poco a poco e si rivela intriso di violenza, di sofferenza e di scelte opinabili ma coraggiose.
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Due fratelli gemelli scoprono, tramite il testamento della madre da poco morta, di avere un fratello e di non essere orfani di padre come credevano. Simon e Jeanne si trovano totalmente spiazzati dalla notizia, ma se il ragazzo in un primo tempo rifiuta di indagare sulla loro identità per consegnare loro una lettera ciascuno come richiesto da sua madre, Jeanne presto decide di mettersi in viaggio. Giunge così nel paese natale di sua madre, il Libano, alla ricerca di parenti che non sapeva di avere, ma soprattutto alla ricerca di sua madre, il cui passato le si svela a poco a poco e si rivela intriso di violenza, di sofferenza e di scelte opinabili ma coraggiose. In parallelo al viaggio di Jeanne ci viene svelato a poco a poco il passato della madre, Nawal Marwal, in un Libano in cui imperversano oscuri (quanto meno nel film) conflitti tra cristiani (maroniti) e musulmani. Il film parte in modo intrigante e fino a metà regge, ma da un certo punto in poi la verosimiglianza va via via sempre più sfaldandosi, fino a rendere un finale che si vorrebbe totalmente scioccante in realtà del tutto inverosimile e quindi assurdamente melodrammatico.
Oltre all'inverosimiglianza della coincidenza (gli eventi della piscina) che svela l'arcano, il film non sta letteralmente in piedi per molti altri motivi: il finale smentisce il fatto che abbia il benché minimo senso il fatto stesso che la madre abbia invitato i suoi figli ad andare altrove a cercare il padre e il fratello e a conti fatti le età dei personaggi non sono assolutamente compatibili con le vicende narrate. Il quadro storico, poi, resta del tutto nebuloso quando, vista la complessità della situazione libanese dell'epoca, avrebbe necessitato almeno di un minimo di spiegazioni.
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giorpost
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sabato 31 marzo 2018
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storia di sicuro impatto nella quale non tutti i conti tornano
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Jeanne e Simon sono due gemelli canadesi, figli di una vedova immigrata dal Libano, convocati da un notaio per l'evasione del testamento della mamma appena deceduta. In esso ci sono delle particolari richieste fatte da Nawal, frutto di una vita caratterizzata dal patimento delle più atroci sofferenze possibili (compresa una detenzione di 15 anni) e da misteri che coinvolgono in prima persona i fratelli Marwan, nati a seguito di reiterate violenze. Inizia così un viaggio avventuroso e crudele a nord della Terra Promessa, laddove proprio quelle (le promesse) restano il cruccio più invadente nella vita della donna "che canta"...
Parlare di Incendies (Can, 2010) non è semplice, occorre slegare l'opinione che si può avere in merito ad una trama insolita e appassionante rispetto alla valutazione -inevitabile- parzialmente negativa che si fa strada a cospetto di una serie di errori innegabili.
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Jeanne e Simon sono due gemelli canadesi, figli di una vedova immigrata dal Libano, convocati da un notaio per l'evasione del testamento della mamma appena deceduta. In esso ci sono delle particolari richieste fatte da Nawal, frutto di una vita caratterizzata dal patimento delle più atroci sofferenze possibili (compresa una detenzione di 15 anni) e da misteri che coinvolgono in prima persona i fratelli Marwan, nati a seguito di reiterate violenze. Inizia così un viaggio avventuroso e crudele a nord della Terra Promessa, laddove proprio quelle (le promesse) restano il cruccio più invadente nella vita della donna "che canta"...
Parlare di Incendies (Can, 2010) non è semplice, occorre slegare l'opinione che si può avere in merito ad una trama insolita e appassionante rispetto alla valutazione -inevitabile- parzialmente negativa che si fa strada a cospetto di una serie di errori innegabili. In effetti basterebbe farsi due conti matematici per capire che... gli stessi non tornano, e non certo a causa della Congettura di Syracuse citata. La storia è ben raccontata, costruita un pezzo per volta con flashback e ritorni al presente in un parallelismo (inizialmente) tutto al femminile tra madre e figlia, con due buone interpretazioni. Ma i conti di cui sopra riguardano quelli fatti male dall'autrice della storia che ha calcolato in maniera superficiale le differenze necessarie di età tra l'uomo che risulterà al centro di tutta l'intricata vicenda, la protagonista e i due figli. Inoltre appare eccessivamente sbrigativa la circostanza dell'incontro del tutto casuale (oltre che cruciale) che avviene su una piscina pubblica canadese: i libanesi che espatriano (anche in decenni diversi) vanno tutti a vivere nello stesso fazzoletto di terra del Canada? Infine, come non pensare alla scrittura delle lettere del testamento a seguito di un -probabile- ictus dovuto allo shock subìto? Detto questo, Villeneuve fa un lavoro di non poco conto considerando l'ambientazione mediorientale, nient'affatto semplice in generale, a maggior ragione in questo caso nel quale lo sfondo è la guerra fratricida tra cristiani e musulmani dello stesso sangue. E quello, purtroppo, scorre a fiumi ed è direttamente proporzionale agli Incendies del titolo, anche quelli presenti -in particolare- nella sequenza più cruenta di tutto il film. Storia intrigante, forse eccessiva, ma dall'impatto sicuro. Opera filmica di buon livello, seppur girata con una cinepresa non performantissima (si vedano i bordi delle inquadrature in movimento). Cast al femminile eccelso, mentre per il gemello si potevano fare scelte diverse. In ogni caso, almeno una volta da vedere.
Voto: 6 e mezzo
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