algernon
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domenica 23 gennaio 2011
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inquietante
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una terribile ricerca della verità per i due gemelli Jeanne e Simon, dal Canada al Libano per scoprire il drammatico passato della madre Nawal, fra guerra civile, prigione, tortura. Un film intenso e terribile, con una bellissima interpretazione di Lubna Azabal (Nawal) e la rassicurante presenza di Remy Girard (il notaio Lebel), bravo attore franco-canadese già ammirato nei bei film di Denys Arcand (Il declino dell'impero americano, Le invasioni barbariche)
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vallypally
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sabato 12 febbraio 2011
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e' un film bello, intenso, importante...
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E' un film capace di trattare temi crudi e forti con una sensibilità e delicatezza affascinanti... Lo spettatore entra subito in un'atmosfera di tesa curiosità con continui colpi di scena e capovolgimenti inaspettati. Il tema è quello dell'Amore, nelle sue sfaccettature più intime e significative, ma anche quello della Guerra, nell'espressione dell'odio cieco che solo la lotta fratricida può narrare. Al centro, sviscerate con passione e veemenza,le relazioni famigliari e tutti i loro più impensabili risvolti! E' un film bellissimo! Dopo soli dieci minuti dall'inizio ti ritrovi anche tu protagonista, alla ricerca di una storia di vita, quella di Nawal, carica di incognite e sorprese... Contenuti straordinari,fotografia stupenda abbinata ad un buon ritmo narrativo, fanno di questo film un imperdibile messaggio alla Vita trattata con estremo rispetto di tutti, anche dei carnefici che pure avranno le loro intime motivazioni per essere.
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E' un film capace di trattare temi crudi e forti con una sensibilità e delicatezza affascinanti... Lo spettatore entra subito in un'atmosfera di tesa curiosità con continui colpi di scena e capovolgimenti inaspettati. Il tema è quello dell'Amore, nelle sue sfaccettature più intime e significative, ma anche quello della Guerra, nell'espressione dell'odio cieco che solo la lotta fratricida può narrare. Al centro, sviscerate con passione e veemenza,le relazioni famigliari e tutti i loro più impensabili risvolti! E' un film bellissimo! Dopo soli dieci minuti dall'inizio ti ritrovi anche tu protagonista, alla ricerca di una storia di vita, quella di Nawal, carica di incognite e sorprese... Contenuti straordinari,fotografia stupenda abbinata ad un buon ritmo narrativo, fanno di questo film un imperdibile messaggio alla Vita trattata con estremo rispetto di tutti, anche dei carnefici che pure avranno le loro intime motivazioni per essere...quello che sono. Il regista guarda oltre il naturale odio suscitato dalla violenza, perpetrata soprattutto su donne e bambini, per giungere ad una visione dell'uomo più completa, dove non ci sono buoni o cattivi ma solo persone che con le loro azioni determinano il destino del mondo, contribuendo - ognuno con il proprio operato - alla definizione quotidiana della realtà di vita.
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solon
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sabato 12 febbraio 2011
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emozioni, non parole
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Condivido il disappunto di castoro per la critica di Beccantini che, a mio personalissimo parere, sembrerebbe essersi fermato alla superficie del racconto rilevandone le effettive macchinosità senza coglierne l'impatto e il coinvolgimento emotivo che viene dal mix di immagini, suoni, sapiente gestione del montaggio e eloquenza del colore.
E', come vedo che molti altri confermano, un'opera di rara e imprevedibile bellezza, capace di far emergere un messaggio sulla umanità e la guerra senza "predicarlo" ma coinvolgendovi emozionalmente il destinatario. Il commento sonoro del finale (sul cast) affidato a un noto brano di Mahler ("O Mensch!" - testo di Nietzsche - 4° movimento della 3^ sinfonia) lo suggella egregiamente.
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Condivido il disappunto di castoro per la critica di Beccantini che, a mio personalissimo parere, sembrerebbe essersi fermato alla superficie del racconto rilevandone le effettive macchinosità senza coglierne l'impatto e il coinvolgimento emotivo che viene dal mix di immagini, suoni, sapiente gestione del montaggio e eloquenza del colore.
E', come vedo che molti altri confermano, un'opera di rara e imprevedibile bellezza, capace di far emergere un messaggio sulla umanità e la guerra senza "predicarlo" ma coinvolgendovi emozionalmente il destinatario. Il commento sonoro del finale (sul cast) affidato a un noto brano di Mahler ("O Mensch!" - testo di Nietzsche - 4° movimento della 3^ sinfonia) lo suggella egregiamente.
Peccato che il film non abbia goduto della risonanza che merita per cui - almeno a Milano - è rimasto assai poco in circolazione.
Solon
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gabriella
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mercoledì 25 maggio 2011
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scioccante nella sua crudezza.
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130 minuti ben spesi per la visione di questo film fortemente drammatico e scioccante nella sua crudezza.Stupendi attori,specie la belga di origini magrebine Lubna Azabal,perfetta nei tratti del volto per questa parte.Capelli corvini,sopracciglia folte,occhi scuri,naso irregolare,sguardo indurito dagli orrori della vita.Come sfondo la guerra in Libano dal 1975 al 1990.Un'occasione per conoscere una storia non così lontana,per conoscere una guerra grondante di orrori come del sangue delle vittime,una guerra che come tutte le guerre ha generato dei mostri(come se quelli già esistenti non fossero sufficienti..).Uno sguardo sui pregiudizi che possono devastare la vita delle persone.
Una figlia che,alla morte della madre,con in tasca una sua foto e con indosso un laccetto appartenutole,compie un percorso a ritroso alla ricerca delle sue origini,alla scoperta di una madre che non "conosceva".
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130 minuti ben spesi per la visione di questo film fortemente drammatico e scioccante nella sua crudezza.Stupendi attori,specie la belga di origini magrebine Lubna Azabal,perfetta nei tratti del volto per questa parte.Capelli corvini,sopracciglia folte,occhi scuri,naso irregolare,sguardo indurito dagli orrori della vita.Come sfondo la guerra in Libano dal 1975 al 1990.Un'occasione per conoscere una storia non così lontana,per conoscere una guerra grondante di orrori come del sangue delle vittime,una guerra che come tutte le guerre ha generato dei mostri(come se quelli già esistenti non fossero sufficienti..).Uno sguardo sui pregiudizi che possono devastare la vita delle persone.
Una figlia che,alla morte della madre,con in tasca una sua foto e con indosso un laccetto appartenutole,compie un percorso a ritroso alla ricerca delle sue origini,alla scoperta di una madre che non "conosceva".Una scoperta agghiacciante in un finale scioccante che non si dimentica facilmente!
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angelo umana
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lunedì 7 marzo 2011
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la gioventù è un coltello piantato in gola
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Le parole sono di troppo davanti agli orrori di qualsiasi guerra. Una madre, Nawal, di origini palestinesi, muore in Canada e i due figli Jeanne e Simon apprendono dal testamento letto dal notaio - presso cui Nawal aveva lavorato tanti anni taciturna e schiva - le sue ultime volontà, cioé che essi vadano a cercare in Palestina il loro padre e il loro fratello, di cui non avevano mai avuto sentore, recapitando a ciascuno una lettera. Sarà un modo per i ragazzi di conoscere davvero la loro madre, le sue e loro stesse origini misteriose, "quel casino di vita" come lo definisce Simon che d'istinto non vorrebbe esaudire quelle volontà. Scopriranno di un figlio - il loro fratello - avuto nel 1970 da Nawal per una relazione avversata dalla famiglia, del disonore gettato su di lei, del bambino che le viene sottratto subito dopo la nascita, con un segno sul tallone perché un giorno la madre possa ritrovarlo, della madre mandata a studiare all'università dalla nonna per "uscire da questa miseria".
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Le parole sono di troppo davanti agli orrori di qualsiasi guerra. Una madre, Nawal, di origini palestinesi, muore in Canada e i due figli Jeanne e Simon apprendono dal testamento letto dal notaio - presso cui Nawal aveva lavorato tanti anni taciturna e schiva - le sue ultime volontà, cioé che essi vadano a cercare in Palestina il loro padre e il loro fratello, di cui non avevano mai avuto sentore, recapitando a ciascuno una lettera. Sarà un modo per i ragazzi di conoscere davvero la loro madre, le sue e loro stesse origini misteriose, "quel casino di vita" come lo definisce Simon che d'istinto non vorrebbe esaudire quelle volontà. Scopriranno di un figlio - il loro fratello - avuto nel 1970 da Nawal per una relazione avversata dalla famiglia, del disonore gettato su di lei, del bambino che le viene sottratto subito dopo la nascita, con un segno sul tallone perché un giorno la madre possa ritrovarlo, della madre mandata a studiare all'università dalla nonna per "uscire da questa miseria". Allo scoppio della guerra nel 1975 l'università viene chiusa, Nawal parte per il sud a cercare suo figlio, finisce in prigione per avere ucciso il capo dei nazionalisti, resisterà a torture tremende e alle pessime condizioni di vita con la volontà e col canto ("La donna che canta"), tra di esse uno stupro. Da questa violenza terribile le nascono due gemelli, Jeanne e Simon appunto, i figli "canadesi". Nawal non troverà il figlio che cerca, noi lo vediamo - con lo sguardo già duro - tra i bambini di un orfanotrofio che vengono mandati a combattere, diventerà un tiratore scelto, un torturatore tra i più cinici. Anch'egli dopo la guerra sarà fatto fuggire in Canada; la madre ormai anziana, in una piscina, dal segno sul tallone riconoscerà quel giovane come il figlio tanto cercato e come il padre inconsapevole di Jeanne e Simon ("uno più uno può fare uno"). Le due lettere dunque gli saranno consegnate dai due ragazzi, una è indirizzata al mostro e l'altra al figlio. Entrambi i messaggi sembrano rassegnarsi all'amore e raccomandarlo alla famiglia che resta accanto alla sua tomba. E' l'orrore della violenza, cos'altro?, ma le immagini di questo film non si cancellano facilmente.
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daniela
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martedì 3 aprile 2018
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e' un film bellissimo!
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Sceneggiatura perfetta, funziona come un orologio. Attrici favolose, regista bravissimo, cast perfetto. Il film bellissimo, coinvolgente, ti tiene incollato allo schermo lasciandoti senza fiato, annichilito dalla forza inesorabile della Storia che incrocia le vite di donne e uomini, e le segna inesorabilmente, senza possibilita' di scampo. Eppure, c'e' un eppure, in mezzo all'orrore, viene fuori comunque la bellezza dell'essere umano, l'innocenza di chi ricerca la verita' con amore e fiducia, la forza dei legami tra noi esseri umani. C'e' una grande umanita' che ci tocca il cuore in profondita', facendoci passare attraverso emozioni fortissime e continue, nella consapevolezza che parte dell'umanita' queste sofferenze le vive anche ora, e si resta in silenzio per rispetto.
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Sceneggiatura perfetta, funziona come un orologio. Attrici favolose, regista bravissimo, cast perfetto. Il film bellissimo, coinvolgente, ti tiene incollato allo schermo lasciandoti senza fiato, annichilito dalla forza inesorabile della Storia che incrocia le vite di donne e uomini, e le segna inesorabilmente, senza possibilita' di scampo. Eppure, c'e' un eppure, in mezzo all'orrore, viene fuori comunque la bellezza dell'essere umano, l'innocenza di chi ricerca la verita' con amore e fiducia, la forza dei legami tra noi esseri umani. C'e' una grande umanita' che ci tocca il cuore in profondita', facendoci passare attraverso emozioni fortissime e continue, nella consapevolezza che parte dell'umanita' queste sofferenze le vive anche ora, e si resta in silenzio per rispetto. E forse e' proprio il senso di rispetto che passa attraverso il film, la grande umanita' e il rispetto col quale ci vengono raccontate le vite di esseri umani stritolati dagli eventi, dalla guerra, che in mezzo a tante catastrofi, a tanto orrore, sopravvivono, e non si danno mai per vinti, e alla fine, si resta senza parole, incapaci di giudicare, col cuore aperto, e le emozioni che straripano. E ti chiedi, come puo' esserci comunque tanto amore in noi esseri umani, al di la' tutto?
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omero sala
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venerdì 2 dicembre 2011
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viaggio nel passato
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In un paese ricco, il Canada, che non ha conosciuto guerre, vive una famiglia borghese, benestante e serena di origini libanesi: Nawal, la madre, è segretaria presso un affabile notaio, i figli gemelli, Jeanne e Simon, sono perfettamente integrati nel milieu del paese nordamericano.
In un trenquillo pomeriggio d’estate, in una piscina affollata, la madre ha un improvviso malore: seduta sul lettino a bordo vasca viene colpita da un violento choc e si immobilizza pietrificata. Subito soccorsa, viene ricoverata, ma non supera la crisi e muore dopo pochi giorni.
Alla lettura del testamento i gemelli vengono messi a conoscenza di avere in Libano un terzo fratello e un padre. La madre vuole che i due ragazzi partano per la loro terra d’origine (della quale non conoscono nemmeno la lingua), che scovino il padre (creduto morto) ed il fratello (che non sapevano di avere), e che consegnino loro due lettere.
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In un paese ricco, il Canada, che non ha conosciuto guerre, vive una famiglia borghese, benestante e serena di origini libanesi: Nawal, la madre, è segretaria presso un affabile notaio, i figli gemelli, Jeanne e Simon, sono perfettamente integrati nel milieu del paese nordamericano.
In un trenquillo pomeriggio d’estate, in una piscina affollata, la madre ha un improvviso malore: seduta sul lettino a bordo vasca viene colpita da un violento choc e si immobilizza pietrificata. Subito soccorsa, viene ricoverata, ma non supera la crisi e muore dopo pochi giorni.
Alla lettura del testamento i gemelli vengono messi a conoscenza di avere in Libano un terzo fratello e un padre. La madre vuole che i due ragazzi partano per la loro terra d’origine (della quale non conoscono nemmeno la lingua), che scovino il padre (creduto morto) ed il fratello (che non sapevano di avere), e che consegnino loro due lettere.
Il film racconta questo viaggio e questa faticosissima ricerca. E intreccia questa discesa agli inferi, questa anabasi con delle analessi che evocano e ricostruiscono, in una serie di tesissimi flashback, la terribile biografia della madre e la drammatica storia di un paese sconvolto da una sanguinosa guerra civile.
Le ricerche di Jeanne e le peripezie della madre sono le tracce parallele e asincrone di due percorsi narrativi che ricostruiscono una storia sepolta, un’epopea intricata che ricompone radici aggrovigliate e inimmaginabili verità. Una storia che ha la tremenda complessità delle tragedie greche.
Negare il passato violento e tragico e seppellirne la memoria aiuta a sopravvivere; ma la memoria trova sempre il modo di presentare il conto: e di fronte alla orribile verità, c’è chi crolla e muore, chi si lascia annientare per sopravvivere squarciato dai rimorsi e chi invece trova il modo di capire e attraversare il dolore, di crescere e maturare, di ricostruire equilibri nuovi, ritrovare emozioni forti, rintracciare il senso di un legame e la dimensione di un affetto.
Il film non dà tregua, non percorre scorciatoie, non risparmia nulla, non ammette semplificazioni: è spietato come la cupa storia che racconta, ma nello stesso tempo è pietoso.
Il regista non cerca facili effetti, prende una misurata distanza e non concede nulla alla propensione per il sadismo e la truculenza. Guarda alla sofferenza attraverso gli occhi di Nawal e osserva con uguale orrore la ferocia dei cristiani e quella dei mussulmani, descrive con atroce distacco e infinita desolazione la spietatezza di ogni rappresaglia e l’incomprensibile disumanità di tutti gli aguzzini, non parteggia con nessuno, non si schiera. Non condannando nessuno, stigmatizza con maggior efficacia l’empietà della violenza e l’assurdità devastante dell’odio, la disperata brutalità delle fazioni e la triste cecità degli individui.
Il montaggio ad incastro è articolato e complesso, ma nonostante i coup de théâtre ed i frequenti flash back quasi indistinguibili dalla sequenze narrative, non presenta cali di tensione.
L’ambientazione si colloca fra lo squallore dell’anonima periferia industriale di una fredda città canadese e la desolazione di città mediorientali sventrate dalla guerra, devastate e circondate da aridi paesaggi cotti dal sole.
L’angosciosa vicenda è sottolineata in alcuni passaggi dallo struggente sottofondo musicale dei Radiohead che pare composto su misura. Il canto della “donna che canta” per non ascoltare la sofferenza e per sottomettersi è di un’angosciante dissonanza.
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francesca meneghetti
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lunedì 4 giugno 2012
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quando gli opposti coincidono. o quasi
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Nel 2010 il film di maggior successo in Italia ha incassato oltre 30 milioni di euro (Alice in wonderland). Il film La donna che canta (titolo originale Incendies, candidato all’Oscar come miglio film straniero, è arrivato a 490.000 euro. Inesorabilmente battuto al botteghino, al pari di molti altri prodotti “impegnati”, merita però di essere visto. Anzitutto si basa su una trama molto potente. Al pari delle tragedie greche, basate sulla sequenza ybris (trasgressione) – nemesis (vendetta o castigo), va a toccare nel profondo, superando però il manicheismo di quelle nel disegnare i personaggi e la forma della nemesis: quale vendetta più perfida, e, nello stesso tempo più pietosa, c'è nelle due lettere della "donna che canta" destinate al figlio torturatore? Quando oppresso e oppressore sono la stessa persona, le regole della tragedia greca vanno infatti in tilt.
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Nel 2010 il film di maggior successo in Italia ha incassato oltre 30 milioni di euro (Alice in wonderland). Il film La donna che canta (titolo originale Incendies, candidato all’Oscar come miglio film straniero, è arrivato a 490.000 euro. Inesorabilmente battuto al botteghino, al pari di molti altri prodotti “impegnati”, merita però di essere visto. Anzitutto si basa su una trama molto potente. Al pari delle tragedie greche, basate sulla sequenza ybris (trasgressione) – nemesis (vendetta o castigo), va a toccare nel profondo, superando però il manicheismo di quelle nel disegnare i personaggi e la forma della nemesis: quale vendetta più perfida, e, nello stesso tempo più pietosa, c'è nelle due lettere della "donna che canta" destinate al figlio torturatore? Quando oppresso e oppressore sono la stessa persona, le regole della tragedia greca vanno infatti in tilt. Ne Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello c’è un bellissimo esempio a riguardo. A Roma si sta per rappresentare una tragedia di Sofocle. Ma gli attori non sono uomini, bensì marionette. Oreste, il protagonista, deve vendicare la morte del padre, avvenuta a tradimento, uccidendo. Ma se si aprisse uno squarcio nel “cielo di carta” che delimita il mondo di una marionetta, che cosa succederebbe? Oreste, vedendo un altro cielo, sarebbe portato a chiedersi se, in quel mondo, l’omicidio per vendetta sia un atto consentito. Ma avrebbe dei dubbi a diventare un oppresso-oppressore, e dunque si trasformerebbe in Amleto. In Incendies si può essere certi di che fare del figlio-torturatore (e non solo)? Questa è una chiave di lettura, del film, di tipo psicologico o psicanalitico.
Ma c’è anche l’approccio storico. La storia ci riporta al Medioriente (Libano) e ai suoi conflitti, là dove la guerra assume sempre più i connotati della guerra civile: quella che miete le proprie vittime tra i soggetti più deboli, bambini e donne. E' forse questo l'aspetto che la rende più ostica per chi va al cinema solo per distrarsi in modo più frivolo.
C’è infine l’aspetto strutturale: le simmetrie, le replicazioni, i paradossi, che ci riconducono ad un universo allo stesso tempo labirintico e ordinato, alla maniera dello scrittore Borges,
Molto bella la fotografia di André Turpin, che ci consente di viaggiare virtualmente tra ulivi e deserti. Straordinari il personaggio della madre, giovane e coraggiosa donna degli anni ’70. Nawal Marwan, e la sua interpretazione da parte di Lubna Azabal.
Un solo appunto critico, che forse è dovuto al titolo italiano, da cui derivano delle aspettative : l’aver dato poco spazio al canto della donna, simbolo di resistenza e di dignità: un po’ come la Ginestra di Leopardi.
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astromelia
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lunedì 13 giugno 2011
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è veramente accaduto?
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..questo mi chiedo se da qualche parte questa donna è veramente esistita e con questo pensiero ritengo il film uno dei più belli sentiti toccanti.....una pellicola che rimane viva, il giorno dopo averlo visto riandavo alle scene e alla storia, agghiacciante altro non aggiungo, concordo con i commenti lasciato nel forum perfettamente esaustivi,bravi attori e regista.....
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darkglobe
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mercoledì 1 ottobre 2014
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l'orrore della guerra civile
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È all’omonima opera teatrale del 2003, scritta dall’icona Wajdi Mouawad, libanese emigrato a 10 anni in Bretagna e di seguito in Canada, dove si è diplomato presso la Scuola nazionale di teatro, che fa riferimento questo inquietante film sul dolore e le crudeltà umane. Presentato nel 2010 al Festival del Cinema di Venezia (Menzione 27 volte cinema), premio come miglior film canadese al Toronto International Film Festival e candidato per il Canada al premio Oscar 2011, è stato diretto dal regista canadese Denis Villeneuve.
Si tratta di un film coraggioso per due motivi: in primo luogo portare un’opera teatrale al cinema è sempre una scelta rischiosa, se la trasposizione non riesce a sfruttare le potenzialità spazio-temporali offerte dal mezzo cinematografico; in secondo luogo non è semplice ambientare una storia così dolorosamente intima in un contesto complicato e per certi versi criptico quale quello delle vicende storico-politiche libanesi relative alla guerra civile degli anni 70, che ha trasformato un paese in cui regnavano tolleranza e multi-etnie in un luogo di dolorose nefandezze umane.
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È all’omonima opera teatrale del 2003, scritta dall’icona Wajdi Mouawad, libanese emigrato a 10 anni in Bretagna e di seguito in Canada, dove si è diplomato presso la Scuola nazionale di teatro, che fa riferimento questo inquietante film sul dolore e le crudeltà umane. Presentato nel 2010 al Festival del Cinema di Venezia (Menzione 27 volte cinema), premio come miglior film canadese al Toronto International Film Festival e candidato per il Canada al premio Oscar 2011, è stato diretto dal regista canadese Denis Villeneuve.
Si tratta di un film coraggioso per due motivi: in primo luogo portare un’opera teatrale al cinema è sempre una scelta rischiosa, se la trasposizione non riesce a sfruttare le potenzialità spazio-temporali offerte dal mezzo cinematografico; in secondo luogo non è semplice ambientare una storia così dolorosamente intima in un contesto complicato e per certi versi criptico quale quello delle vicende storico-politiche libanesi relative alla guerra civile degli anni 70, che ha trasformato un paese in cui regnavano tolleranza e multi-etnie in un luogo di dolorose nefandezze umane. Eppure Villeneuve ci riesce, senza la necessità di soffermarsi visivamente su tutte le atrocità raccontate, molte volte lasciandole semplicemente intuire.
Tutto inizia con la strana fine di Nawal Mawal (Lubna Azabal, attrice già nota per aver interpretato il film politico palestinese del 2006 Paradise Now), già morta all'inizio del film, il cui testamento viene letto, nello studio del notaio Jean Lebel (Rémy Girard), ai due figli canadesi Jeanne (bravissima Mélissa Désormeaux-Poulin) e Simon (Maxim Gaudette). Si comprende da subito che i figli sanno poco del passato della madre e nulla del proprio padre; ma se da un lato Jeanne sembra interessata a capirne di più, l’atteggiamento del fratello è di profondo rifiuto e disprezzo per una madre che è sempre stata assente. Il notaio annuncia loro che il padre è ancora vivo e che hanno anche un fratello di cui ignoravano, del tutto stupiti, l'esistenza. Ai due figli la madre chiede, tramite il notaio per cui ha fatto per vent'anni da segretaria, di cercare i parenti prossimi - forse sono ancora in Libano - e consegnare singolarmente due lettere da lei scritte: solo se i due figli riusciranno a trovare i propri parenti, allora Nawal potrà essere seppellita in cimitero con una lapide che ricordi il suo nome. Jeanne decide di partire per il Libano con una foto della madre che pare riferirsi ad un luogo del sud del paese. Le indagini scorrono ed il regista sfrutta un incalzante e riuscito gioco di presente e flashback, lungo il quale dipanare una storia traumatica, da un lato di ricerca di una verità intesa come liberazione dagli incubi del passato incombente e di anelito verso un sentimento universale di pacificazione e tolleranza; dall’altro di un travagliato e dolorosissimo percorso di trasformazione di una donna cristiana in una dissidente politica, la quale, dopo aver assistito a sconfinati episodi di crudeltà, si ribellerà nel più duro dei modi, subendone poi gravi conseguenze con la carcerazione, a cui farà orgogliosa resistenza nonviolenta col suo canto, e le relative violenze, solo al termine delle quali potrà scappare in Quebec.
Durante la sua ricerca in Libano Jeanne chiede al fratello di raggiungerla e con quest’ultimo arriverà anche il notaio Lebel che li aiuterà nella scoperta finale della sconvolgente verità che ha causato alla madre un ictus e la succesiva morte.
Il tema è quello dell’orrore della guerra civile fra etnie, nel quale non esiste alcuno spazio per la pietà ed in cui perfino i bambini sono annichiliti da colpi di pistola o addestrati come macchine di violenza pura. E su tutto domina il ritratto di una donna coraggiosa, simbolo di umiliazione e ribellione ad un mondo disintegrato da una crudeltà cieca ed inumana che non risparmia nessuno e non lascia spazio alcuno alla pietà o al riconoscimento del prossimo e del suo diritto ad una esistenza indipendentemente dal proprio credo e dal proprio luogo di nascita.
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