lella sabadini
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lunedì 27 febbraio 2012
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la guerra dentro
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A me il film sembra ben strutturato, ritmo incalzante specie nella prima parte, i flash back ben inseriti nella vicenda. Non capisco il perchè di tante critiche. I protagonisti recitano egregiamente,La presenza di Christopher Lee aggiunge valore al film, non solo per la sua interpretazione ma per lo spiraglio che apre sul suo lavoro di psicologo degli assassini e torturatori durante la guerra di Spagna : un argomento che può essere spunto di molte riflessioni.La verità, quando è così tremenda e carica di sensi di colpa, motivati o presunti che siano,ci mette un bel po' a venire a galla ma alla fine è liberatoria. Certo è un meccanismo già visto ( mi viene subito in mente Paranoid Park.
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A me il film sembra ben strutturato, ritmo incalzante specie nella prima parte, i flash back ben inseriti nella vicenda. Non capisco il perchè di tante critiche. I protagonisti recitano egregiamente,La presenza di Christopher Lee aggiunge valore al film, non solo per la sua interpretazione ma per lo spiraglio che apre sul suo lavoro di psicologo degli assassini e torturatori durante la guerra di Spagna : un argomento che può essere spunto di molte riflessioni.La verità, quando è così tremenda e carica di sensi di colpa, motivati o presunti che siano,ci mette un bel po' a venire a galla ma alla fine è liberatoria. Certo è un meccanismo già visto ( mi viene subito in mente Paranoid Park...) ma efficace. Più che un film sulla guerra è un film su come viene vissuta la guerra. Forse se Mark non avesse accettato di tornare con David lui avrebbe preso un'altra strada e non sarebbe saltato su una mina... Chi può dirlo ? Il vero e proprio "Triage" strutturato solo da foglietti blu o gialli è veramente un colpo di genio ( non so se presunto o derivato da effettive esperienze ma non importa ). La figura del medico che si trova costretto a decidere fra una fine atroce e una rapida che gli permetta di curare meglio chi può sopravvivere è ben delineata.
Per finire: non riesco a trovare incongruenze o sbavature in questo film: da qui le 4 stelle .
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oh dae soo
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lunedì 5 aprile 2010
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la guerra statica
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Triage è l'ultimo lavoro di Tanovic, il regista premio Oscar per No man's land. E' un film di guerra che più che concentrarsi sul conflitto in sè vuole analizzare gli effetti devastanti che può causare l'esserne stati testimoni. La storia narra la vicenda di due reporter di guerra nel Kurdistan del 1988. Uno vuole tornare a casa per la nascita del figlio; l'altro, al contrario,preferisce restare in cerca di foto il più possibile importanti e drammatiche.Alla fine sarà il secondo a tornare,ferito a causa di un "incidente", ma forse le ferite più grandi non sono nel corpo, ma nell'animo...
C'è poco da fare, Triage non convince affatto.
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Triage è l'ultimo lavoro di Tanovic, il regista premio Oscar per No man's land. E' un film di guerra che più che concentrarsi sul conflitto in sè vuole analizzare gli effetti devastanti che può causare l'esserne stati testimoni. La storia narra la vicenda di due reporter di guerra nel Kurdistan del 1988. Uno vuole tornare a casa per la nascita del figlio; l'altro, al contrario,preferisce restare in cerca di foto il più possibile importanti e drammatiche.Alla fine sarà il secondo a tornare,ferito a causa di un "incidente", ma forse le ferite più grandi non sono nel corpo, ma nell'animo...
C'è poco da fare, Triage non convince affatto. Il film ha il difetto di essere tremendamente senza ritmo, lento nel senso deleterio del termine, verboso, come fosse un'unica e interminabile seduta psicanalitica lunga un'ora e mezza (e del resto lo è letteralmente tutta la seconda parte).Si badi bene, la lentezza di un film non è di per sè un difetto, tutt'altro, ma la mancanza di ritmo, lo stare fermo malgrado lo scorrere inesorabile dei minuti è unar caratteristica difficilmente digeribile. Il protagonista, un bravo Colin Farrel sa qualcosa che lo spettatore e tutti gli altri personaggi non sanno, ma il metodo, la lungaggine con cui la verità alla fine viene fuori, rischia di farlo diventare il segreto di Pulcinella. Non mancano immagini forti,scene buone (l' incidente dei 2 reporter su tutte) non mancano denunce, esplicite e non, a tutte le guerre e a tutti i regimi, ma non si arriva mai a una "potenza" tale, titpica dei capolavori, da smuovere le coscienze. E' una sceneggiatura facile, che punta tutto sui dialoghi e pochissimo sulla storia, sulle vicende; una sceneggiatura a tesi che vuole dimostrare quello che tutti sappiamo, l'orrore della guerra, l'orrore della morte.
E il riferimento al triage, cioè al sistema di smistamento negli ospedali delle zone di guerra, con il quale si decide chi può essere salvato e chi no (e giustiziato per questo) alla fine si rivela quasi estraneo al film, o almeno alla sua risoluzione, pur essendoneil titolo...
Ovviamente non è un film da buttare, e chi ha visto poche pellicole sull'argomento può trovare anche spunti e riflessioni interessanti, ma senz'altro da Tanovic ci si aspettava di più.
Impressionante infine, e mi scuso se fosse stato già notato in precedenza, la somiglianza dello scheletro di sceneggiatura di Triage con quello di Brothers di Sheridan ( o meglio dell'originale della Bier). Due persone in guerra, una torna, l'altra no. Chi torna serba con sè un terribile segreto riguardante il compagno, segreto che lo tormenta e non ha la forza di raccontare alla moglie del ragazzo non tornato. Mentre in Triage però questo canovaccio è il principale, in Brothers, film di tutt'altro spessore, viaggia parallelo allo studio del conflitto psicologico e non, dei due fratelli protagonisti.
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enzo70
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sabato 20 novembre 2010
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un film sulla memoria del dolore
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La guerra viene fotografata in Triage con un grandangolo. Da lontano, da molto lontano. Tanovic uso lo zoom solo per raccontare una pratica medica: segnalare con una striscietta blu i feriti di guerra non curabili. Destinati ad un colpo di pallottola. Ma la spietatezza della medicina, e della vita, è questa anche in tempi e luoghi di pace. Una cellula impazzita, un virus o un batterio sconosciuto condannano come una granata. Se il film prende il titolo da questa pratica medica, il racconto si snoda su altre vie, incrociando tra vita, morte, luoghi di guerra, il Kurdistan, e luoghi di pace, la consueta videogenica, Dublino. Colin Farrell interpreta con maestria la sua parte. Le storie si incrociano, si accavallano, come in un album di fotografie disordinate.
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La guerra viene fotografata in Triage con un grandangolo. Da lontano, da molto lontano. Tanovic uso lo zoom solo per raccontare una pratica medica: segnalare con una striscietta blu i feriti di guerra non curabili. Destinati ad un colpo di pallottola. Ma la spietatezza della medicina, e della vita, è questa anche in tempi e luoghi di pace. Una cellula impazzita, un virus o un batterio sconosciuto condannano come una granata. Se il film prende il titolo da questa pratica medica, il racconto si snoda su altre vie, incrociando tra vita, morte, luoghi di guerra, il Kurdistan, e luoghi di pace, la consueta videogenica, Dublino. Colin Farrell interpreta con maestria la sua parte. Le storie si incrociano, si accavallano, come in un album di fotografie disordinate. Ed alla fine la matassa si dipana in un classico recupero della memoria; classico e scontato. I protagonisti sono prevedibili come le soluzioni adottate. Rimane il merito di non aver mai appesantito il film, il rischio a questo punto era quello, con scene sovrabbondanti o con inciuci stilisti. Il che rende il film, nel suo complesso, gradevole.
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paola di giuseppe
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sabato 28 novembre 2009
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lontani i tempi di robert capa!
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Triage vuol dire smistamento dei soggetti infortunati in base alla gravità delle loro condizioni.
I colori dei codici utilizzati nel film si riducono a giallo,e si viene curati,blu e il dottore del campo di guerra pratica una veloce eutanasia con un colpo di pistola per impedire inutili sofferenze, visto che di accanimento terapeutico,in quelle condizioni,non si può davvero parlare.
Ambientato nella prima parte nel Kurdistan in guerra con l’Iraq di Saddam verso la fine degli anni ’80, a Dublino nella seconda,Tanovic porta sullo schermo un romanzo di Scott Anderson per il quale ha nutrito,pare, un’ammirazione tale da convincerlo a recedere dal proposito dichiarato di non girare più film sulla guerra.
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Triage vuol dire smistamento dei soggetti infortunati in base alla gravità delle loro condizioni.
I colori dei codici utilizzati nel film si riducono a giallo,e si viene curati,blu e il dottore del campo di guerra pratica una veloce eutanasia con un colpo di pistola per impedire inutili sofferenze, visto che di accanimento terapeutico,in quelle condizioni,non si può davvero parlare.
Ambientato nella prima parte nel Kurdistan in guerra con l’Iraq di Saddam verso la fine degli anni ’80, a Dublino nella seconda,Tanovic porta sullo schermo un romanzo di Scott Anderson per il quale ha nutrito,pare, un’ammirazione tale da convincerlo a recedere dal proposito dichiarato di non girare più film sulla guerra.
Dei due fotoreporter di guerra,solo uno,Mark,torna dalla moglie,ma in condizioni psicofisiche preoccupanti.Dell’altro, David,partito prima perché disgustato dallo scenario di guerra e desideroso di tornare dalla moglie che sta per partorire,non si sa più nulla.
Solo l’intervento dello psicanalista,nonno della moglie, scioglierà il nodo del segreto rimosso nel fondo della psiche di Mark e porterà allo svelamento finale.
I tempi di No Man’s Land sono lontani anni luce da questo film,lì il plot era intrigante,il paradosso della guerra messo a nudo con sarcasmo tenne al riparo da enfasi e lacrime,qui no, c’è tanto di già detto,e meglio,e di scontato e melodrammatico da far dire ad una Aspesi particolarmente in vena “E se si tornasse ai vecchi tempi in cui i Berretti Verdi combattevano,almeno sullo schermo,una guerra bella,nel senso che,vincendola,la facevano finire e gli spettatori andavano a casa contenti?”
Come non concordare di fronte al proliferare continuo di film che ci raccontano che la guerra non è bella e che fa tanto male?
“Solo i morti hanno visto la fine della guerra."dice mesto Platone nella didascalia finale.
"Il modo più veloce,per porre fine ad una guerra,è perderla" risponderebbe Orwell.
Ad ogni modo, la prima parte del film ha una sua cruda forza, soprattutto per merito di Branko Djuric, il dottor Talzani (il sanguigno Ciki di No Man’s Land)che passa fra i resti umani col suo camice imbrattato di sangue e distribuisce cartellini gialli e blu con l’indifferenza di un arbitro di calcio.
Si occupa lui stesso della soluzione finale quando è il momento,tant’è che,tra i ferri del mestiere,figura una pistola che pulisce accuratamente come un bisturi.
Straniante,sarcastico,l’unico momento vero del film.
Il resto è un centone di luoghi comuni a cui approdano malinconicamente le buone intenzioni del regista.
Sul tema dell’occhio fotografico applicato a scenari di guerra,scottante dicotomia fra realtà e sua rappresentazione,i due protagonisti non lasciano il segno,mentre prevale il versante psicanalitico che si aggroviglia su sè stesso,con scarsa efficacia e incomprensibile deriva sul motivo del recupero e della purificazione dei criminali del regime franchista.
In effetti non si riesce a capirne il nesso col film,e Cristopher Lee,vecchio psicanalista in odore di fascismo proprio per la sua attività in quell’ambito ai bei tempi, non aiuta molto.
Sono lontani i tempi di Robert Capa e delle sue ardite incursioni fra verità e leggenda.
La foto del miliziano colpito a morte nei pressi di Cordoba nel 1936,durante la guerra civile spagnola, geniale falso di un fotografo che scriveva con le immagini come uno scrittore,ci racconta la guerra molto meglio.
«Se la leggenda supera la verità, stampa la leggenda» disse bene una volta Johnn Ford
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morrets
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venerdì 26 novembre 2010
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davvero un bel film!
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gran bel film mai banale con splendidi personaggi e una storia di guerra e umanita' al di fuori della solita trama dei film di guerra
ottimo farrel sempre piu' psicologico ottimo film da vedere!
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