marioazzerana
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sabato 13 febbraio 2010
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la parte grigia dell'america
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Crossin Over non è un film per tutti. Non piacerà a chi possiede una propria opinione codificata e contingentata degli Stati Uniti d'America e allo stesso tempo non piacerà a chi ritiene l'uso indifferente della forza legale quale strumento di contenimento dell'immigrazione. L'immigrazione è un fenomeno recente anche in Italia, recente per similitudine alle vicende di Crossin Over. Tale vicinanza pone quesiti etici e morali anche all'Italia oggi. Soprattutto il film pone l'accento sugli aspetti umani del fenomeno dell'immigrazione. Il regista lascia del tutto fuori dal set le reazioni della gente "regolare", ammettendo in questo modo che la gente, o meglio il pubblico - a differenza di quanto scritto dal critico - ragionasse per conto suo.
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Crossin Over non è un film per tutti. Non piacerà a chi possiede una propria opinione codificata e contingentata degli Stati Uniti d'America e allo stesso tempo non piacerà a chi ritiene l'uso indifferente della forza legale quale strumento di contenimento dell'immigrazione. L'immigrazione è un fenomeno recente anche in Italia, recente per similitudine alle vicende di Crossin Over. Tale vicinanza pone quesiti etici e morali anche all'Italia oggi. Soprattutto il film pone l'accento sugli aspetti umani del fenomeno dell'immigrazione. Il regista lascia del tutto fuori dal set le reazioni della gente "regolare", ammettendo in questo modo che la gente, o meglio il pubblico - a differenza di quanto scritto dal critico - ragionasse per conto suo. La gente comune ignora completamente le tragedie umane degli immigrati: Cossin Over offre la possibilità di conoscere una realtà che non piacerà. L'intreccio e la complessità della sceneggiatura meritano una lode e non un demerito. Il 99% della cinematografia americana è banale e adatta un un pubblico di sedicenni. Nessuno si spaventerà per un film ben fatto, completo e niente affatto fazioso. Buona riflessione.
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filippo catani
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giovedì 4 luglio 2013
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strade intrecciate sul tema dell'immigrazione
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A Los Angeles si intrecciano diverse storie che finiranno per intrecciarsi. Un'avvenente giovane ragazza australiana cerca di sfondare nel mondo dello spettacolo americano ma in cambio dell'agognata green card non esita ad andare a letto con un funzionario. La moglie del funzionario segue invece la causa di una ragazza arrestata dall'FBI per presunte simpatie verso i dirottatori dell'11 settembre. Nel frattempo un agente della polizia di confine cerca di risolvere il caso di una ragazza mentre al collega viene uccisa misteriosamente la sorella. Intanto il figlio di un lavandaio asiatico inizia a frequentare brutte compagnie.
Un film decisamente interessante quello che ci regala il regista Kramer sul variegato tema dell'immigrazione.
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A Los Angeles si intrecciano diverse storie che finiranno per intrecciarsi. Un'avvenente giovane ragazza australiana cerca di sfondare nel mondo dello spettacolo americano ma in cambio dell'agognata green card non esita ad andare a letto con un funzionario. La moglie del funzionario segue invece la causa di una ragazza arrestata dall'FBI per presunte simpatie verso i dirottatori dell'11 settembre. Nel frattempo un agente della polizia di confine cerca di risolvere il caso di una ragazza mentre al collega viene uccisa misteriosamente la sorella. Intanto il figlio di un lavandaio asiatico inizia a frequentare brutte compagnie.
Un film decisamente interessante quello che ci regala il regista Kramer sul variegato tema dell'immigrazione. Così come si incrociano le strade di Los Angeles, allo stesso tempo finiranno per incrociarsi i destini di tutti i protagonisti. Senza falsi pudori e peli sulla lingua, il regista ci mostra quello che giovani ragazze sono disposte a fare pur di tentare la strada del cinema dei sogni. Allo stesso tempo guardiamo impotenti alla paranoia che ha annebbiato parte degli USA dopo l'11 settembre; bastano una professoressa zelante e un tema discutibile che una povera ragazza si ritrova catapultata nel girone infernale delle celle degli USA. Allo stesso tempo per bilanciare ci viene anche mostrato il volto "buono" della polizia con un agente vicino alle pensione un po' impietosito dalle vicende degli immigrati. E poi ci sono le storie dei nuovi americani divenuti tali per giuramento ma che si portano dietro tutti i retaggi del loro paese d'origine. Insomma un film decisamente ben fatto e costruito con un cast ben assortito che va da Liotta a Ford passando per la judd. Un film non banale che ci consegna un'articolata riflessione sul tema dell'immigrazione che giustamente deve essere svolto in tutta la sua complessità mentre invece (troppo) spesso viene svolto in maniera semplicistica e banale. Da vedere.
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rescart
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martedì 23 luglio 2013
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la grande calamita
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Potrebbe essere questo il nomignolo più adatto da affibbiare agli Stati Uniti, in analogia a quello in voga per la sua capitale finanziaria New York. Da tutto il mondo, non solo dai cosiddetti Paesi poveri, vogliono andare a vivere là perché pensano che sia la patria del benessere e dell’affermazione dell’individuo. Ma nella cultura dei Paesi di origine degli immigrati di regola non ha senso l’esaltazione individualistica, non si dà il solitario Harrison Ford al contempo paladino dei diritti dei deboli e tutore intransigente della legge, né si dà il benestante impiegato ultraquarantenne senza figli pronto a divorziare pur di riportare in luce i suoi appetiti sessuali da adolescente. Al massimo si dà la giovane aspirante attrice australiana capitata a Los Angeles senza un curriculum degno di nota, perché convinta che, essendo l’industria cinematografica statunitense la più importante al mondo, qui potrà avere le occasioni che le sono state negate in patria.
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Potrebbe essere questo il nomignolo più adatto da affibbiare agli Stati Uniti, in analogia a quello in voga per la sua capitale finanziaria New York. Da tutto il mondo, non solo dai cosiddetti Paesi poveri, vogliono andare a vivere là perché pensano che sia la patria del benessere e dell’affermazione dell’individuo. Ma nella cultura dei Paesi di origine degli immigrati di regola non ha senso l’esaltazione individualistica, non si dà il solitario Harrison Ford al contempo paladino dei diritti dei deboli e tutore intransigente della legge, né si dà il benestante impiegato ultraquarantenne senza figli pronto a divorziare pur di riportare in luce i suoi appetiti sessuali da adolescente. Al massimo si dà la giovane aspirante attrice australiana capitata a Los Angeles senza un curriculum degno di nota, perché convinta che, essendo l’industria cinematografica statunitense la più importante al mondo, qui potrà avere le occasioni che le sono state negate in patria. In verità è difficile credere che una persona talentuosa, oltretutto bianca, debba scappare da un Paese come l’Australia, che al pari di Canada, Russia, Brasile e Sudafrica sta crescendo economicamente a ritmi di gran lunga superiori a quelli degli Stati Uniti, per dimostrare le sue doti umane e professionali. A dispetto della coincidenza della lingua, chi non ha talento non lo saprà mostrare neppure all’estero. In questo caso le difficoltà ad ottenere il permesso di soggiorno diventano solo la scusa per giustificare il proprio fallimento, non solo professionale ma anche umano. Chi invece ha le capacità, come il cantante ebreo scopertosi utilitaristicamente giudeo devoto e praticante, può essere baciato dalla fortuna (anziché da un lardoso arrapato) seppure incastrato dal biglietto da visita di un rabbino. Queste storie leggere e quasi comiche, ben caratterizzate nel film di Kramer, gravitano però intorno ad altre ben più tragiche, che fanno emergere dall’anonimato più di un martire ed un carnefice.
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kondor17
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mercoledì 24 luglio 2013
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la terra promessa
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L'America, con le sue speranze, le sue promesse, da sempre magnete per cercatori d'oro e di avventura, per nuovi conquistadores, frontiera dell'immaginario e dell'immaginifico, terra delle mille opportunità: di studio, di denaro, di successo, di un futuro. Per attori, ebrei, musulmani, musicisti o per semplici desperados messicani. Ma il prezzo da pagare è spesso molto alto: assistenza sociale sommaria e raffazzonata, leggi per l'immigrazione e la naturalizzazione assai severe, polizia (e non solo di frontiera) spesso corrotta ed interessata. Tutti uniti sotto un'unica carta, sotto un'unica bandiera, simbolo ormai del sacro e del profano, dell'unità e della discriminazione, del razzismo e della tolleranza, del tutto e del niente.
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L'America, con le sue speranze, le sue promesse, da sempre magnete per cercatori d'oro e di avventura, per nuovi conquistadores, frontiera dell'immaginario e dell'immaginifico, terra delle mille opportunità: di studio, di denaro, di successo, di un futuro. Per attori, ebrei, musulmani, musicisti o per semplici desperados messicani. Ma il prezzo da pagare è spesso molto alto: assistenza sociale sommaria e raffazzonata, leggi per l'immigrazione e la naturalizzazione assai severe, polizia (e non solo di frontiera) spesso corrotta ed interessata. Tutti uniti sotto un'unica carta, sotto un'unica bandiera, simbolo ormai del sacro e del profano, dell'unità e della discriminazione, del razzismo e della tolleranza, del tutto e del niente. Da un lato i media inneggiano alla libertà di parola e di pensiero, dall'altro queste vengono "legalmente" soppresse con atroci ritorsioni, anche in presenza di semplici supposizioni o implicazioni.
Da tutto questo Wayne Kramer, regista sudafricano, confeziona veramente un buon film (da 3 e mezzo direi), che tratta le storie incrociate di vari emigrati, più o meno legali o legalizzati (tra cui spiccano Jim Sturgess, una bellissima Alice Eve, ma soprattutto Summer Bishil, che interpreta magistralmente Taslima) , sotto l'occhio vigile di polizia (Ford, Liotta, Curtis) e l'aiuto dei servizi sociali (Ashley Judd). Un argomento ed un cast, quindi, di primordine, che forse poteva essere reso e recitato meglio, e in questo mi riferisco soprattutto a Ray Liotta e Cliff Curtis. Ma non è solo colpa loro. Difficile condensare in due ore scarse tutto questo questo. Ce ne sarebbe per almeno 20.
Alla fine, c'è sempre chi ce la fa e chi non ce la fa, chi vive e chi muore, chi resta e chi deve partire. I cattivi vanno in prigione o rispediti a casa e se sono "molto cattivi" - Dio salvi l'America dal terrorismo -, anche se quindicenni, vengono estradati a vita, dilaniando famiglie e creando drammi gratuiti. E nel nome del terrorismo, e ormai lo si sa, tutto è legale in America. Le invasioni, le guerre, la discriminazione, anche le torture. La nuova frontiera dell'apartheid, dentro e fuori confine. E le lobby delle armi sorridono. Ed il mondo piange, spesso inerme, ma troppo spesso silenzioso complice.
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paioco89
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venerdì 3 luglio 2009
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intreccio interessante con molta superficialità
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La tematica è una di quelle da far durare un film più di 4 ore. Questo ne dura quasi due. Kramer, regista non proprio esperto, dimostra di tenere molto all'argomento, vuole portare alla luce dei milioni di spettatori i problemi burocratici, i ricatti, le speranze di quegli immigrati che desiderano rimanere negli Stati Uniti. L'impegno e la volontà senza dubbio è da apprezzare, ma certamente non si può non tenere della mole di eventi che cerca di comprimere in uno spazio temporale cosi ridotto e soprattutto per una questione del genere. Il film propone molte storie diverse l'una tra l'altra: messicani, finti ebrei, un'australiana, islamici ecc ecc., ma non riesce mai ad andare a fondo di una sola di queste esperienze, degli eventi che colpiscono più o meno negativamente le vite di questi extracomunitari.
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La tematica è una di quelle da far durare un film più di 4 ore. Questo ne dura quasi due. Kramer, regista non proprio esperto, dimostra di tenere molto all'argomento, vuole portare alla luce dei milioni di spettatori i problemi burocratici, i ricatti, le speranze di quegli immigrati che desiderano rimanere negli Stati Uniti. L'impegno e la volontà senza dubbio è da apprezzare, ma certamente non si può non tenere della mole di eventi che cerca di comprimere in uno spazio temporale cosi ridotto e soprattutto per una questione del genere. Il film propone molte storie diverse l'una tra l'altra: messicani, finti ebrei, un'australiana, islamici ecc ecc., ma non riesce mai ad andare a fondo di una sola di queste esperienze, degli eventi che colpiscono più o meno negativamente le vite di questi extracomunitari. Il film si rifà molto a "Crash - Contatto fisico", con il suo montaggio che incatena le storie dei personaggi facendoli poi ritrovare quasi tutti assieme, in una sorta di grande famiglia. Quest'ultimo film però inserisce meno storie e le analizza di più, va a fondo della tematica senza rimanere su luoghi comuni o su semplici annotazioni, su delle minime impressioni. Quello che il regista ci mostra in "Crossing Over" non è trattato in modo da colpire lo spettatore, in modo da portarlo ad una profonda riflessione. Il pubblico uscirà dalle sale, con molte idee che farfugliano nella mente senza una vera e propria tematica da portare avanti, senza dei dati così concreti da discuterci sopra poichè il tutto viene quasi banalizzato, buttato li per essere visto e dimenticato. Vi è l'idea base di un'America talvolta comprensisa e talvolta crudele, un'America che cerca di essere accogliente andando anche contro la legge. Ma la sostanza dov'è? Quali sono le esperienze del film che ci permettono di criticare e di mettere in crisi il sistema che attuano negli USA nei confronti degli immigrati? L'intreccio filmico è senz'altro interessante, prende vita e pian piano decolla fermandosi però a bassa quota, senza spiccare il volo come il pubblico certamente si sarebbe potuto aspettare, come avrebbe voluto vedere.
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[+] piccolo disaccordo
(di dario)
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