edward teach
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mercoledì 17 marzo 2010
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film palloso
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C'e' poco da dire. Film palloso e permeato di un vago moralismo intriso di ipocrisia (anche i poveri arabi soffrono tanto, ma i buoni siamo noi e ci dispiace tanto per i collateral damages ma sono per lo piu' colpa loro).
Ora che gli hanno regalato l'Oscar piacera' improvvisamente anche a molti di quelli che quando era uscito per la prima volta si erano fatti, e giustamente per la verita', due maroni cosi'.
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(di marvelman)
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burton99
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martedì 16 marzo 2010
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the hurt locker, un grande film
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Bellissimo film, grandissimo finale, grande Renner e più di tutti grandissima Bigelow. L'oscar se lo meritava. Insomma, the hurt locker è un bel film.
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g_andrini
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martedì 16 marzo 2010
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niente male
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L'Oscar , a mio parere, è meritato. Si tratta di un film denuncia, in cui si capisce cosa è la guerra. Gli attori sono di buon livello, e le ambientazioni riproducono fedelmente questo territorio martoriato dalla guerra. Sembra proprio di essere in Iraq. Che dire... Darci una occhiata è doveroso.
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paride86
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sabato 13 marzo 2010
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interessante
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La tesi del film, come dichiarato fin dall'inizio, è che la guerra crea dipendenza e che sia più facile rischiare costantemente di morire che vivere nel mondo reale.
Kathryn Bigelow riesce a portare avanti coerentemente questo discorso e ad illustrare le atrocità della guerra realizzando un film certamente interessante ma parecchio sopravvalutato dall'Academy.
Ci sono parti prive di pathos e di tensione e la telecamera a spalla dà alla storia un sapore documentaristico; il film, inoltre, non riesce a decidersi tra la storia individuale e quella collettiva, e così la sua morale non è generalizzabile, visto e considerato anche il comportamento dei coprotagonisti.
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andre89lost
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sabato 13 marzo 2010
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un film che fa rilettere, ma non merita l'oscar
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La guerra è brutta. Giusta o sbagliata che sia. In questo film viviamo in prima persona le forti emozioni di un gruppo di artificieri. Tensione mescolata a dosi abbondanti di noia. Dobbiamo rendere omaggio a tutti coloro che sono impegnati in missione perchè hanno due palle così.
Detto ciò, il film in sè non è che sia la fine del mondo. Anzi. Due stelle e mezzo direi che possono bastare. Ha il pregio di rappresentare con estrema crudezza e realsimo la guerra; il difetto è quello di non avere una storia continuativa.. sostanzialmente il film è un insieme di episodi non legati tra loro che di conseguenza non riescono a creare una trama avvincente e non soporifera.
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La guerra è brutta. Giusta o sbagliata che sia. In questo film viviamo in prima persona le forti emozioni di un gruppo di artificieri. Tensione mescolata a dosi abbondanti di noia. Dobbiamo rendere omaggio a tutti coloro che sono impegnati in missione perchè hanno due palle così.
Detto ciò, il film in sè non è che sia la fine del mondo. Anzi. Due stelle e mezzo direi che possono bastare. Ha il pregio di rappresentare con estrema crudezza e realsimo la guerra; il difetto è quello di non avere una storia continuativa.. sostanzialmente il film è un insieme di episodi non legati tra loro che di conseguenza non riescono a creare una trama avvincente e non soporifera. E' un documentario.
Fra questo e AVATAR preferisco AVATAR e credo sia ingiusto che si sia preso 6 oscar.
Voto:7-
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sergio marchetti
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sabato 13 marzo 2010
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un oscar non si nega a nessuno.
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The Hut Locker
Il popolo più tecnologico e ricco della Terra aggredisce un altro popolo, ricco di storia e tradizioni, per impossessarsi del suo petrolio. Un milione di morti e la distruzione di un intero paese sono il risultato dell’operazione voluta da una cricca di reazionari capeggiati da un presidente ex alcolista e ritardato mentale. Un aspetto, di questo fatto reale, scuote la sensibilità di Kathryn Bigelow: la guerra, per qualche povero di spirito, può essere una droga.
Tre soldati di ferro, un mezzo blindato e una tuta da marziano insieme con alcune tonnellate di fuochi artificiali sono quanto serve per sviluppare la peregrina tesi.
La solita scazzottata, unita al prezioso lessico di circostanza: alza il culo, stronzo, merda, bastardo, ecc.
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The Hut Locker
Il popolo più tecnologico e ricco della Terra aggredisce un altro popolo, ricco di storia e tradizioni, per impossessarsi del suo petrolio. Un milione di morti e la distruzione di un intero paese sono il risultato dell’operazione voluta da una cricca di reazionari capeggiati da un presidente ex alcolista e ritardato mentale. Un aspetto, di questo fatto reale, scuote la sensibilità di Kathryn Bigelow: la guerra, per qualche povero di spirito, può essere una droga.
Tre soldati di ferro, un mezzo blindato e una tuta da marziano insieme con alcune tonnellate di fuochi artificiali sono quanto serve per sviluppare la peregrina tesi.
La solita scazzottata, unita al prezioso lessico di circostanza: alza il culo, stronzo, merda, bastardo, ecc., molto sangue, un po’ di vomito sono gli ingredienti per confezionare il solito polpettone.
I soldati ovviamente sono fatti di una lega titanio-criptonite diversamente spazzerebbero da questo mondo con una sventagliata di mitra il subdolo mussulmano, sorpreso con un cellulare che potrebbe essere collegato in qualche modo alla bomba che stanno disinnescando.
Il nemico ovviamente è il male assoluto: dissemina bombe ovunque, uccide dei simpatici ragazzini per sostituirne i visceri con candelotti di tritolo, ti spara addosso smaterializzandosi nel nulla e così via.
Viene da chiedersi se la signora Bigelow abbia avuto modo di vedere il film di Samuel Maoz: Lebanon o il più vecchio Full Metal Jacket del maestro Stanley Kubrick, dove nella scena finale di quest’ultimo vediamo dei soldati più che drogati, ormai decerebrati avanzare con i loro mitra nel vuoto cantando una canzone di topolino. The Hut Locker appartiene al vasto mondo di opere minori della serie: facciamoci paura con i mostri inventati, ma evitiamo ad ogni costo di guardare la realtà in cui viviamo.
Fotografia, effetti speciali e recitazione nella media dei prodotti seriali. Complessivamente noioso.
Sergio Marchetti
13/03/2010
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(di edward teach)
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[+] non hai capito il film !!
(di ciacky)
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(di brian77)
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matric81
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sabato 13 marzo 2010
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solita storiella
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Il solito "eroe" statunitense un po' duro un po' dal cuore tenero e naturalmente poco avvezzo alle regole che vuole sconfiggere il nemico cattivo... negli Stati Uniti basta davvero poco per vincere 6 Oscar... La Guerra, l'Iraq, il patriottismo... Una delusione assoluta...
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danilodac
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venerdì 12 marzo 2010
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"the hurt locker"- tensione e adrenalina
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E’ la storia di un’unità di disinnescatori di bombe in Afghanistan e in Iraq, la EOD, corpo speciale dell’esercito americano. Tra tensioni, conflitti, momenti di panico, la vita va avanti in un luogo dominato dalla paura e dal dolore.
Con un efficace, secco e fluido stile documentaristico, K. Bigelow ci porta così tra gli anfratti della guerra più “silenziosa” degli ultimi anni. Ha lo scopo di descrivere, con puntigliosa meticolosità, ma anche con un’energia narrativa da manuale, il terrificante e amaro microcosmo dei soldati USA in un territorio da salvare e da “evitare”.
Ruvido, amaro, serrato, teso come una corda, è un film che fa aspettare e coinvolge sia dal punto di vista emotivo che da quello visivo.
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E’ la storia di un’unità di disinnescatori di bombe in Afghanistan e in Iraq, la EOD, corpo speciale dell’esercito americano. Tra tensioni, conflitti, momenti di panico, la vita va avanti in un luogo dominato dalla paura e dal dolore.
Con un efficace, secco e fluido stile documentaristico, K. Bigelow ci porta così tra gli anfratti della guerra più “silenziosa” degli ultimi anni. Ha lo scopo di descrivere, con puntigliosa meticolosità, ma anche con un’energia narrativa da manuale, il terrificante e amaro microcosmo dei soldati USA in un territorio da salvare e da “evitare”.
Ruvido, amaro, serrato, teso come una corda, è un film che fa aspettare e coinvolge sia dal punto di vista emotivo che da quello visivo. Nelle scene di suspense lo spettatore si immedesima istintivamente nel protagonista e ne cattura le incertezze, i problemi, ma anche le gioie e i piaceri adrenalinici; il tutto calato in un’atmosfera di sinistra ambientazione.
La figura del sergente capo (co)protagonista della vicenda è inedita nella storia del genere cinematografico a cui appartiene il film; una sorta di reinvenzione della realtà che più vera di così non si potrebbe. Un realismo, quindi, che sfocia nell’iperrealismo.
La psicologia dei personaggi è quasi sempre legata alle situazioni, ai luoghi, alle attese interminabili durante le quali ognuno si pone delle domande: “Fino a quando resterò in vita?; Vale la pena essere qui? Perché siamo qui se nessuno ci vuole?”; gli interrogativi vanno di pari passo con l’azione e il ritmo sincopato di un film di guerra.
Il titolo (traducibile in “Il pacchetto del dolore”) si riferisce ad un modo di dire del giornalista Mark Boal che indica le bombe da neutralizzare.
Nel cinema della californiana Bigelow il movimento è sempre subordinato al pensiero, la tensione alla riflessione; si crea così, attraverso un coraggioso incontro con la realtà, un universo spiazzante e inquietante, tenuto sotto osservazione dall’occhio di un’antropologa.
Nell’immaginario cinematografico degli anni 2000 occupa un posto d’onore per la sagacia con cui nasconde la sua anima calcolatrice sotto un velo opaco di improvvisazione, percorrendo una cifra stilistica ferrea e solida nel suo assetato sapore di verità.
Due o tre scene mozzafiato affidate ai tempi filmici della Bigelow e un finale amaro, potente e riflessivo al tempo stesso, in cui vengono parafrasate, attraverso le immagini, le parole dell’incipit iniziale: “La guerra è una droga”.
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laulilla
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venerdì 12 marzo 2010
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droga e incubo americano
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Il film descrive il comportamento di tre soldati dell’esercito americano, impegnati in Iraq nelle rischiosissime operazioni di disinnesco delle mine disseminate e dissimulate dappertutto nel territorio: William James, J.T. Sanborn, e Owen Eldridge. Ciascuno di essi compone la squadra degli artificieri, e svolge un ruolo reale nelle operazioni, ma ha nel film un ruolo anche simbolico, soprattutto in relazione alle domande che la guerra pone e alle risposte che ne possono derivare. Owen Eldrige è il personaggio che meno riesce ad accettare la guerra: non ne capisce le ragioni, ha continuamente bisogno di un supporto psicologico, non vorrebbe sparare neppure quando diventa una inderogabile necessità: quando, in barella e ferito, verrà riportato negli Stati Uniti, rovescerà sui suoi commilitoni tutto l’odio che la guerra ha fatto maturare nel suo animo.
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Il film descrive il comportamento di tre soldati dell’esercito americano, impegnati in Iraq nelle rischiosissime operazioni di disinnesco delle mine disseminate e dissimulate dappertutto nel territorio: William James, J.T. Sanborn, e Owen Eldridge. Ciascuno di essi compone la squadra degli artificieri, e svolge un ruolo reale nelle operazioni, ma ha nel film un ruolo anche simbolico, soprattutto in relazione alle domande che la guerra pone e alle risposte che ne possono derivare. Owen Eldrige è il personaggio che meno riesce ad accettare la guerra: non ne capisce le ragioni, ha continuamente bisogno di un supporto psicologico, non vorrebbe sparare neppure quando diventa una inderogabile necessità: quando, in barella e ferito, verrà riportato negli Stati Uniti, rovescerà sui suoi commilitoni tutto l’odio che la guerra ha fatto maturare nel suo animo. Il sergente Sanborn è un nero, che svolge nella squadra una funzione di copertura; anche lui ha paura, ma non ne é ossessionato e si espone con prudenza; nel corso delle azioni in cui è impegnato, vediamo mutare il suo atteggiamento: più speranzoso all’inizio, quando ancora gli sembra di essere molto giovane per decidere di sistemarsi stabilmente e mettere su famiglia, alla fine ( e sono passati “solo”36 giorni, un’eternità, in mezzo a quei rischi), esprime accoratamente la sua voglia di paternità: la sua risposta alla morte sempre in agguato. La figura più interessante mi pare quella del volontario William James. Al suo comportamento si riferisce forse la regista, quando parla di guerra come droga. William, infatti, pare quasi un incosciente, talmente assuefatto al pericolo, e talmente bravo nell’uscirne, da dare l’impressione di andarselo a cercare. La parte finale del film, in cui si rievoca la sua vita di pacifico padre e marito, contiene alcune sequenze “da antologia”, come è stato giustamente detto: un’ agghiacciante panoramica di un reparto di supermercato americano, degno di Andy Warhol e delle sue Campbell soup; una moglie che pare realizzata nel suo ruolo di mammina perfetta; un figlio pieno di coloratissimi giocattoli di plastica, emblemi del vuoto che contengono. Un sogno, o meglio, un incubo americano, di cui non è possibile trovare il senso: talvolta ci si droga anche per disperazione. La sua partecipazione alla guerra proprio in quel tipo di operazioni é per lui l’unico modo per tornare ad amare la vita. Quell'amore si manifesta anche per il piccolo Beckham, e, fin dov'è possibile, per l'uomo imbottito di esplosivo, ma anche nell'indulgenza e nell'umana partecipazione per le paure e le intemperanze dei suoi commilitoni. Film per molti aspetti straordinario.
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shumba
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venerdì 12 marzo 2010
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l' ipocondria della guerra
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Il mio amico Sam, grande cultore della materia cinematografica, non avrebbe mai detto che "questo era il film dell'anno" nel 2008. Ma non l'avrebbe detto perchè la pellicola non meritasse, anzi, l'avrebbe detto perchè Sam, da esperto del settore, sapeva già che la tecnologia cinematografica fra qualche mese avrebbe cercato di stupirci.
In tanti siamo bravi ad essere psicologi degli altri ma in pochi sono in grado di esserlo di se stessi. Il sargente James è un soldato, il suo mestiere è quello di disinnescare bombe.
Con lui c'è il colonnello Sanborn soldato afroamericano che rappresenta la razionalità dell'agire in squadra. Insieme a loro il giovane soldato "specialista" Eldrige che invece rappresenta tutta la paura della guerra.
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Il mio amico Sam, grande cultore della materia cinematografica, non avrebbe mai detto che "questo era il film dell'anno" nel 2008. Ma non l'avrebbe detto perchè la pellicola non meritasse, anzi, l'avrebbe detto perchè Sam, da esperto del settore, sapeva già che la tecnologia cinematografica fra qualche mese avrebbe cercato di stupirci.
In tanti siamo bravi ad essere psicologi degli altri ma in pochi sono in grado di esserlo di se stessi. Il sargente James è un soldato, il suo mestiere è quello di disinnescare bombe.
Con lui c'è il colonnello Sanborn soldato afroamericano che rappresenta la razionalità dell'agire in squadra. Insieme a loro il giovane soldato "specialista" Eldrige che invece rappresenta tutta la paura della guerra. James deve essere freddo, il suo fare è da leader scanzonato che non ha paura di quello che potrà succedere a lui e ai suoi compagni, la bomba che deve disinnescare però non è mai sua nemica fino in fondo, è un'amica pericolosa ma che non da fastidio fino a quando rimane silenziosa e al suo posto. Il ritorno alla base è un pericolo scampato ma allo stesso tempo un compito svolto ottimamente da festaggiare con wisky e sigarette.
Ha una moglie, un figlio che però non desidera riabbracciare fino in fondo perchè è l'ambiente che per le persone come lui fa la famiglia. Così se la sua famiglia è la guerra, suo figlio è Beckham, il ragazzo con la palla che vende i cd in telesync fuori dalla base.
Ad un certo punto la sua vita di uomo e di soldato gira intorno a questo ragazzo, al quale dimostra un affetto particolare, un affetto fatto di battute, di sorrisi, di gioco ma che ha sempre un alone di profondo distacco perchè il bravo soldato sà che affezionarsi in guerra è pericoloso. Ma anche James è un uomo ed il sentimento quindi prevale sulla freddezza. Così la paura di averlo perso diventa rifiuto, un tradimento troppo grande per un padre "immedesimato" che di mestiere disinnesca bombe.
I tre soldati rappresentano tre categorie diverse di uomini. La razionalità di Sanborn diventa cinica in alcune fasi del film ma allo stesso tempo la sua umanità riesce sempre a prevalere su di un bravo colonnello che ha sempre saputo che non era quello ciò che cercava nella sua vita. Eldrige è la personificazione dell'ipocondria della guerra, del passo sbagliato e sei morto, dello sparare solo se è necessario perchè è brutto uccidere. Solo alla fine questo giovane soldato, colpito da un evento che ha segnato la sua permanenza in Iraq, diventerà coraggioso ma, per chi ha paura il coraggio ha sempre un prezzo. Così il coraggio torna ad essere razionalità e la paura diventa adrenalina per non tornare mai più in quel deserto.
James e Sanborn sono legati dell'idea di paternità. Il figlio visto da una parte (Sanborn) come salvezza e stabilità, una meta da raggiungere per dar senso e ricordare le proprie azioni, dall'altra invece un ritorno al realismo crudo dell'evoluzione umana dove le cose davvero importanti si trasformano e si dimenticano con il passare delle stagioni della vita.
Il film è un inno alla psicologia dei soldati, ragazzi diversi che si trovano quotidianemente a rischiare la vita insieme per un fine che anche loro non hanno ancora capito fino in fondo. Alcuni decidono di tornare perchè la guerra diventa la loro famiglia, altri capiscono che il sacrificio della propria vita andrà sprecato e altri ancora sanno che vedere la morte in faccia, dopo qualche volta, può bastare.
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