giorpost
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giovedì 6 dicembre 2012
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la guerra in iraq con ritmo e filosofia
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L’ 11 settembre 2001 è stato un evento che ha cambiato la vita di milioni di persone, gli abitanti di New York e gli americani tutti. Ma un’ altra fetta, molto ampia, della popolazione mondiale ha subito anch’ essa di striscio una rivisitazione della propria esistenza in vari campi della vita. Quando prendiamo la metro, dove stiamo attenti ad eventuali borse lasciate incustodite, quando vediamo un gruppo di stranieri che confabulano magari di calcio e noi pensiamo che stanno tramando un attacco. Ma, restando in tematiche più ludiche e leggere, si è verificata una trasformazione anche nel modo di fare Cinema. Negli anni 2000, infatti, non si contano più pellicole legate all’ 11/9 (La 25ª ora) oppure dedicate alla guerra in Iraq, che è stata una diretta conseguenza degli attentati alle Torri Gemelle.
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L’ 11 settembre 2001 è stato un evento che ha cambiato la vita di milioni di persone, gli abitanti di New York e gli americani tutti. Ma un’ altra fetta, molto ampia, della popolazione mondiale ha subito anch’ essa di striscio una rivisitazione della propria esistenza in vari campi della vita. Quando prendiamo la metro, dove stiamo attenti ad eventuali borse lasciate incustodite, quando vediamo un gruppo di stranieri che confabulano magari di calcio e noi pensiamo che stanno tramando un attacco. Ma, restando in tematiche più ludiche e leggere, si è verificata una trasformazione anche nel modo di fare Cinema. Negli anni 2000, infatti, non si contano più pellicole legate all’ 11/9 (La 25ª ora) oppure dedicate alla guerra in Iraq, che è stata una diretta conseguenza degli attentati alle Torri Gemelle. Questa guerra, tutt’ ora in atto, non si può certamente paragonare al Vietnam per numero di vittime tra civili e soldati, per le spese e per le dinamiche ad essa connesse. Ma in quanto a problematiche relative alla psicologia dei soldati, che in un modo o nell’ altro hanno subito traumi o sostanziali mutamenti della visione del mondo, differenze ce ne sono ben poche. E la regista di culto Kathryn Bigelow coglie appieno l’ esperienza irachena dei marines, ne racconta una parte marginale ma ne spiega coinvolgimenti emotivi, trame, usanze, divergenze tra essi.
Il sergente WilliamJames è a capo di un’ unità speciale impegnata nel disinnesco di mine e bombe disseminate ovunque lungo i percorsi, nelle auto o in luoghi abitati. Trattasi di una squadra esposta al pericolo molto più che i soldati operanti presso i posti di blocco vicino gli aeroporti, un team di uomini che fanno del coraggio un’ ovvietà e della spregiudicatezza una virtù. Interpretato da un ottimo Jeremy Renner (doppiato egregiamente da Pasquale Anselmo, già voce di Nicholas Cage), James deve avvicinarsi in prima persona alle bombe in ogni occasione, vestito di una speciale armatura simile a quella dei palombari, ma la sua sfrontatezza (che potrebbe essere scambiata erroneamente per disprezzo della vita) lo porta in diverse occasioni a toccare i circuiti a mani nude e senza protezione alcuna. Quasi sempre il teatro dell’ azione è il deserto, in un alternarsi di situazioni raccontate con un eccellente ritmo ed accompagnate da un sonoro semplice ma efficace, tant’è che la sequenza emblematica del film è quel quarto d’ ora centrale, ambientato per l’appunto nel deserto, allorquando la squadra (James, i sergenti Sanborn e Thompson e lo specialista Eldridge) si imbatte in un SUV apparentemente occupato da terroristi, mentre in realtà si tratta di cacciatori di taglie tra i quali spicca un americano, interpretato da Ralph Fiennes (attore feticcio della regista), in un cameo di pochi ma intensi minuti, lungo i quali un gruppo di cecchini intrappola i soldati ammazzando tutti e 4 i mercenari. La scena è colma di suspance, di attesa, di tattica, di tentativi di sparatorie a vuoto, con una scarsa visuale dovuta alla distanza dalla quale i cecchini arabi stanno agendo e dalla rifrazione del sole, da pallottole bloccate dal sangue di uno dei mercenari uccisi, dall’ acqua che scarseggia ma impregnata di umanità. Qui trapela, infatti, anche la natura del capo patriarcale che si sacrifica per i suoi sottoposti in un gesto di altruismo di James nei confronti di Sanborn, al quale porge per primo uno degli ultimi succhi rimasti. E pensare che lo stesso Sanborn nella sequenza precedente aveva manifestato l’ interesse di uccidere il suo superiore. Trascorrono ore, si arriva al tramonto e finalmente il pericolo è scampato. La sera è dedicata ai festeggiamenti, all’ alcool, a scazzottate tra amici per poi ricominciare, dal giorno dopo, a contare i giorni che mancano al rientro in Patria per riabbracciare le proprie famiglie. Il finale è di quelli non scontati, certo neanche entusiasmanti, ma riflette la cruda realtà con la quale James ha dovuto fare i conti durante le sue 700 e passa operazioni di disinnesco, una realtà che tra morti, sangue, sparatorie e rischi l’ ha fatto arrivare alla conclusione che la vita è un involucro colmo di insensatezza.
Bel film, gran ritmo, buon cast e storia tra il reale e surreale, tra il già visto e l’ incredibilmente nuovo. Bigelow bella, talentuosa e visionaria quanto basta. Voto: 7
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the pork chop express
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sabato 25 agosto 2012
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film reazionario fino al midollo
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Film sopravvalutato oltre misura, ripropone senza aggiungere niente temi già ampiamente battuti sulla guerra, il suo orrore, la paranoia del nemico, la difficoltà di reinserimento dei reduci. Film reazionario fino al midollo ripropone l'americano buono e il nemico (iracheno) cattivo, preferendo alla fine la vita in trincea al noioso contesto civile. Bravo il protagonista Jeremy Renner.
[+] buoni e cattivi?
(di brian77)
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tiamaster
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giovedì 3 maggio 2012
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straordinario...
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Incredibile.L'ultimo capolavoro di katryn bigelow ha superato le mie aspettative (che erano altissime) a pieni voti,un simile film sulla guerra non si vedeva dai tempi de "la sottile linea rossa".La storia si incentra su un gruppo di sminatori statunitensi in afghanistan.Questa trama viene sfruttata dalla regista per far vedere la relatività della guerra,e il modo in cui varie persone reagiscono ad esse.Il risultato è straordinario,degno di tutte e sei le statuette da questo film ha vinto.Ricco di tensione e di angoscia,nel film non mancheranno scene memorabili,tanto intense quanto angoscianti,certo,il ritratto della guerra in afghanistan è totalmente parziale e fine alla storia,ma senza scendere nel documentario,katryn bigelow racconta una storia come raramente se ne vedono al cinema,una storia intensa e terribile,come la guerra stessa.
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Incredibile.L'ultimo capolavoro di katryn bigelow ha superato le mie aspettative (che erano altissime) a pieni voti,un simile film sulla guerra non si vedeva dai tempi de "la sottile linea rossa".La storia si incentra su un gruppo di sminatori statunitensi in afghanistan.Questa trama viene sfruttata dalla regista per far vedere la relatività della guerra,e il modo in cui varie persone reagiscono ad esse.Il risultato è straordinario,degno di tutte e sei le statuette da questo film ha vinto.Ricco di tensione e di angoscia,nel film non mancheranno scene memorabili,tanto intense quanto angoscianti,certo,il ritratto della guerra in afghanistan è totalmente parziale e fine alla storia,ma senza scendere nel documentario,katryn bigelow racconta una storia come raramente se ne vedono al cinema,una storia intensa e terribile,come la guerra stessa......il finale è UN CAPOLAVORO.
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prayant
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sabato 10 settembre 2011
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film potente, dal ritmo serrato e realistico
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Non è facile descrivere tutte le sensazioni che ti fa provare questo film: prime fra tutte l'ansia e la tensione, che accompagnano l'artificiere in quanto tale. Quando William indossa la tuta, si entra in una strana dimensione, tra la vita e la morte che può coglierti in un attimo. Come in una passeggiata lunare, si percorrono i 50 metri, poi i 10, poi i 5, e il tutto mentre si viene osservati da una incuriosita (ma anche potenzialmente minacciosa) popolazione del luogo. Vi è poi il senso, come dire, del "nulla", che si prova tornati a casa, dove non c'è più l'adrenalina, e le solite cose (andare al supermarket, stare in casa) non ti fanno sentire più vivo. Questo perchè, non tanto da soldato, non tanto da ufficiale, ma da artificiere, da sminatore, i reparti con la più alta mortalità, c'è una specie di sinistra ebbrezza, quasi una dipendenza, nel camminare ogni giorno sul filo del rasoio.
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ilconterik
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martedì 28 giugno 2011
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non il solito film di guerra
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The hurt locker non è il solito film di guerra.
In primo luogo perchè è diretto da una donna, Kathryn Bigelow. In secondo luogo perchè non è diretto nel modo in cui ci si aspetterebbe da una donna. La regista americana non ci racconta le atrocità della guerra in maniera nuda e cruda, non ci mostra immagini strazianti di civili mutilati e di madri in lacrime, non ci porta nemmeno sul campo di battaglia vero e proprio: tutto è raccontato in maniera molto più sottile.
Siamo in Iraq, dove la squadra di artificeri americani di turno rischia la vita per salvare quella di qualcun altro.
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The hurt locker non è il solito film di guerra.
In primo luogo perchè è diretto da una donna, Kathryn Bigelow. In secondo luogo perchè non è diretto nel modo in cui ci si aspetterebbe da una donna. La regista americana non ci racconta le atrocità della guerra in maniera nuda e cruda, non ci mostra immagini strazianti di civili mutilati e di madri in lacrime, non ci porta nemmeno sul campo di battaglia vero e proprio: tutto è raccontato in maniera molto più sottile.
Siamo in Iraq, dove la squadra di artificeri americani di turno rischia la vita per salvare quella di qualcun altro. La giornata tipo dei militari è una continua lotta contro il tempo: deve riuscire a tagliare il filo corretto, prima che le Parche taglino il suo di filo. Sì, perchè la maggior parte delle bombe è piazzata appositamente per far saltare qualche testa a stelle e strisce. Basta che il soldato si avvicini abbastanza all’esplosivo perchè un terrorista nelle vicinanze azioni il detonatore con un comando a distanza. Il tutto è ripreso con una videocamera tascabile, pronta a caricare le immagini su youtube.
La continua tensione e la paura di essere il bersaglio di un cecchino nemico non abbandona mai lo spettatore, che si identifica con i protagonisti. Essa è generata da un sapiente uso del mezzo tecnico, attraverso la camera a spalla, le focali lunghe e le zoomate a schiaffo, che rendono le immagini veloci e instabili. L’ intero film è una sorta di soggettiva, come se un’entità sconosciuta e minacciosa osservasse costantemente i personaggi nel loro vivere quotidiano e potesse scegliere come meglio crede del loro destino. Sull’ identità di questo osservatore ognuno di noi può avanzare la sua ipotesi: è un guerrigliero nemico, è Dio, è la regista stessa che ha il potere di vita o di morte sulle sue creature.
Ironia della sorte, coloro che sopravvivono, in realtà, l’anima l’hanno lasciata sul campo. La guerra diventa una droga, una dipendenza, l’unica cosa che davvero conta è tornare in battaglia. Quando tornano a casa trovano la loro vita svuotata di ogni senso e non possono fare altro che tornare a giocare. Come in un videogioco, sono manovratori di se stessi. Non hanno più la percezione del pericolo, o meglio non temono più nulla, perchè ciò che cercano è proprio quella sensazione di stare in bilico fra la vita e la morte. Se mai dovesse arrivare il Game Over, forse, non sarebbe che una liberazione.
The hurt locker è un film ben riuscito, da vedere assolutamente. L’inizio è magistrale, poi si perde un po’, con scene forse troppo lunghe a raccontarci ciò che ci è già stato detto in precedenza, ma questo non intacca la bellezza della pellicola.
“Qual è il modo migliore per disarmare una di queste cose?”
“Quello in cui non si muore.”
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ivan91
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venerdì 24 giugno 2011
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guerra = droga
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descrive la guerra in modo realistico e senza fronzoli oscar meritati
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nick castle
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mercoledì 27 ottobre 2010
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film immeritatatmente premiato...
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Negli ultimi tempi, il tema scottante dell'Iraq, colpisce anche il cinema, sensibile per carenza di fantasia ad ogni momento politico, economico e sociale. La Bigelow ne approfitta, con poco si può ottenere molto, probabilmente è il suo motto, purtroppo la strategia non si rivela vincente col botteghino, ma sicuramente in quanto a critica fa segno, il film gli procura un bell'Oscar al miglior regista. La ex moglie di James Cameron cerca quindi di risultare originale, adottanto dei trucchetti di sicura efficacia, infatti nel film si assiste a un continuo fuoco-fuori fuoco delle immagini, zoommate a rotta di collo, montaggio anfetaminico, fotografia sgranata in 16mm e iperluminosa, sequenze al rallentatore girate in HDCAM SR e roboanti effetti sonori.
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Negli ultimi tempi, il tema scottante dell'Iraq, colpisce anche il cinema, sensibile per carenza di fantasia ad ogni momento politico, economico e sociale. La Bigelow ne approfitta, con poco si può ottenere molto, probabilmente è il suo motto, purtroppo la strategia non si rivela vincente col botteghino, ma sicuramente in quanto a critica fa segno, il film gli procura un bell'Oscar al miglior regista. La ex moglie di James Cameron cerca quindi di risultare originale, adottanto dei trucchetti di sicura efficacia, infatti nel film si assiste a un continuo fuoco-fuori fuoco delle immagini, zoommate a rotta di collo, montaggio anfetaminico, fotografia sgranata in 16mm e iperluminosa, sequenze al rallentatore girate in HDCAM SR e roboanti effetti sonori. Il tutto contornato da una recitazione da film televisivo, che è un eufemismo per non dire da cani. Che senso ha esaltare i militari? Qual'è il vero scopo del film? Qual'è il messaggio? Che la guerra è una droga? L'adrenalina che abbiamo in corpo è come una droga, non la guerra, allora qualunque cosa che faccia aumentare l'adrenalina in circolo è da considerare come un droga? Il pugilato, le corse automobilistiche, la corsa di resistenza, tutte droghe? Ma smettiamola per piacere... The Hurt Locker è un film falsamente sperimentale, fastidiosamente americano nel suo eccesso di nazionalismo e boria, con poca tensione se vogliamo proprio, e cosa ben più importante è appena decente. Decisamente migliore senza ombra di dubbio il nostro "Nassiryia: Per non dimenticare" di Michele Soavi.
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the man of steel
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venerdì 15 ottobre 2010
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non capolavoro ma bellissimo film
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Logica semplice, rara efficacia, realismo spiazzante, fotografia grezza, regia impeccabile, in conclusione un film che deve essere visto e merita una grande considerazione, ma purtroppo non è da oscar, non meritava assolutamente 6 statuette. Bravissimo Jeremy Renner che si riconferma in the Town e il resto del cast che non è da meno, la sceneggiatura non è niente male per essere di un giornalista. Onestamente la regia non ha niente che dia a vedere la presenza della mano di una donna dietro, e questo è un merito, tuttavia ciò non giustifica la tanto ambita prima statuetta ad una cineasta del gentil stesso. La Bigelow è una donna di talento e il suo film è un'opera decisamente sopra la media, quindi se vogliamo possiamo pensare: "o la vince adesso o non la vince mai più" è normale perchè è un ragionamento in linea con la solita politica dell'academy, associazione che tende a elargire meriti con fini tendenzialmente amministrativo-simbolici oltre che artistici, ma purtroppo decisioni di questo tipo trascendono quasi sempre da ogni possibile fonte di obiettività e integrità culturale.
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davidblasi
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domenica 22 agosto 2010
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il cinema torna a parlare
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A prima vista sembrerebbe spacconata americana di ottima fattura, ma nasconde chiavi di lettura interessanti come una caccia al tesoro. Di singolare poesia e riverbero l'ottica dell'artificiere nel suo scafandro, dal suo casco le geometrie dello spazio circostante sono le stesse ritagliate dalle inferriate del terrazzo, campo visivo dell'attentatore iracheno. E la scelta folle del protagonista di addentrarsi in casa del presunto padre del bimbo Beckamp..che si ritrova un estraneo in casa, pistola in mano, è l'impulsività di un attacco che l'America sta faticando a digerire. E nella doccia, fatta indossando la divisa, soprattutto sangue..Il Cinema torna a parlare.
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reviel
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venerdì 25 giugno 2010
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intenso
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Un film intenso su un conflitto dei nostri giorni, al pari di altri(platoon,il cacciatore)che ci rendono consci della vita militare e sociale in tempi di guerra. The hurt locker è un film molto approfondito sul lato umano, forse poteva essere interpretato in maniera migliore, ma il senso di inquietudine provato dai protagonisti nel territorio straniero ci contagia, rendendoci inquieti e cauti nel osservare le vie Irachene. La tensione è così sottile che ci mette in mano pinze e armi,incosapevoli e curiosi di sapere se la storia finirà li o possa continuare, un film che ci porta quasi completamente in Iraq. Ben lontano dal capolavoro,the hurt locker rimane comunque un ottimo film da guardare, e forse anche da riflettere.
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