albenedetti
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mercoledì 1 agosto 2012
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"che male c'è ad avere paura?"
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(seconda parte) A dirigere questo coro di voci è il sentimento religioso che si traduce nella sacralità della famiglia e che si manifesta per mezzo delle figure del Cristo ligneo e della Beata Vergine, trasportati con cura e devozione lungo un’estenuante processione in treno dall’Italia al Belgio. Il Cristo in croce accompagna i “Minori”, li accomuna nelle loro sventure. Dona loro conforto e coraggio. Ricorda loro che “una comunità resta tale in ogni parte del mondo”. Vive e dialoga con loro, non solo per mezzo dei sacerdoti, in Lucania come in Belgio, ma attraverso la propria presenza, così espressiva da rendere Cristo interlocutore reale nel dialogo tra Giovanni e suo figlio Vito, il “minore” che si fa grande compiendo il miracolo di far entrare suo padre in chiesa, riunendo così la famiglia agli occhi di Dio.
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(seconda parte) A dirigere questo coro di voci è il sentimento religioso che si traduce nella sacralità della famiglia e che si manifesta per mezzo delle figure del Cristo ligneo e della Beata Vergine, trasportati con cura e devozione lungo un’estenuante processione in treno dall’Italia al Belgio. Il Cristo in croce accompagna i “Minori”, li accomuna nelle loro sventure. Dona loro conforto e coraggio. Ricorda loro che “una comunità resta tale in ogni parte del mondo”. Vive e dialoga con loro, non solo per mezzo dei sacerdoti, in Lucania come in Belgio, ma attraverso la propria presenza, così espressiva da rendere Cristo interlocutore reale nel dialogo tra Giovanni e suo figlio Vito, il “minore” che si fa grande compiendo il miracolo di far entrare suo padre in chiesa, riunendo così la famiglia agli occhi di Dio.
E anche con questo film si è compiuto un piccolo miracolo che ci rivela una grande verità: aver restituito piena dignità storica a tutte quelle minoranze che emigrando all’estero si sono sacrificate in nome dei propri affetti. E in questa verità si racchiude tutta la poesia del film: protetta dalle mani sporche e ruvide di un minatore e nascosta nelle mani piccole di un bambino che gioca per strada. Almeno questo è quanto vedono gli occhi dei “minori”.
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sonia bitonte
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mercoledì 18 marzo 2009
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il linguaggio universale del gioco
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(segue) Ci riusciranno col sudore, con la fatica e soprattutto con l’ aiuto delle donne, mentre i figli supereranno le stesse difficoltà, ancora una volta, grazie al linguaggio universale del gioco. Vitina, madre di Armando, arrivando in Belgio trova una situazione abitativa sconfortante, il marito Michele(Franco Nero) e i figli Vincenzo e Antonio, vivono ancora in una baracca fatiscente, dormono in tre in un materasso, si fanno sfruttare e sfottere sul lavoro. Vitina insieme ad Amelia, moglie del sarto, interverrà personalmente per ottenere case e trattamento adeguati, incarnando nel film ciò che effettivamente è stato l’ apporto fondamentale delle donne italiane per il miglioramento sociale degli emigranti in Belgio.
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(segue) Ci riusciranno col sudore, con la fatica e soprattutto con l’ aiuto delle donne, mentre i figli supereranno le stesse difficoltà, ancora una volta, grazie al linguaggio universale del gioco. Vitina, madre di Armando, arrivando in Belgio trova una situazione abitativa sconfortante, il marito Michele(Franco Nero) e i figli Vincenzo e Antonio, vivono ancora in una baracca fatiscente, dormono in tre in un materasso, si fanno sfruttare e sfottere sul lavoro. Vitina insieme ad Amelia, moglie del sarto, interverrà personalmente per ottenere case e trattamento adeguati, incarnando nel film ciò che effettivamente è stato l’ apporto fondamentale delle donne italiane per il miglioramento sociale degli emigranti in Belgio. I bambini a loro volta hanno problemi di integrazione immaginabili, ma attraverso il gioco riescono ad entrare in contatto con universo che appare ostile, ma in fondo è simile sia nelle dinamiche esistenziali, che ludiche. La scuola fiamminga è ostica, ma una maestra più che intelligente, trova un modo per “far vestire i panni degli italiani” agli occhi dei bambini fiamminghi. Impone ad uno di loro di leggere un giornale italiano, con tutto quello che ciò comporta: ribaltamento di ruoli e accettazione della diversità. E Armando vedendosi come in uno specchio sullo schermo, rifletterà che “si può fare un film su ogni cosa, anche su di noi”, rievocando i momenti in cui il maestro Fernando a proposito de “Le monete rosse”, aveva detto che “si può fare poesia su qualsiasi cosa, anche su un gioco di guaglioni”. Armando insisterà con il padre per scendere almeno una volta giù in miniera, altro percorso iniziatici “di coraggio”, in un ascensore che affonda per più di mille metri sottoterra. E questo ci farà vedere attraverso i suoi occhi, “il mondo alla rovescia” della miniera, invaso dal rumore, dalla polvere, in cui migliaia di uomini stavano 8 ma anche 16 ore di seguito “come vermi nella terra, senza sapere più quali sono le mani e quali i piedi”. Fulvio Weltz, con quest’ opera riesce a raccontare la vicenda dell’ emigrazione, così importante per lo sviluppo sociale ed economico del nostro paese, con equilibrio e generosità. Anche i difetti della forma, a tratti quasi amatoriale, lasciano il passo di fronte ad un’ opera generosa e sincera.
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albenedetti
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mercoledì 1 agosto 2012
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“che male c’è ad aver paura?”
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“Che male c’è ad aver paura?” Ad aver paura di scavare nell’animo umano per andare in cerca delle proprie radici, dei propri affetti e della propria identità collettiva? I Mineurs di Fulvio Wetzl non sono solo dei poveri cristi, costretti a cercar fortuna in Belgio, lontano dalla loro Lucania, a scavare nelle miniere di carbone come fanno i vermi (o i “vermigli”, come li chiamano i bambini del film). E Mineurs non sono soltanto gli adulti, ma anche i bambini, i figli degli stessi minatori. I guaglioni, anzi, le “creature” sono i veri protagonisti del film: la più spontanea espressione del concetto di famiglia. I “minori” sono dei grandi eroi. Sono moderni argonauti che vanno in cerca del vello d’oro ma scoprono un tesoro ancor più prezioso: quello della propria identità.
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“Che male c’è ad aver paura?” Ad aver paura di scavare nell’animo umano per andare in cerca delle proprie radici, dei propri affetti e della propria identità collettiva? I Mineurs di Fulvio Wetzl non sono solo dei poveri cristi, costretti a cercar fortuna in Belgio, lontano dalla loro Lucania, a scavare nelle miniere di carbone come fanno i vermi (o i “vermigli”, come li chiamano i bambini del film). E Mineurs non sono soltanto gli adulti, ma anche i bambini, i figli degli stessi minatori. I guaglioni, anzi, le “creature” sono i veri protagonisti del film: la più spontanea espressione del concetto di famiglia. I “minori” sono dei grandi eroi. Sono moderni argonauti che vanno in cerca del vello d’oro ma scoprono un tesoro ancor più prezioso: quello della propria identità. Dell’identità individuale che si fa identità collettiva perché, prima di tutto, identità degli affetti. Che si rivela attraverso la scoperta e la centralità dell’affetto della famiglia intesa come nucleo originario di ogni forma societaria.
I bambini che corrono per le strade della Lucania con le “carrozze” fatte di cuscinetti a sfera sono uguali ai bambini in Belgio che scivolano con i coperchi delle pentole sopra i cumuli di sassi perchè è il gioco che li accomuna aldilà di ogni barriera linguistica.
Loro giocano all’aperto, alla luce del Sole, a ricordarci del sacrificio dei genitori che scavano in miniera, sottoterra, e che non si vedono mai se non in una delle ultime sequenze del film. Come le formiche, piccole ma operose, che fanno della loro unione la loro forza più dirompente.
Un insegnamento leopardiano questo, che emerge grazie a quelle figure bellissime ed intense dei maestri elementari, “illuminati” dalla luce calda del meriggio in Meridione e dalla luce fredda del mattino al Nord: il maestro lucano è un “Garibaldi didatta” che insegna ai bambini le poesie ricordando loro che il gioco è poesia, “paese per paese”, in italiano come in dialetto; la maestra belga sintetizza invece la fattività e la sensibilità femminile tipica dell’insegnamento. In Italia, il maestro divide gli scolari che litigano accusandosi reciprocamente delle rispettive miserie e nobiltà; in Belgio, la maestra riesce invece a unire i bambini fiamminghi con i bambini stranieri, cioè quelli italiani, compiendo il miracolo di non farli sentire soli, isolati nella loro lingua.
Ed ancora una volta è una donna, Vitina - e l’uso del diminuitivo non è casuale - moglie di Michele e madre del piccolo Armando, che riesce a riunire la famiglia in Belgio, lottando in prima persona per ottenere una casa dignitosa in grado di preservare l’unitarietà e la solidità della famiglia stessa. E se da un lato la sensibilità femminile di Vitina gioisce di questa coesione di affetti quando si verifica l’incidente mortale in miniera dove riescono a scamparla i propri cari, dall’altro la lucidità maschile di Michele interviene per ammonire di questa gioia e rammentarci che tutti siamo attaccati agli altri: chè se viene meno uno, viene meno il concetto stesso di comunità.(fine prima parte)
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