storyteller
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lunedì 22 febbraio 2010
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un capolavoro tra le righe
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Ci sono ben più che patina "fotografica" e ambientazioni arredate con gusto in questo film che definire "gangster movie" è molto riduttivo.
L'opera del regista coreano ha il pregio esclusivo (e ormai molto difficile da rintracciare in produzioni odierne) di toccare con sensibilità sfuggente e poetica le sofferenze amorose al pari delle furibonde e sanguinosissime lotte che mai si susseguono senza un perché.
I piccoli gesti che compie la ragazza in grado di stravolgere (e distruggere, pur dandovi senso)la vita dell'adimensionale e freddo protagonista si stampano come scintille di fuoco nella mente di chi guarda: ravviarsi i capelli dietro l'orecchio, alzare timidamente gli occhi...Tutto lo struggimento e il melodramma interiore che colgono Sunwoo vengono suggeriti tra le righe, con trascinante, lacerante indifferenza.
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Ci sono ben più che patina "fotografica" e ambientazioni arredate con gusto in questo film che definire "gangster movie" è molto riduttivo.
L'opera del regista coreano ha il pregio esclusivo (e ormai molto difficile da rintracciare in produzioni odierne) di toccare con sensibilità sfuggente e poetica le sofferenze amorose al pari delle furibonde e sanguinosissime lotte che mai si susseguono senza un perché.
I piccoli gesti che compie la ragazza in grado di stravolgere (e distruggere, pur dandovi senso)la vita dell'adimensionale e freddo protagonista si stampano come scintille di fuoco nella mente di chi guarda: ravviarsi i capelli dietro l'orecchio, alzare timidamente gli occhi...Tutto lo struggimento e il melodramma interiore che colgono Sunwoo vengono suggeriti tra le righe, con trascinante, lacerante indifferenza. Ma sanno toccare le corde più sensibili in chi riesce a cogliere queste sfumature.
Un plauso alla sequenza del violoncello, che viene mostrata di sfuggita, quasi distrattamente, nella prima parte del film, e nel tragico finale ritorna, ampliata e ripresa da un punto di vista differente, capovolgendo completamente l'ottica della vicenda.
Nell'opera, poi, trovano posto anche momenti di umorismo nero (vedi gli sgangherati e allucinati mafiosi maniaci delle armi) e non manca una riflessione, abbozzata ma efficace, sul rapporto servo-padrone e sull'indifferenza della società moderna.
Come già detto, ogni scontro ha ragion d'essere, e buona parte del film si comporta egregiamente sul fronte dialoghi e montaggio.
Da rivalutare.
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laurence316
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giovedì 7 settembre 2017
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insulso e noioso, pura macelleria senza senso
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4a regia di Kim, ma 2° ad essere distribuito in Italia (con oltre un anno di ritardo), Bittersweet Life (Vita dolceamara, ma il titolo originale coreano significa invece “La dolce vita”) è un gangster-movie che vorrebbe essere profondo, ma è solo banale, un po’ troppo lento, in particolare nella prima parte, per essere un film d’azione, iperviolento, ma privo di sostanza e privo di vero sentimento. Non c'è reale tensione e non si respira l'aria del cinema noir, anche sudcoreano, migliore.
La violenza non è poi così estrema, mentre estrema è la sensazione di noia oltre che la prevedibilità del tutto.
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4a regia di Kim, ma 2° ad essere distribuito in Italia (con oltre un anno di ritardo), Bittersweet Life (Vita dolceamara, ma il titolo originale coreano significa invece “La dolce vita”) è un gangster-movie che vorrebbe essere profondo, ma è solo banale, un po’ troppo lento, in particolare nella prima parte, per essere un film d’azione, iperviolento, ma privo di sostanza e privo di vero sentimento. Non c'è reale tensione e non si respira l'aria del cinema noir, anche sudcoreano, migliore.
La violenza non è poi così estrema, mentre estrema è la sensazione di noia oltre che la prevedibilità del tutto.
Spiazzante la parentesi da commedia slapstick riguardante il tentativo di acquisto di un’arma. Meglio tacere poi della parentesi pseudo-poetiche e pseudo-filosofiche, su cui è decisamente meglio gettare un velo pietoso.
Il personaggio, che tra l’altro pare indistruttibile, continua a ripetere "Perché mi hai fatto questo?" non ricevendo in cambio alcuna risposta, così che a non riceverla è anche lo spettatore, che non capisce di conseguenza minimamente quale sia il senso di ciò a cui ha appena assistito, e non può che arrivare a porsi una domanda simile a quella che si pone il protagonista, ovvero come abbia potuto farsi questo, costringersi alla visione di un film così fondamentalmente insulso.
Il cinema, d'azione ma anche e soprattutto quello sudcoreano, offre ben di meglio. Bella, comunque, la fotografia e, in generale, buona la regia di Kim. Grande successo in patria, è passato abbastanza inosservato in Italia. Non ingiustamente.
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kondor17
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sabato 19 gennaio 2013
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un'occasione mancata
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Non so come si possa definire gioiello o capolavoro un film del genere. Avrà sì una bella fotografia e delle belle inquadrature, ma un film che vuole essere "tutti i generi - nessun genere" non può ovviamente funzionare, lascerà sempre l'amaro in bocca. Interessante la prima parte: da gangster movie a delicato viaggio nella mente, che sfiora i sentimenti di due giovani, diversamente uniti e separati da un cinico boss della mala. Orribile la seconda: invece di proseguire nella buona strada inboccata, sfocia in trucida violenza, con dita mozzate, scene alla saw, crani grattuggiatii sui muri, sepolti vivi e sangue a tutto spiano. Surreale e quasi ridicola poi la capacità di resistenza del protagonista, che nonostante 5 coltellate alla pancia, il cranio perforato da un proiettile, la mano sinistra spappolata da una martellata, riesce non solo ad eludere e mettere ko un'intera banda che lo teneva in custodia, ma anche a raggiungere il meeting della "famiglia" per farsi giustizia.
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Non so come si possa definire gioiello o capolavoro un film del genere. Avrà sì una bella fotografia e delle belle inquadrature, ma un film che vuole essere "tutti i generi - nessun genere" non può ovviamente funzionare, lascerà sempre l'amaro in bocca. Interessante la prima parte: da gangster movie a delicato viaggio nella mente, che sfiora i sentimenti di due giovani, diversamente uniti e separati da un cinico boss della mala. Orribile la seconda: invece di proseguire nella buona strada inboccata, sfocia in trucida violenza, con dita mozzate, scene alla saw, crani grattuggiatii sui muri, sepolti vivi e sangue a tutto spiano. Surreale e quasi ridicola poi la capacità di resistenza del protagonista, che nonostante 5 coltellate alla pancia, il cranio perforato da un proiettile, la mano sinistra spappolata da una martellata, riesce non solo ad eludere e mettere ko un'intera banda che lo teneva in custodia, ma anche a raggiungere il meeting della "famiglia" per farsi giustizia. Il film dovrebbe, vorrebbe avere come leit- motif la ricorrente domanda fatta al boss "perchè mi hai fatto questo" nonchè la sua risposta "dimmi la verità, è stata lei a convincerti"; fatto sta che sono sviluppate male ed entrambe restano senza risposta, lasciando il vuoto nello spettatore anche nello studio sentimentale e introspettivo dei protagonisti. Costruire castelli di sabbia o interi racconti su una frase inespressa o sul sentimento strozzato, d'altronde, questo sì, rispecchia ahimè un leit-motif di coreani e giapponesi: l'incapacità di esternazione dell'attrazione, generalmente intesa come debolezza, ed il suo soffocamento provocano i risultati che tutti conosciamo. Anche la poesia, che però non è di casa qui. Peccato. Falsa Partenza.
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beefheart
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venerdì 2 febbraio 2007
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sufficiente
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Un film, tra il pulp ed il noir, esteticamente valido, dove fotografia e scenografie molto raffinate si fanno notare più di ogni altro aspetto.
L'impronta drammatica e violenta è tipica del genere e della provenienza Sud Coreana della pellicola stessa, così come l'espressione grave e solenne perennemente impressa sul volto dei pur bravi protagonisti. La trama non ha nulla di originale ed è facilmente intuibile a partire dal minuto decimo/undicesimo; dunque un film con poche sorprese e molte conferme che non delude gli amanti del genere e non rapisce il rimanente pubblico. Parere personale: sufficiente.
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