I documentari al cinema sono sempre finestre aperte sul mondo, un mondo spesso incomprensibile alla luce delle enormi distanze fisiche, ma anche psicologiche, che ci separano da un particolare problema per lo più sconosciuto. E’ il caso del controverso “muro” che Israele, dopo lo scoppio della seconda Intifada, la rivolta scatenata dai palestinesi a seguito della passeggiata di Ariel Sharon, il 28 settembre 2000, sulla spianata delle moschee a Gerusalemme, ha deciso di erigere a difesa dei suoi territori. Da allora, e precisamente a partire dall’aprile 2002, dopo l’intensificarsi degli attentati terroristici dei kamikaze palestinesi, l’idea di una barriera di sicurezza si è concretizzata sempre più fino alla sua assurda realizzazione, documentata con occhio vigile dal film “Il muro”.
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I documentari al cinema sono sempre finestre aperte sul mondo, un mondo spesso incomprensibile alla luce delle enormi distanze fisiche, ma anche psicologiche, che ci separano da un particolare problema per lo più sconosciuto. E’ il caso del controverso “muro” che Israele, dopo lo scoppio della seconda Intifada, la rivolta scatenata dai palestinesi a seguito della passeggiata di Ariel Sharon, il 28 settembre 2000, sulla spianata delle moschee a Gerusalemme, ha deciso di erigere a difesa dei suoi territori. Da allora, e precisamente a partire dall’aprile 2002, dopo l’intensificarsi degli attentati terroristici dei kamikaze palestinesi, l’idea di una barriera di sicurezza si è concretizzata sempre più fino alla sua assurda realizzazione, documentata con occhio vigile dal film “Il muro”. Ecco perché questo quasi capolavoro di Simone Bitton è una pellicola da non perdere per le scottanti tematiche che affronta, in perfetto spirito bipartisan, con meritoria capacità di analisi socio-politica su uno squarcio di realtà a torto dimenticato. A fronte di una prima parte alquanto statica, con inquadrature fisse su un muro di cemento armato che sembra non finire mai, la seconda parte è impreziosita da emozionanti testimonianze che ci aiutano a comprendere meglio le enormi difficoltà che numerosi palestinesi incontrano quotidianamente per recarsi al lavoro (causa posti di blocco aperti poche ore al giorno) nonché l’impossibilità di coltivare le proprie terre, ormai del tutto isolate dal muro della vergogna. “Un ringraziamento agli israeliani e palestinesi che, insieme, hanno rappresentato il paesaggio umano di questo film”, è la dedica finale che la regista Simone Bitton si sente di fare al termine di novantasei minuti di immagini intense e vere come poche. Per chi ha ancora la forza di gridare allo scandalo del muro, la speranza non è andata perduta: come dice un testimone, “nel silenzio germina la rassegnazione”. E noi gli crediamo.
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