marco
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lunedì 26 gennaio 2004
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vodka lemon
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Ieri sera ho visto Vodka Lemon. Quadri filmici nel gelo nevoso e acquitrinoso dell'Armenia. Una storia sgangherata come il letto del manifesto come metafora della storia dopo il disfacimento sovietico. Il grottesco (per noi) è la realtà per loro: si vende tutto per sopravvivere (l'armadio, il corpo, la figlia), nel caos del libero mercato improvvisato. Lampi di poesia delle immagini, dialoghi rarefatti e apparizioni surreali per un finale orgoglioso (il piano non si vende) ma senza speranza. Guardatelo, è bello.
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jaky86
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mercoledì 16 marzo 2011
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tombe la neige sur l'armenie
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Nell'Armenia post-comunista è dura tirare avanti. Sotto l'Unione Sovietica perlomeno non mancava niente, eccetto la libertà..come ci ricorda Hamo, un vedovo settantenne incredibilmente simile a Omar Sharif che vive in un villaggio sperduto e perennemente innevato. La sua ridicola pensione militare non gli permette di vivere una vita decente e si trova costretto a dover rinunciare pian piano a tutto ciò che ha accumulato durante l'intera vita (dall'agognato armadio, alla televisione, ora che bisogna pagare l'elettricità, fino alla divisa militare). L'incontro al cimitero con Nina, anch'essa vedova, porterà un pò di luce e gioia nella vita di entrambi.
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Nell'Armenia post-comunista è dura tirare avanti. Sotto l'Unione Sovietica perlomeno non mancava niente, eccetto la libertà..come ci ricorda Hamo, un vedovo settantenne incredibilmente simile a Omar Sharif che vive in un villaggio sperduto e perennemente innevato. La sua ridicola pensione militare non gli permette di vivere una vita decente e si trova costretto a dover rinunciare pian piano a tutto ciò che ha accumulato durante l'intera vita (dall'agognato armadio, alla televisione, ora che bisogna pagare l'elettricità, fino alla divisa militare). L'incontro al cimitero con Nina, anch'essa vedova, porterà un pò di luce e gioia nella vita di entrambi. Il film alterna momenti di crudo realismo a situazioni surreali e addirittura comiche ed ha il grande merito di entrare, senza mai essere invadente, nelle case e nelle vite di una popolazione disperata dimenticata dalla Storia e poco conosciuta. Il messaggio ottimista finale, dove per orgoglio non si vende il pianoforte, tanto caro alla figlia di Nina, lascia qualche spiraglio di speranza e positività. Cinema d'autore, poetico e intenso.
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eugenio
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giovedì 17 gennaio 2013
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dramma e solitudine nell'armenia post comunista
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Atmosfere rarefatte, pochi dialoghi e un’intensa caratterizzazione. Basta poco per rendere un film interessante; semplici scene, sguardi intensi, musica di fondo ben calibrata poi fanno il resto. E’ quanto accade al bel Vodka Lemon, produzione franco-italo-svizzera-armena (!) del 2003 che difficilmente riesce a lasciare indifferenti.
In un territorio spazzato da neve e ghiaccio eterno, un candore bianco e illibato, si svolge la misera storia di Hamo, ex combattente dell’esercito in pensione, indigente,vedovo e privo di un sussidio dignitoso sia negli affetti (il figlio partito per Parigi disoccupato che si ricorda del genitore quando si trova in ristrettezze finanziarie) che a livello meramente economico.
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Atmosfere rarefatte, pochi dialoghi e un’intensa caratterizzazione. Basta poco per rendere un film interessante; semplici scene, sguardi intensi, musica di fondo ben calibrata poi fanno il resto. E’ quanto accade al bel Vodka Lemon, produzione franco-italo-svizzera-armena (!) del 2003 che difficilmente riesce a lasciare indifferenti.
In un territorio spazzato da neve e ghiaccio eterno, un candore bianco e illibato, si svolge la misera storia di Hamo, ex combattente dell’esercito in pensione, indigente,vedovo e privo di un sussidio dignitoso sia negli affetti (il figlio partito per Parigi disoccupato che si ricorda del genitore quando si trova in ristrettezze finanziarie) che a livello meramente economico. La sua esistenza caratterizzata da giornaliere visite al cimitero, una sterile lapide in un’immensa distesa di ghiacci, procede tranquilla fino alla conoscenza per caso di una donna, suo “specchio naturale”. Si tratta di Nina vedova anche lei dalla celata passione che nasconde dietro quegli occhi spenti con l’animo quasi rinunciatario e schivo. Nina ha una figlia con un lavoro instabile (suona il pianoforte in un albergo che arrotonda con certe prestazioni fuori orario) e gestisce un piccolo chiostro adibito alla vendita di liquori e bevande alcoliche (il Vodka Lemon del titolo) per conto di un proprietario iroso e violento.
I due “gemelli” lontani e distanti si incontrano giornalmente ma non c’e’ affiatamento almeno inizialmente: il gelo dell’ambiente sembra essere anche quello della loro anima, oppressa dalla fatica di vivere, dalla difficoltà di tirare avanti in quell’Armenia post-comunista che almeno durante la dominazione URSS aveva garantito quel sussidio minimo a prezzo della libertà individuale (come ci ricorda il protagonista). Il lavoro instabile, la precarietà, il dolore dell’assenza dei propri cari è reso magnificamente dal regista curdo iracheno Hiner Saleem che decide di adottare uno stile sobrio che evita i facili patetismi rendendo la prosa secca e asciutta. Il dramma delle due anime strappate alla vita e imprigionate all’interno di un limbo emotivo fatto di visite e ricordi, di rimorsi e promesse è dolorosamente vero ed efficace e questo connubio di ottimismo e dramma, di solitudine e amore, è ben evidenziato dalla volontà registica che fa uso di frequenti lunghi piano-sequenza. Ne è esempio il celebre iniziale con un letto trainato da un camioncino che scorre in avanti verso lo spettatore quasi a volerlo avvicinare a quella che apparentemente può essere definita una commedia drammatica retrò similare a quelle di Kusturica.
L’intento del regista è pero’ diverso: il grotesque è qui impiegato come rappresentazione realista di una vicenda di dolorosa miseria e sono diverse le occasioni che il regista sfrutta per ricordarcele a partire dalla vendita dell’armadio, del televisore e persino della stessa divisa con i mostrini “mutilati” e del pianoforte, simboli oramai perduti di una sicurezza e di una professione disciolta dal vento della tristezza, un vento freddo e raggelante.
Saturo di mestizia e a tratti zingaresco (come la scena del matrimonio della nipote di Hamo), Vodka Lemon commuove, coinvolge e fa riflettere lo spettatore nonostante la mancanza di una trama a tratti coerente e definita all’interno della quale la pellicola sembra essere relegata. Un vortice circolare entro cui, tuttavia, emerge alla fine uno splendido messaggio di speranza, ottimismo e bontà con la forte dignità di rinascere socialmente oltre quella scura coltre di nebbia di cupa rassegnazione.
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theophilus
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mercoledì 29 gennaio 2014
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vodka gelata
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VODKA LEMON
Un piccolo film, quello del regista armeno Hiner Saleem: una storia, però, ben proporzionata, piacevole, a tratti anche comica, più spesso commovente. Quello che invece non vi abbiamo trovato è la dimensione dell’angoscia, piccola o grande, che la scheda di presentazione a disposizione del pubblico nella sala dove abbiamo visto proiettata la pellicola, dava per scontata. Non crediamo, pertanto, di essere cinici, ma riteniamo che un film come questo cerchi di mascherare il deficit di contenuto – sarà il solito vizio culturale dell’intellettuale europeo – con un eccesso caricaturale che si vuole far passare per poetico.
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VODKA LEMON
Un piccolo film, quello del regista armeno Hiner Saleem: una storia, però, ben proporzionata, piacevole, a tratti anche comica, più spesso commovente. Quello che invece non vi abbiamo trovato è la dimensione dell’angoscia, piccola o grande, che la scheda di presentazione a disposizione del pubblico nella sala dove abbiamo visto proiettata la pellicola, dava per scontata. Non crediamo, pertanto, di essere cinici, ma riteniamo che un film come questo cerchi di mascherare il deficit di contenuto – sarà il solito vizio culturale dell’intellettuale europeo – con un eccesso caricaturale che si vuole far passare per poetico. Alla lunga stentiamo a capire quale sia il reale confine fra la situazione sociale ed economica disastrosa e l’uso, lo sfruttamento parodistico che di quelle si fa a fini estetici e, magari, come tentativo un po’ furbesco di captatio benevolentiae, un’esca gettata ad una classe intellettuale spesso disposta a dare il plauso – mossa dai sensi di colpa che l’opulenza le fa provare – a chi si piange addosso. In altri termini, siamo di fronte a un espediente retorico che forza a dismisura la realtà sociale? Oppure, i registi dell’est mentre da una parte calcano il tasto della miseria dall’altra lo alleggeriscono con l’arma della caricatura, quasi che vogliano attenuare (per orgoglio?) certe nuances - un ammonimento a non prenderli troppo sul serio, insomma?
Le scene iniziali di Vodka Lemon ci fanno sperare nella forza visionaria, nella potenza evocativa e grottesca che abbiamo ammirato nei film di Emir Kusturica. Un letto che sembra girare da solo in mezzo ai ghiacci e alla neve e un vecchio che ripone in un bicchiere la dentiera per poi mettersi in bocca uno strumento a fiato e suonare ad un funerale, sembrano uscir fuori da Underground (1995) o, meglio ancora, da Black cat, white cat (1998). Poi, però, il film si siede subito a descrivere il ristretto cosmo di personaggi piccoli anche nella loro miseria, non in grado di riscattare la loro condizione con atti di forza trasgressiva, umili schiavi del tutto incapaci di ribellarsi alla loro situazione, diseredati che si trovano a parlare quotidianamente con la moglie al cimitero, seduti su sedili a calice che li fanno sembrare sospesi a mezz’aria, quasi irreali o che si caricano sulle spalle armadi che cercheranno di vendere al mercatino; madri disposte a credere che le figlie portino a casa soldi guadagnati suonando il pianoforte negli alberghi e a cui viene tolto il lavoro perché non vendono abbastanza bottiglie di vodka lemon. Ce n’è abbastanza per rischiare ad ogni momento il larmoyant; persino la scena in cui un padre spara al genero che ha minacciato di rimandargli a casa la figlia incinta, è fatta con scarsa convinzione, non è riscattata da una visione almeno drammatica - non pretendiamo tragica - : in effetti i danni sono minimi e tutti si riappacificano.
Il regista vuole forse farci credere che la gente armena è altrettanto, se non di più, incapace di reagire alla sventura, imbelle e neghittosa, di quanto quella occidentale sia schiava, rimbecillita e impossibilitata a criticare un regime culturale che la condanna alla stupidità?
È senz’altro poetica l’immagine che chiude il film. Hamo e Nina, ridando vita a un pianoforte che, sotto il tocco delle loro dita, sembra veleggiare per la strada innevata, ci hanno delicatamente richiamato alla mente i personaggi che di frequente volteggiano nelle tele di Chagall. Però, anche questa ci è sembrata una scelta/non scelta: i protagonisti trovano rifugio in una situazione fiabesca – tutto il film, del resto, risente delle atmosfere dei racconti dello scrittore russo Afanasjef - che è più una forma consolatoria, un cedere al ricatto dei sentimenti, un succedaneo di tutto il resto che manca, un inno al facile vogliamoci bene, all’amore come forza e bene rifugio in mancanza di qualcos’altro che riscaldi; cosa che magari riuscirebbe a funzionare per un occidente che di sogni e poesia ha un reale bisogno. Non vorremmo invece che si finisse col trovare la poesia e la bellezza della miseria, vale a dire che passasse un’immagine retorica della bellezza della povertà di un mondo ancora del tutto digiuno di sviluppo economico e privo di ogni forma di sicurezza sociale.
Se pensiamo a Depuis qu’Otar est parti, il film di Julie Bertuccelli che abbiamo visto recentemente, di ambientazione molto simile e che tratta gli stessi problemi di Vodka Lemon, vediamo come l’atmosfera sia invece del tutto diversa. Al di là delle somiglianze formali – telefoni che non funzionano, attesa delle lettere e dei soldi provenienti dai figli all’estero, case fatiscenti, mercatini per la compra-vendita di oggetti, l’occidente (la Francia soprattutto) serbatoio di emigrazione per i giovani, parallelo fra come si stava prima e come si sta ora – Otar si rivolge all’Europa come speranza per il futuro, via d’uscita dal tunnel, causa ed oggetto di una reattività che riesce a scuotere non solo il personaggio della giovane nipote, ma, soprattutto, quello – centrale nel film – della madre di Otar, figura mitica di donna dolce ma non remissiva, mite ma risoluta, amorosa e lungimirante. La situazione quotidiana di Hamo e Nina è invece quella di una dolorosa inedia, di un’apatia senza speranza. Quest’uomo e questa donna non hanno una dimensione concreta, pur vivendo nella loro sofferenza e dolore: sentimenti, più che intimi, di modesta entità e che rimangono dentro di loro; attività lavorative precarie e fini a se stesse, le loro – qualcosa d’incomprensibile come il nome di quel Vodka Lemon che sa di mandorla e che è il titolo del film: quasi una negazione, una contraddizione interna, perché, in fin dei conti, non si vedono neppure personaggi che si ubriacano dalla mattina alla sera per non pensare alla loro condizione. L’unico riscatto è quel momento di abbandono poetico che riferivamo poc’anzi, che però, per quanto detto finora, ci è parso posticcio, buttato lì dal regista quasi per chiudere con un filo di speranza una storia scritta in punta di piedi, senza un vero calore, abitata da personaggi miniaturizzati e tristi che compongono un bozzetto a cui dà luce più la neve e il ghiaccio abbaglianti che non un calore che, freddo, si ritorce su se stesso. Piccolo mondo diseredato e sperduto in mezzo al gelo quello di Vodka Lemon e che, se non fosse per qualche automobile e un televisore, potrebbe appartenere a un secolo fa.
Enzo Vignoli
14 marzo 2004.
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francesco2
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martedì 20 aprile 2010
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cinema "d'autore"?
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La neve è protagonista con relativa frequenza nel cinema degli ultimi anni.Più recentemente, i confini innevati tra USA e Canada si sono visti in "Frozen River", ma una certa e gustosa presenza si rileva anche in "Away from Her" della Polley.Questo è un film che risale ad alcuni anni prima, che sarebbe facile anche per chi scrive accomunare a Kusturica.Ad un primo approccio,almeno.
Perché poi, riflettendoci meglio, Kusturica nel cavalcare il picaresco anche a costo di rischiare l'autocaricatura, non lavora praticamente mai sui "vuoti"Tutto deve essere sempre eccessivo o almeno contenere lo stupore, come quello della scimmia in "Underground"."Vodka Lemon", invece, ha dei momenti in cui le luci si spengono, restiamo tutti, i protagonisti come noi, prigionieri(O appagati,dipende)del silenzio.
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La neve è protagonista con relativa frequenza nel cinema degli ultimi anni.Più recentemente, i confini innevati tra USA e Canada si sono visti in "Frozen River", ma una certa e gustosa presenza si rileva anche in "Away from Her" della Polley.Questo è un film che risale ad alcuni anni prima, che sarebbe facile anche per chi scrive accomunare a Kusturica.Ad un primo approccio,almeno.
Perché poi, riflettendoci meglio, Kusturica nel cavalcare il picaresco anche a costo di rischiare l'autocaricatura, non lavora praticamente mai sui "vuoti"Tutto deve essere sempre eccessivo o almeno contenere lo stupore, come quello della scimmia in "Underground"."Vodka Lemon", invece, ha dei momenti in cui le luci si spengono, restiamo tutti, i protagonisti come noi, prigionieri(O appagati,dipende)del silenzio.I guai, però, cominciano proprio qui.
Perché, come ha già sostenuto chi scrive,il cinema che riesce meglio in questi momenti ha qualcosa che non funziona(meno ovviamente i vari Tsai-Ming Lang che scelgono di svuotare, ma ne siamo veramente sicuri?, le loro immagini.La notte(Nera) e la neve(bianca) sembrano le due dimensioni dei protagonisti, come anche del resto la "Vodka" e il "Lemon" del titolo, forte l'una lieve l'altro, che del resto, e forse non è un caso, si vendono entrambi nel locale che dà il titolo al film.Il problema è che spesso questi protagonisti rasentano la pura macchietta:
si vedano il personaggio principale e i suoi rapporti col figlio, ma più in generale tutti i protagonisti maschili, spesso imprigionati in scenette come quella dell'uomo che non riceve soldi e di conseguenza non può pagare; puri sketches, peraltro ripetuti con troppa insistenza, come anche uno spunto un pò migliore,quello dell'autista che canta sempre la canzone in francese.
Riguardio poi la storia d'amore con la donna, sembra confermare il titolo del film:è come se due opposti, la vodka e il lemon,avessero bisogno dic ompletarsi sempre, nella Milano del 2003 come nei villaggi kazaki.ma tutto si riduce alle visite nelalla tomba di una morta o alle discussioni della donna col proprietario del locale,tralasciando il rapporto con la figlia, racontato un pò meglio.Anche la sfortuna di questa ragazza, tuttavia, aggiunge pochino a questi quadretti , che terminano quando i due protagonisti rifiutatisi di vendere il pianoforte si avviano verso una strada sconosciuta(in tutti i sensi!), in cui lei ha aaddirittura perso il piccolo lavoro che aveva trovato.Avanzano verso un premio(Veramente meritato) a Venezia 2003, dove , sarà un caso, all'ottimo"Buongiorno, notte" fu preferito "Il ritorno", anche se da parte di un'altra giuria.
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[+] punto interrogativo
(di francesco2)
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