Frasi celebri dal film Sarabanda

Un film di Ingmar Bergman. Con Liv Ullmann, Erland Josephson, Borje Ahlstedt, Julia Dufvenius, Gunnel Fred Formato Film TV, Titolo originale Saraband. Drammatico, durata 120 min. - Svezia, Italia, Germania, Finlandia, Danimarca, Austria 2003.
   
   
   
Henrik (Borje Ahlstedt) e Karin (Julia Dufvenius)
primo piano
KARIN Tu volevi uccidermi.
HENRIK Una volta ho vissuto una situazione simile con Anna. Non eravamo sposati, all'epoca, ma vivevamo insieme. Ero di cattivo umore e forse ubriaco, vomitai un sacco di stronzate sull'inferno dell'università e sui colleghi e sulle condizioni di lavoro e poi, naturalmente, su mio padre, quel vecchio porco. Anna non diceva niente, e la cosa mi faceva imbestialire ancor di più. Ero senza dubbio fuori controllo, ma ricordo che mi chiedevo: cosa starà pensando Anna, seduta laggiù vicino alla lampada a cucire l'orlo della gonna? Cosa starà pensand0, già, penserà che Henrik è insopportabile. E lo disse anche, con tutta calma: "Quando fai così, penso: quello non è l'uomo che sposerò. È uno che non conosco". Disse con tutta pacatezza. E tristezza. Dopo cominciò a mettere nella sua borsa .alcune cose per la notte. Poi andò nell'altra stanza e prese il telefono per chiamare Eva, la sua migliore amica. Eva era stata sposata, ma era separata e viveva sola. (Si interrompe) Parlo troppo.
KARIN (Fa un gesto)
HENRIK La seguii e le presi la cornetta del telefono, gliela strappai dalle mani e la gettai con tale impeto contro la sponda del letto che andò in pezzi. (Pausa) Ricordo esattamente la faccia di Anna. Non era per niente spaventata, credo che non fosse neppure arrabbiata. Sorrideva leggermente, era un sorriso imbarazzato. Sorrideva imbarazzata. Allora mi infuriai e la spinsi, ma non molto forte. Non sorrideva più. Era seduta lì sul nostro letto. Non mi guardava e ci fu un lungo silenzio. Stava lì immobile, con la schiena dritta, e si lisciava i capelli con le mani. Poi si alzò, mi passò davanti per raggiungere l'ingresso e prese il suo cappotto per andarsene. Allora diventai pazzo di paura o di quel che fosse, non lo so, so solo che diventai pazzo e cercai di fermarla. Lei non si difese, ma dal suo corpo al mio corpo passò un messaggio, "adesso ti lascio". Allora dissi con una voce che non riconoscevo: "Nessuno può lasciarmi, nessuno può andarsene, nessuno può girare i tacchi e lasciarmi".
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 Altre citazioni dal film Sarabanda 
Marianne (Liv Ullmann)
Allora sono riuscita a girarmi e l'ho colpito in faccia facendogli cadere gli occhiali; ha iniziato a picchiarmi alla cieca. Si è piazzato davanti alla porta e io ho cercato di uscire, allora mi ha gettato a terra e l'ho visto in faccia, credevo che volesse uccidermi. Sono quasi sicura che volesse uccidermi perché ha cercato di mettermi le mani alla gola, ma poi sono riuscita a prendere uno sgabello e a colpirlo proprio in fronte, facendolo cadere all'indietro; eravamo entrambi sul pavimento e lui è finito sul suo violoncello mandandolo in pezzi, e così è tornato in sé per nemmeno un attimo, dal fracasso voglio dire, e io ne ho approfittato per uscire. Poi ho corso e corso alla fine non sapevo nemmeno dov'ero finita, ma vedevo il lago. Ed ero così arrabbiata, così terribilmente furiosa che non riuscivo a smettere di piangere, e poi mi sono seduta lì e ho detto: mai più, mai più, mai più. E così ho continuato a piangere fino a sentirmi del tutto vuota. Allora ho pensato: adesso vado dal nonno, gli racconto tutto e gli chiedo di aiutarmi a fuggire da quel pazzo che ha perso del tutto la testa, gli dico che ne ho sopportate tante, ma che adesso è finita, che adesso il vecchio può prendersi cura del suo figlio pazzo e sbatterlo in manicomio o denunciarlo alla Buoncostume oppure ucciderlo. Poi ho girovagato per un bel po' nel bosco, perché non sapevo dov'ero e a volte mi sembrava che Henrik mi stesse seguendo, ma poi ho sentito delle voci e ho visto il nonno in veranda con una signora estranea, che però mi pareva di riconoscere. Non sapevo se farmi avanti ,o meno, e poi mi sono resa conto che da quel momento non so più niente. Non so niente della mia vita, non so come comportarmi e cosa fare della mia vita. E mi è venuto in mente che mamma è irrimediabilmente morta e sepolta, e che non posso più chiederle niente. E dopo mi è venuto un tale attacco (sorride un po’), un tale attacco di vittimismo che ho iniziato di nuovo a piangere. (Pausa) Probabilmente pensi che sono nevrotica. Ma è proprio quello che non sono. In genere sono una persona piuttosto stabile ed equilibrata un po' come la mamma sono infantile e ingenua, ma questo, a quanto ne so, non ha mai danneggiato né me né gli altri.
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Marianne (Liv Ullmann)
MARIANNE Quindi stamattina c'era lezione?
KARIN Sì, diciamo di sì. Ci sediamo uno di fronte all'altro con il nostro strumento, il leggio in mezzo. Abbiamo lavorato sul quarto movimento. Quel maledetto Hindemith ha scritto sulla partitura: "Quartine vivaci senz'alcuna espressione e sempre pianissimo". Capisci? MARIANNE Suona complicato, ad ogni modo.
KARIN Io me ne sto lì seduta col mio cervello mestruale in tilt e dovrei essere vivo senza espressione. Ho chiesto di saltare la lezione, ma papà è stato irremovibile. Solo le prime battute, l'attacco. Mi ha costretta a ripetere la stessa battuta almeno venti volte. Sicuramente venti volte, e alla fine, con una calma estrema, nonostante la tuia rabbia, ho detto che non ne potevo più e che me ne fregavo di tutto; ho provato a scherzare, dicendo che quello non era insegnamento, ma crudeltà contro gli animali. Anche Henrik era arrabbiato, ma ha riso un po' e ha proposto di riprendere ancora l'inizio della sonata, dove , l'annotazione è così semplice e chiara: "Vivace, molto marcato con colpi d'arco decisi". Ma à quel punto ero così infuriata che è stato un disastro fin dall'inizio. Henrik allora ha detto che lo facevo apposta, e gli ho risposto che se avesse avuto un barlume di pedagogia avrebbe capito che non si poteva continuare così. È stato ingiusto da parte mia, perché papà è il maestro più paziente, intelligente e sensibile che si possa desiderare. E ha aggiunto che non era questione di capire o non capire, ma questione di volontà e autocontrollo, e che io ero pigra, che io ero pigra! Che il problema era tutto lì. Allora mi sono alzata e ho spostato il violoncello con molta prudenza, perché tremavo tutta, e poi gli ho detto che per oggi era finita e che volevo fare una passeggiata da sola. Allora è sbiancato, non l'avevo mai visto così, e mi ha detto: "Tu non esci da questa stanza", ma io non ho risposto, ho messo il maglione e sono andata verso la porta. Non mi sono accorta che era dietro di me, e mi ha preso per le spalle e mi ha trattenuta dicendo: tu non vai, non vai, non vai.
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