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luca scialo
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sabato 15 maggio 2021
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commedia gradevole sul tempo che trascorre senza accorgercene
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Warren Schmidt va in pensione, dopo aver lavorato una vita intera per una società di assicurazioni. Come tutti, inizialmente si sente sbandato ma ha anche più tempo per pensare al suo rapporto con la moglie e la figlia. Non essendo più preso esclusivamente dal lavoro. E si rende conto di non aver dedicato loro il giusto tempo. Decide di colmare il vuoto affettivo adottando un bimbo africano a distanza, intraprendendo con lui anche un rapporto epistolare. Che diventa soprattutto una seduta psicologica. Un giorno però, rientrato proprio dalla spedizione di una lettera, trova sua moglie priva di vita. E così, la sua vita viene stravolta e decide di dedicarsi ad un lungo viaggio che è anche un modo per ripercorrere la propria esistenza.
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Warren Schmidt va in pensione, dopo aver lavorato una vita intera per una società di assicurazioni. Come tutti, inizialmente si sente sbandato ma ha anche più tempo per pensare al suo rapporto con la moglie e la figlia. Non essendo più preso esclusivamente dal lavoro. E si rende conto di non aver dedicato loro il giusto tempo. Decide di colmare il vuoto affettivo adottando un bimbo africano a distanza, intraprendendo con lui anche un rapporto epistolare. Che diventa soprattutto una seduta psicologica. Un giorno però, rientrato proprio dalla spedizione di una lettera, trova sua moglie priva di vita. E così, la sua vita viene stravolta e decide di dedicarsi ad un lungo viaggio che è anche un modo per ripercorrere la propria esistenza. Commedia piacevole che sfocia nel Road movie. Forse un po' troppo lungo, trova il suo principale interesse nella presenza di Jack Nicholson come attore protagonista. Resta comunque una interessante riflessione sul dare importanza a ciò che diamo per scontato. Della cui importanza ci ricordiamo solo quando l'abbiamo persa.
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enzo70
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giovedì 2 febbraio 2017
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film da vedere per l'interpretazione di nicholson
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Un film da non perdere assolutamente; non per il film, carino, ma nulla di più, ma per l’ennesima maestosa interpretazione di Jack Nicholson. Warren Schmidt è un uomo solo, abitudinario; un ottimo attuario che lavora in una compagnia di assicurazione, ma arrivato al momento della pensione scopre di non avere interessi. A parte la figlia, fidanzata con un mezzo cialtrone e la moglie. Anzi la moglie, ossessiva nell’igiene di casa, lo stressa, questo scrive al figlio adottivo in Africa con accorate lettere in cui dimentica che il bambino ha ben altri problemi; ma alla morte della moglie Warren deve affrontare nuove sfide: scopre che la moglie lo tradiva con il suo migliore amico e che la figlia non avrebbe dubbi se dovesse scegliere tra lui e il fidanzato.
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Un film da non perdere assolutamente; non per il film, carino, ma nulla di più, ma per l’ennesima maestosa interpretazione di Jack Nicholson. Warren Schmidt è un uomo solo, abitudinario; un ottimo attuario che lavora in una compagnia di assicurazione, ma arrivato al momento della pensione scopre di non avere interessi. A parte la figlia, fidanzata con un mezzo cialtrone e la moglie. Anzi la moglie, ossessiva nell’igiene di casa, lo stressa, questo scrive al figlio adottivo in Africa con accorate lettere in cui dimentica che il bambino ha ben altri problemi; ma alla morte della moglie Warren deve affrontare nuove sfide: scopre che la moglie lo tradiva con il suo migliore amico e che la figlia non avrebbe dubbi se dovesse scegliere tra lui e il fidanzato. Insomma una tipica commedia americana, gradevole. Ma la differenza la fa il gigante Nicholson.
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il befe
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martedì 10 marzo 2015
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martedì 10 marzo 2015
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capolavoro
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iuriv
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lunedì 12 gennaio 2015
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tutte a schmidt.
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Payne tratteggia una sorta di commedia delicata, attorno a un personaggio a cui, quasi per contrasto, fa crollare il mondo addosso nel giro di breve tempo. Warren Schmidt, infatti, è appena giunto alla pensione dopo una vita da impiegato modello e stimato. Il suo mondo lo dimentica in fetta e a ciò si aggiunge l'improvvisa dipartita della moglie, compagna per oltre quarant'anni. Il prossimo matrimonio della figlia e la famiglia disordinata del compagno di lei, non fanno altro che metterne a dura prova i nervi.
Il ruolo di protagonista della pellicola è affidato a un grande Jack Nicholson, in grado di restituire lo smarrimento del suo Warren per tutta la durata del film. Questa è probabilmente la migliore idea di tutto questo lavoro, perché Nicholson gigioneggia poco e utilizza molto la mimica, centrando l'obbiettivo di costruire empatia con un personaggio difficile come Schmidt, burbero e tirchio, la cui umanità è celata sotto decenni di vita nella società della classe media.
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Payne tratteggia una sorta di commedia delicata, attorno a un personaggio a cui, quasi per contrasto, fa crollare il mondo addosso nel giro di breve tempo. Warren Schmidt, infatti, è appena giunto alla pensione dopo una vita da impiegato modello e stimato. Il suo mondo lo dimentica in fetta e a ciò si aggiunge l'improvvisa dipartita della moglie, compagna per oltre quarant'anni. Il prossimo matrimonio della figlia e la famiglia disordinata del compagno di lei, non fanno altro che metterne a dura prova i nervi.
Il ruolo di protagonista della pellicola è affidato a un grande Jack Nicholson, in grado di restituire lo smarrimento del suo Warren per tutta la durata del film. Questa è probabilmente la migliore idea di tutto questo lavoro, perché Nicholson gigioneggia poco e utilizza molto la mimica, centrando l'obbiettivo di costruire empatia con un personaggio difficile come Schmidt, burbero e tirchio, la cui umanità è celata sotto decenni di vita nella società della classe media.
Il regista cerca di aggiungerci del suo, costruendo inquadrature evocative, impegnate a far percepire il senso di solitudine e forse di vuoto che affliggono il povero Schmidt, costretto, suo malgrado, ad affrontare una serie di cambiamenti radicali che rischiano di minarne la stabilità.
Però a questo lavoro manca qualcosa. Payne si prende tutto il tempo del mondo per disegnare la sua storia, forse esagerando con il minutaggio. Alcuni momenti del film non mi sono apparsi indispensabili, come tutta la parte del campeggio, ma aggiunti più che altro nel tentativo di ingigantire il concetto che si vuole far passare. Non si tratta nemmeno di situazioni divertenti, che possano alleggerire un po' la trama.
L'idea che mi sono fatto è che il regista abbia tentato di costruire una storia che rimanesse impressa, attraverso un film da ricordare. Così con il suo aspetto delicato ha provato a mascherare lo spessore della trama.
Purtroppo, però, il risultato che ne è venuto fuori è quello di una pellicola a tratti noiosetta, con un messaggio esplicitato in modo troppo plateale e tenuta insieme solo grazie a un cast di ottimi attori, su cui spadroneggiano Nicholson e Kathy Bates.
A poco serve il gusto estetico di Payne, perché il ritmo risulta fiacco e le situazioni in alcuni casi sono fin troppo ostentate. Magari l'intenzione è proprio quella, per insistere il più possibile sul senso di vuoto che si crea nel protagonista. Ma continuo a pensare che un quarto d'ora in meno avrebbe giovato al complesso.
Di questo regista vidi anche Sideways che mi lasciò all'incirca la stessa impressione. Può darsi che sia io a non capire la sua cifra stilistica. Ma comunque ho visto di meglio.
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solitaryman
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mercoledì 31 dicembre 2014
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schmidt non è un fallito
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Se ce ne fosse stato ancora il bisogno, ecco qui la prova della grandezza di Jack Nicholson. Da solo, o quasi, riesce a condurre il film da protagonista dall'inizio alla fine. Presenza e superba mimica. Fantastica la scena, quando tiene un piccolo ma significativo discorso, colmo di ironia e sarcasmo, agli invitati del matrimonio della figlia. Non è per nulla il pensionato stanco e privo di mordente che si potrebbe pensare, al contrario è una persona profonda e lucida (più o meno, alla donna nel camper: "Ti conosco da due ore, ma hai capito più tu di me che mia moglie in 42 anni di matrimonio"), anche se come tutti, non privo di manchevolezze. Capisce molto più della figlia il pasticcio in cui andrà a cacciarsi, ma attorno a lui si muove una moltitudine, quella sì, di inetti e superficiali.
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Se ce ne fosse stato ancora il bisogno, ecco qui la prova della grandezza di Jack Nicholson. Da solo, o quasi, riesce a condurre il film da protagonista dall'inizio alla fine. Presenza e superba mimica. Fantastica la scena, quando tiene un piccolo ma significativo discorso, colmo di ironia e sarcasmo, agli invitati del matrimonio della figlia. Non è per nulla il pensionato stanco e privo di mordente che si potrebbe pensare, al contrario è una persona profonda e lucida (più o meno, alla donna nel camper: "Ti conosco da due ore, ma hai capito più tu di me che mia moglie in 42 anni di matrimonio"), anche se come tutti, non privo di manchevolezze. Capisce molto più della figlia il pasticcio in cui andrà a cacciarsi, ma attorno a lui si muove una moltitudine, quella sì, di inetti e superficiali. Punto centrale del film la mancanza di vero dialogo fra le persone e desiderio di calore umano, che via via si può notare nel suo peregrinare col camper, ma che inaspettatamente - bellissima e commovente la scena finale - gli giunge con la lettera del bambino africano.
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theophilus
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venerdì 29 novembre 2013
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film reazionario e banalmente pessimista
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ABOUT SCHMIDT
Non ci sentiamo di attribuire a questa pellicola del regista americano Alexander Payne il valore di fiction: c'è parsa più un documentario sui luoghi comuni, la retorica e le ipocrisie che attraversano la vita del piccolo borghese.
Preso a prototipo un fantoccio gonfio, inespressivo, incapace di articolare un pensiero o una critica al mondo in cui vive, insignificante ed indistinta tessera di un grigio mosaico qual è.
Neppure il regista sembra però in grado di farlo, dal momento che non eleva una sola voce di dissenso, di protesta o, almeno, di commento. Si potrebbe ribattere che le immagini proposte sono più che eloquenti e che si commentano da sole e anche che A proposito di Schmidt può voler rappresentare un esempio negativo da non seguire: se è così, il pessimismo di Payne è perlomeno altrettanto letale quanto la noia che ingenera la visione di questa pellicola.
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ABOUT SCHMIDT
Non ci sentiamo di attribuire a questa pellicola del regista americano Alexander Payne il valore di fiction: c'è parsa più un documentario sui luoghi comuni, la retorica e le ipocrisie che attraversano la vita del piccolo borghese.
Preso a prototipo un fantoccio gonfio, inespressivo, incapace di articolare un pensiero o una critica al mondo in cui vive, insignificante ed indistinta tessera di un grigio mosaico qual è.
Neppure il regista sembra però in grado di farlo, dal momento che non eleva una sola voce di dissenso, di protesta o, almeno, di commento. Si potrebbe ribattere che le immagini proposte sono più che eloquenti e che si commentano da sole e anche che A proposito di Schmidt può voler rappresentare un esempio negativo da non seguire: se è così, il pessimismo di Payne è perlomeno altrettanto letale quanto la noia che ingenera la visione di questa pellicola. Prendiamo atto che per il regista americano l’uomo è un Frankenstein – tale è sembrato a chi scrive Jack Nicholson che si aggira come uno zombie sulla terra, portandosi appiccicata appresso – grosso lumacone – la sua casa, incapace di poter fare a meno di quel teorema. Ma, certo, il camper - l’avventura on the road (?!) – non può essere la sua vera casa. Solo là, in quell’insieme di mattoni dove riporta la sua carcassa dopo aver incassato dosi da elefante di rimpalli, Schmidt – nell’apoteosi consolatoria del buonismo – potrà trovare la soluzione ai suoi problemi, una ragione di vita, anzi la ragione di vita: una lettera di ringraziamento scrittagli da una suora missionaria in Africa che allega a Schmidt un disegno fatto dal bambino che il nostro eroe ha adottato a distanza.
Il film ha inizio in una stanza vuota con Schmidt, seduto, che fissa un orologio appeso alla parete che sta per segnare le ore 17. L’ora arriva e Warren Schmidt si alza, dà una rapida occhiata e se ne va: il suo ultimo giorno di lavoro è terminato e ha così ufficialmente inizio la sua vita da pensionato. In realtà, il film non parla di ciò che accade all’uomo dopo la sua quiescenza o, perlomeno, ciò appare incidentale. Che il film abbia inizio con quella scena, in quel particolare periodo della sua vita, è casuale e trascurabile. Tutto quello che questo impiegato di una società di assicurazioni qualsiasi incontra da questo momento, gli sarebbe accaduto comunque, a partire da qualsiasi altro momento della sua esistenza. Vediamo infatti la cena d’addio con i colleghi, i regali, i discorsi, le pacche sulle spalle, le proteste che senza di lui non sapranno come fare, le raccomandazioni di farsi vivo: insomma, tutto il campionario tipico che, con qualche trascurabile variante, viene sfoggiato in queste o similari circostanze; poi i rapporti stantii e livorosi con la moglie, che non c’è motivo di supporre che fossero diversi prima; l’incapacità di Schmidt di gestire la casa al momento della morte improvvisa di lei, che, verosimilmente, il nostro aveva già sperimentato in periodi di lontananza della donna; i rapporti difficili con la figlia, che lo rimanda a casa prima ancora di vederlo: anche in questo caso sembra difficile poter incriminare la pensione; la vuota e banale cerimonia di matrimonio della ragazza che non deve essere stata molto diversa dalla sua; l’approccio patetico e maldestro con una donna più giovane; un altro dove è la donna che ci prova, ma lui non ne vuole sapere… tutto come sempre. Dopo aver visto tutto questo e altre delizie (confessiamo che una parte ci è sfuggita perché il sonno ci è venuto in soccorso, ma chi era con noi ci ha assicurato che non ci siamo persi niente), ci aspettavamo che il film decollasse, o perlomeno terminasse, che il regista – dopo una disamina impietosa – ci proponesse una sua visione, ci facesse intravedere una soluzione, facesse arrivare il nostro impiegato ad un riscatto impensabile, magari mostrandocelo mentre si sparava un colpo in bocca – scontato, ma meglio che niente. E invece, niente. Il finale che abbiamo già sopra descritto, con qualche lacrimuccia: l’evidente convinzione da parte del regista che per l’uomo non c’è proprio nessuna strada per combattere l’abbrutimento al di fuori di un assegno mensile. A noi è parso offensivo e reazionario: ma sappiamo di essere controcorrente.
C’è chi ha visto in questo film un quadro amaro dell’America contemporanea, in stridente contrasto con gli strombazzamenti guerrafondai del suo presidente. Noi non abbiamo notato dei riferimenti sociali, politici o geografici tali da delimitare quel quadro alla pur grande area americana: abbiamo invece avvertito una voluta e convinta valenza universale in quelle immagini, così come nella figura di Schmidt.
Se comunque non abbiamo letto di lodi incondizionate al film, la prova di Nicholson è stata unanimemente giudicata degna di oscar. Noi, ancora, ci permettiamo il beneficio del dubbio e ci chiediamo, con espressione colorita e in voga, se il vecchio Jack c’è o ci fa: temiamo cioè che quella sua maschera impietosa sia ormai quella vera di un attore che, dopo una splendida carriera, ha imboccato la strada del tramonto e che negli ultimi anni (a partire da Qualcosa è cambiato) è sempre più usata come stereotipo, anziché quella di un grande istrione che ci ha dato un’ulteriore prova delle sue capacità.
Enzo Vignoli
6 marzo 2003
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dario
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giovedì 14 febbraio 2013
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crepuscolare
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E' tutto sulle spalle di Nicholson, magistrale. La storia fila per forza, tutto è un po' previsto e i personaggi sono manichini, li salva un dialogo brillante e un certo mestiere. Buona la regia. Qualche incertezza narrativa, ripetizioni, e un ingombrante sarcasmo di fondo, compiaciuto in senso estetico. I concetti non vengono approfonditi. Ammirevole tuttavia la fluidità del tutto.
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