007 - La morte può attendere

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Un film di Lee Tamahori. Con Pierce Brosnan, Halle Berry, Toby Stephens, Rosamund Pike, Rick Yune.
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Titolo originale Die another day. Azione, Ratings: Kids+13, durata 132 min. - Gran Bretagna, USA 2002. - 20th Century Fox Italia uscita venerdì 28 febbraio 2003. MYMONETRO 007 - La morte può attendere * * - - - valutazione media: 2,38 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un film godibilissimo Valutazione 4 stelle su cinque

di angelino67


Feedback: 1000 | altri commenti e recensioni di angelino67
sabato 30 aprile 2016

Il film conclude un ciclo (i film di 007 vanno a cicli, anche politici come vedremo), quello di Brosnan, riportando un ruolo alla conquista militare nel Bond post guerra fredda. L'attore lo ha amato molto e ha dato il suo meglio avendo bene in testa come doveva interpretarlo. Non poteva essere più indovinata la scelta del nemico: il governo della Corea del Nord a tutt'oggi, approfittando di condizioni favorevoli, minaccia l'occidente con un leader che potrebbe figurare tra i migliori (o peggiori) vilain della serie; ma la figura del generale padre del colonnello Noon, che ha una scena intensa e insolita nel drammatico confronto col figlio malvagio – più che dignitosamente interpretato dal bel Toby Stephens, eccellenti le scene di scherma con Brosnan -, indica rispetto verso i nordcoreani. La canzone dei titoli di coda, "Die Another Day - Dirty Vegas remix", scelta per concludere in allegria, è migliore della versione originale dei titoli di testa (entrambe di Madonna), una canzone che anch'essa migliora con gli ascolti, accattivante, eccitante. Il direttore della fotografia David Tattersall usa la luce in modo magistrale e i set progettati da Peter Lamont, degno erede del grande Ken Adam, sono stupendi, con ambientazioni tra le più spettacolari e creative di tutta la serie. Ottimi i costumi di Lindy Hemming. Il film ha una sua originalità: Lee Tamahori dirige con intelligenza e abilità spesso sul filo del rasoio, sapendo quando, dove e come osare; la più grande libertà che si prende – con eccellenti risultati, anche perché coincide con l'inizio di Bond, una specie di sfida interna tra tutti i film della serie, - é un lungo contrasto iniziale con la formula di Bond, uno straordinario pezzo di cinema, venti minuti con il più scuro tono che un film di 007 abbia mai avuto prima di virare nel consueto, vivace e spensierato della ricetta classica, con una serie di citazioni (per 007 anche questo non é una novità) dei precedenti Bond ma non solo. Ci sono bellissime atmosfere. L'immagine é di una bellezza grezza e lo scenario offre forti contrasti e trasalimenti (e qui siamo tra i momenti migliori degli 007 migliori). Tamahori sperimenta e, come i grandi registi, esibisce la stessa finzione cinematografica in una lunga scena d'azione esagerata quanto divertente grazie agli effetti visuali di Mara Bryan. Il montaggio di Christian Wagner é scattante, ci sono molti colpi di scena, la sceneggiatura di Neal Purvis e Robert Wade ha piccole e grandi trovate bizzarre fino all'assurdo, ma questo é il mondo di 007: bigger than life, e far apparire normale, anche in un contesto esclusivo, ciò che un prodotto della fantasia. Bella l'idea della scena di realtà virtuale tra Bond e Moneypenny verso la fine. Halle Berry – una grande donna - è bella e brava in una parte calda in amore e dura, all'occorrenza spietata nella lotta mentre l'esordiente Rosamund Pike brilla nel ruolo della cattiva. Le due donne rappresentano anche i poli opposti della sesso (non a caso la gelida doppiogiochista si chiama Frost). Nell'ultima mezz'ora siamo nel fumetto, una delle classiche tendenze del Bond (interi film della serie lo sono). La colonna sonora di David Arnold si attiene alle musiche tipiche (fu proprio il grande John Barry a consigliarlo alla produzione) di Bond. Ci sono da rimarcare un paio di cose. Non si manca di far dire una battuta sul miglior servizio sanitario del mondo a Cuba, paese per il quale traspare una generale ammirazione, ricreato in bellissima ambientazione, una vita dolce che si addice a Bond. Inoltre, in una scena mentre Bond sorseggia il suo Martini sull'aereo di ritorno in Inghilterra, si sente “London Calling” dei Clash. Cosa sorprendente non solo perchè si tratta dell'unico caso in cui in un film di Bond compare un brano già noto – di 23 anni prima-, ma anche perché di un gruppo fantastico ma ideologicamente tutt'altro che fedele a Sua Maestà (a meno di non pensarla come chi li considera dei burattini parte del gioco). Forse é una citazione ironica, forse un calcolo di marketing considerando l'antiamericanismo molto diffuso nel mondo all'epoca, di sicuro una dimostrazione della complessità e delle contraddizioni della civiltà occidentale, già rappresentate dagli 007 degli anni '60: una delle ragioni del successo di James Bond é che si tratta di un personaggio ideologicamente complesso. I Clash avevano una grande coscienza politica; sono stati una specie di radio rock che ha informato i giovani inglesi e americani sul fatto che i loro governi tutto erano tranne che i salvatori e i liberatori del mondo (confrontare con il Bond degli anni '80, quello del thatcheriano John Glen, che in “Octopussy” - spettacolarmente un ottimo film – liquida gli europacifisti come utili idioti alla causa dei nemici del mondo libero; dopo i progressisti “La spia che mi amava” - forse il più bel film della serie - e “Moonraker” - il più sottovalutato - diretti da Lewis Gilbert nella seconda metà dei '70). Contraddizioni che Hollywood rappresenta pienamente, essendo sempre stata molto diffusa (vedi l'autobiografia di Kirk Douglas “Io sono Spartaco” o “Reds” di Warren Beatty) nei suoi studi una posizione politica di sinistra liberal vicina al comunismo, guardato con simpatia da molti intellettuali occidentali. La questione porterebbe lontano. Quello che qui voglio sottolineare é che “La morte può attendere” é un gradevolissimo spettacolo. Grazie anche ai produttori Barbara Broccoli e Michael Wilson, che hanno scelto e accettato un regista di talento (che a sua volta sapeva i limiti entro i quali poteva e doveva muoversi) e aiutato gli sceneggiatori nell'orientarsi tra gli spunti possibili dai romanzi di Fleming, con le questioni fondamentali attinenti alla attualità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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