janeeyre
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martedì 28 agosto 2007
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impossibilitàdellafelicità,difficoltàdeisentimenti
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ho rivisto questo film dopo un bel po' di tempo...e devo dire che ogni volta più che la droga, che ormai sta diventando quasi normale consumo(basta dare un'occhiata ai tg per scoprirne quanto tasso ce n'è nei fiumi o che ne consumano politici in compagnia di vallette) quello che mi colpisce è il senso di solitudine ed abbandono, di grigiore che pervade la vita dei protagonisti(ed anche noi a volte, non voglio generalizzare).
Harry, sua madre, Marion potrebbero essere felici ma invece compiono un viaggio senza ritorno all'inferno..perchè? desiderano..è quello che mi sono risposta..desiderano cose che alla fine li distruggono..desiderano la ricchezza, dimagrire, una effimera notorietà in tv per sentirsi importanti, per recuperare i rapporti familiari(alla fine nel suo delirio la madre di Harry immagina di abbracciare il figlio, di potergli dimostrare, di potergli comunicare quanto lo ama in tv davanti al presentatore in una sorta di reality dove tutti sorridono),i due ragazzi invece si amano e se lo vogliono dimostrare(lui cerca di alzare i soldi spacciando per finanziare l'estro creativo di lei)forse il punto più alto del loro amore è quando lui usa l'unica telefonata in prigione non per l'avvocato ma per lei e lei che si trova in difficoltà perchè sà che è debole a causa dell'astinenza, che sta per perdere la dignità gli chiede di raggiungerla subito).
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ho rivisto questo film dopo un bel po' di tempo...e devo dire che ogni volta più che la droga, che ormai sta diventando quasi normale consumo(basta dare un'occhiata ai tg per scoprirne quanto tasso ce n'è nei fiumi o che ne consumano politici in compagnia di vallette) quello che mi colpisce è il senso di solitudine ed abbandono, di grigiore che pervade la vita dei protagonisti(ed anche noi a volte, non voglio generalizzare).
Harry, sua madre, Marion potrebbero essere felici ma invece compiono un viaggio senza ritorno all'inferno..perchè? desiderano..è quello che mi sono risposta..desiderano cose che alla fine li distruggono..desiderano la ricchezza, dimagrire, una effimera notorietà in tv per sentirsi importanti, per recuperare i rapporti familiari(alla fine nel suo delirio la madre di Harry immagina di abbracciare il figlio, di potergli dimostrare, di potergli comunicare quanto lo ama in tv davanti al presentatore in una sorta di reality dove tutti sorridono),i due ragazzi invece si amano e se lo vogliono dimostrare(lui cerca di alzare i soldi spacciando per finanziare l'estro creativo di lei)forse il punto più alto del loro amore è quando lui usa l'unica telefonata in prigione non per l'avvocato ma per lei e lei che si trova in difficoltà perchè sà che è debole a causa dell'astinenza, che sta per perdere la dignità gli chiede di raggiungerla subito)..risultato? il peso dei sogni effimeri che la società oggi ci propone ci fanno perdere di vista quello che è la vera felicità..è proprio l'impossibilità della comunicazione, dei sentimenti(emblematica la scena del figlio che si preoccupa della madre e le dice di non prendere più le pillole e poi tornando in taxi piange)che ci porta a cercare in cose artificiali(l'eroina in questo caso)una profondità, dei sentimenti veri, basti pensare al fatto che i due innamorati si dicono cose infinitamente belle e profonde(io credo che con te riuscirei a far funzionare la mia vita)quando sono sotto effetto stupefacenti...bello e toccante..
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sofiefatale
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venerdì 26 novembre 2010
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senza retorica,solo realta'.
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Nudo,crudo,reale.drammaticamente reale...
Una storia sulla droga, e sulle sue conseguenze devastanti,o meglio ancora,distruttrici,che ha il grande merito di non scadere mai nel banale,nel ripetitivo e nel rifacimento privo di originalita'.Una sorta di climax della vita, con cui il regista mette in evidenza,con intensita' crescente, il carattere di un'esistenza segnata dalla droga, il cui crollo nell'abbisso si verifica non tanto in maniera subitanea quanto piuttosto progressivamente,ma non troppo,come un veleno che agisce lentamente nel corpo, ma il cui esito finale sara' sempre ed inesorabilmente la morte,intesa sotto questo profilo,come la fine.
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Nudo,crudo,reale.drammaticamente reale...
Una storia sulla droga, e sulle sue conseguenze devastanti,o meglio ancora,distruttrici,che ha il grande merito di non scadere mai nel banale,nel ripetitivo e nel rifacimento privo di originalita'.Una sorta di climax della vita, con cui il regista mette in evidenza,con intensita' crescente, il carattere di un'esistenza segnata dalla droga, il cui crollo nell'abbisso si verifica non tanto in maniera subitanea quanto piuttosto progressivamente,ma non troppo,come un veleno che agisce lentamente nel corpo, ma il cui esito finale sara' sempre ed inesorabilmente la morte,intesa sotto questo profilo,come la fine.
Un film di ammirevole potenza espressiva...eccellente in tutte le sue strutture:dalla sceneggiatura alla regia,dalle inquadrature alla musica che è incalzante, e riesce perfettamente a suggerire quella natura drammatica della storia e quindi dei personaggi che la popolano.Ma oltre alla riuscita di questo film da un punto di vista tecnico è ancora maggiore,a mio parere,la completa riuscita dal punto di vista contenutistico;con dei dialoghi formidabili ,ed in particolare quello che intrattengono harry(jared leto) e la madre sarah(Ellen Burstyn),dialogo che ad un certo punto vediamo tramutare in un monologo di una madre, con la disperazione e la solitudine nel cuore, che nell'illusione di poter assaporare, in qualche modo, il suo passato e la sua giovinezza ,crede di trovare un'ancora di salvezza e di speranza nella televisione che va a sostituire un marito defunto e un figlio che non puo' prendersi cura di sua madre,non perche' non voglia ma perchè la sua tossicodipendenza richiede, inevitabilmente, maggiori attenzioni.
Per quanto concerne, invece, l'interpretazione non ci sono parole.Tutti gli attori sono eccellenti e in maniera particolare Ellen Burstyn.
Mi stupisce abbastanza che il giudizio di alcuni critici non sia stato benevolo riguardo al film ma sopratutto mi stupisce il parere che questo sia un film all'insegna di una retorica dei cattivi sentimenti,per me del tutto inappropriato. Non c'è retorica in questo film ne' banalita' ne' puo' parlarsi di originalita'. vi è realta'. E non c'è nulla di retorico nel sviluppare un film, il cui tema è la droga, con un epilogo tragico. La bravura del regista sta nel proporci una visione di questo mondo vera e realistica,quasi tangibile.Proprio grazie a cio' lo spettatore riesce a cogliere la "drammaticita' che non è piu' del fim ,in se per se,ma di anime che non immaginano piu' di guardare viste amene sul mare,ma vivono e vedono realmente il loro crollo nel baratro dove,molto spesso,non c'è possibilta' di risalire xkè la primavera tarda ad arrivare.
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tommaso battimiello
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domenica 6 febbraio 2011
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il viaggio senza ritorno di aronofsky
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Sara Goldfarb (Ellen Burstyn) è una casalinga vedova e sola, che passa le sue monotone giornate guardando programmi televisivi fin quando, durante una delle sue overdose da tubo catodico, tramite una telefonata, scopre di essere stata selezionata proprio per il suo show preferito. Subito Sara sente il bisogno di tirarsi a lucido, si sente grassa e fuori forma, non può certo presentarsi così. E’ l’inizio di un lungo incubo di tormento e angoscia al suono di diete dimagranti e anfetamine che la condurrà alla pazzia.
Harry (Jared Leto) è suo figlio, il classico tossicodipendente cronico, pronto a tutto pur di procurarsi una dose nel momento del bisogno e insieme alla sua ragazza Marion (Jennifer Connelly) e al suo “socio in affari” Tyrone (Marlon Wayans) sembra voler tentare la risalita con lo spaccio di stupefacenti.
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Sara Goldfarb (Ellen Burstyn) è una casalinga vedova e sola, che passa le sue monotone giornate guardando programmi televisivi fin quando, durante una delle sue overdose da tubo catodico, tramite una telefonata, scopre di essere stata selezionata proprio per il suo show preferito. Subito Sara sente il bisogno di tirarsi a lucido, si sente grassa e fuori forma, non può certo presentarsi così. E’ l’inizio di un lungo incubo di tormento e angoscia al suono di diete dimagranti e anfetamine che la condurrà alla pazzia.
Harry (Jared Leto) è suo figlio, il classico tossicodipendente cronico, pronto a tutto pur di procurarsi una dose nel momento del bisogno e insieme alla sua ragazza Marion (Jennifer Connelly) e al suo “socio in affari” Tyrone (Marlon Wayans) sembra voler tentare la risalita con lo spaccio di stupefacenti.
Non tutto però va come sperato e alla fine finiscono tutti e tre con l’essere risucchiati dalla spirale di droga e “sballo” che essi stessi hanno generato. Ad Harry dovrà essere amputato il braccio, entrato in cancrena per una siringa di troppo; Tyrone finirà con l’essere arrestato e Marion è costretta a vendere il proprio corpo in cambio della “roba”. Tutti, quindi, finiranno con l’essere vittima delle loro dipendenze, che siano queste trasmesse via cavo o iniettate dritte nelle vene, ma anche solo sussurrate dietro la costante sensazione di vivere guardando giù nel baratro.
Quello di Darren Aronofsky è un viaggio folle e allucinato nella disperazione e nella solitudine che solo l’uomo è capace di creare intorno a sé.
Diretto e co-sceneggiato dal giovane regista newyorkese, “Requiem for a dream” è uno splendido esempio di ottima pellicola, frutto di una produzione indipendente, che ha decisamente superato i confini statunitensi fino a diventare un piccolo “cult” per le nuove generazioni.
Il film punta senza esitazioni al cuore dello spettatore, mettendo in scena un dramma dei sentimenti che ha senz’altro gioco facile collocandosi quasi sul filone “strappalacrime”, ed è qui forse un grosso difetto del film: a differenza della scapigliata gioventù scozzese di Trainspotting, quella di Requiem for a Dream appare come mero specchio di una pars destruens. Non c’è l’amara riflessione sul senso della vita, la scelta di un’esistenza alternativa che non ha altra filosofia se non quella del “rifiuto” di quella convenzionale. Insomma, non c’è quel distacco nella pellicola di Aronofsky, che finisce per sfiorare quasi un fastidioso e puritano moralismo fine a se stesso. Ma quello che è il suo più grande difetto è altresì il suo più grande pregio: la caustica constatazione della “non-rinascita”, di aver toccato un baratro dal quale non si può più risalire, determina sicuramente emozioni forti che non possono che commuovere anche il più arcigno cuore di pietra.
Senz’altro quanto di più lontano ci possa essere da una storia “di formazione”.
Il gruppo dei quattro protagonisti è interpretato da più che ottimi attori, fra i quali spiccano le due figure femminili: una strepitosa Ellen Burstyn (pluripremiata come miglior attrice) e la magnifica Jennifer Connelly che solo un anno dopo si è aggiudicata il premio Oscar come non protagonista per “A Beautiful mind”. Un discorso a parte meriterebbe il fantastico montaggio a metà fra l’onirico e lo psichedelico e le particolari riprese utilizzate da Aronofsky.
Il film è diviso in tre sequenze: “Summer” (Estate), “Fall (Autunno, parola che però in inglese rappresenta anche la “caduta”, di qui in senso metonimico in riferimento alle foglie degli alberi) e “Winter” (Inverno), che corrispondono alle tre macrosequenze delle vite dei quattro personaggi principali. Da notare che manca una stagione, proprio “Spring” (la Primavera, la rinascita, l’uscita dal buio e gelido inverno) la cui assenza è quindi strutturale e funzionale al messaggio di oblio e disperazione lanciato da Aronofsky. Da un viaggio del genere non è ammesso ritorno.
Mark Renton e Co. “scelgono di “non scegliere la vita”. Sara, Harry, Tyrone e Marion “sognano” di sceglierla ma il loro sarà solo un brutto risveglio.
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norman_joker
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venerdì 9 novembre 2012
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un requiem desolante
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Requiem for a dream (2000) è il dramma definitivo sull’esistenzialismo, un film dalle premesse precariamente aggrappate a certezze fallaci e speranze corrose dal germe del reale che sprofonda claustrofobicamente in un abisso senza direzionalità, che ruota senza sosta attorno al proprio asse intriso di marciume, un senso della vita perduto e il vano tentativo per riappropriarsi della propria linfa vitale o per scorgere una parvenza di senso nella desolazione che impera con accanimento impetuoso.
La tecnica cinematografica è asservita alla vicenda, all’ipnotica corsa senza tempo e senza spazio verso traguardi inesistenti e all’apnea di colori slavati e soffusi.
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Requiem for a dream (2000) è il dramma definitivo sull’esistenzialismo, un film dalle premesse precariamente aggrappate a certezze fallaci e speranze corrose dal germe del reale che sprofonda claustrofobicamente in un abisso senza direzionalità, che ruota senza sosta attorno al proprio asse intriso di marciume, un senso della vita perduto e il vano tentativo per riappropriarsi della propria linfa vitale o per scorgere una parvenza di senso nella desolazione che impera con accanimento impetuoso.
La tecnica cinematografica è asservita alla vicenda, all’ipnotica corsa senza tempo e senza spazio verso traguardi inesistenti e all’apnea di colori slavati e soffusi. La musica incalzante induce all’attesa, all’ansia che esita nel martellante senso di abbandono, alla drammatica sequenza di immagini che, più che raccontare la vicenda, raccontano l’anima dei personaggi. Inquadrature fugaci, sequenze ripetitive, violente, che esistono soltanto nella mente di coloro che sullo schermo le vivono, regalandoci scorci di introspezione che vengono filtrati dall’occhio in maniera tanto accattivante quanto disturbante. Allucinazioni, descrizioni visive di fobie, psicosi, deliri da astinenza da droga, sia essa cocaina o anfetamina, portate sullo schermo con un taglio tecnico magistrale ed un preciso scopo registico.
A cosa ha mirato l’americano Darren Aronofsky? Guardare con lo stesso sguardo allucinato dei protagonisti il degrado della realtà, che in potenza avrebbe potuto essere degna di essere vissuta ma che si è man mano macchiata di atrocità e di desolata apatia fino a giungere al nulla, al vuoto interiore. L’impronta cinematografica dell’esistenzialismo tratto dal libro di Hubert Selby Jr è qui riproposta con sconcertante realismo, da fruire per coloro che desiderano le singole verità dell’abisso complesso della mente umana e non una ben curata riproposizione, smussandone gli angoli più cruenti. Qui l’oscurità è frastagliata, senza abbellimenti, senza moralismi, senza compromessi o discolpe. Questa è l’anima, nient’altro.
Uniteci un montaggio perfetto nel suo essere convulsivo e la fotografia vivida e cruda di Matthew Libatique e avrete la cornice perfetta per le vicende che ruotano nella pellicolo soffocate dalla gravità che le spinge alla tragica impotenza. A ciò aggiungete l’amara riflessione, che non risulta mai annoiata o intrisa di banalità, sulla società e sulle ripercussioni a livello della vita dell’uomo e sulla propria psicologia, ed otterrete un film estremamente toccante sulla solitudine, l’incomprensione e la mancata realizzazione dei sogni.
Lasciatevi allora coinvolgere da Sarah (Ellen Busrstyn), vedova in avanti con gli anni e madre distratta dalla videointossicazione, afflitta da un profondo senso di solitudine che l’ha condotta alla depressione. Riesce a trovare un impulso vitale soltanto dopo aver ricevuto un invito alla partecipazione ad un quiz televisivo. Vivrete allora con lei la sua discesa nell’abisso della dipendenza da anfetamine nel disperato tentativo di dimagrire per poter apparire in forma perfetta in televisione.
In parallelo, il figlio Harry (Jared Leto), tossicodipendente, cerca in tutti i modi di diventare uno spacciatore di alto rango insieme all’amico Tyrone (Marlon Wayans), per non deludere la sua fidanzata Marion (Jennifer Connelly), che rappresenta l’unico punto di riferimento, tanto apparentemente saldo quanto privo di alcuna logica, in quanto la ragazza non vive una situazione migliore: operatrice d’abbigliamento disoccupata in cura dallo psicologo, si prostituisce e sprofonda con Harry nell’incubo della tossicodipendenza, attraversando la prima fase di esaltazione e di progetti audaci per poi ricadere, inevitabilmente, tra le maglie della solitudine del cuore, di un rapporto vuoto oltre il sesso e la droga e della desolazione totale.
E’ la rappresentazione dell’umanità perdente, quella di cui si professa di sapere tutto ma di cui si cerca di ignorare la vera, sinistra essenza, voltando lo sguardo altrove e noncuranti dei risvolti tragici di queste esistenze. E’ il trionfo della sfida senza regole che l’uomo non può vincere se non sostenuto dalla ferrea volontà. E’ il trionfo della perdita, della tortura, del disincanto. Della brutalità e dell’accanimento. Della sconfitta definitiva dell’uomo debole e dimenticato dalla distrazione della società.
Emblematico come il film venga diviso in tre sottosezione riferibili a tre stagioni, estate autunno e inverno, trascurando volutamente la primavera. Altrettanto intuitivo e riconducibile al senso del film come assistiamo all’ascesa, al declino e alla caduta dei personaggi. In questo panorama biecamente realistico non è contemplato il simbolo della rinascita e della vittoria: il destino dei protagonisti è ineluttabile.
E’ il film che tutti dovremmo guardare, come insegnamento e come arricchimento. Il cinema vive per questo soprattutto, non bisogna mai dimenticarlo. Buona visione!
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bebos
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mercoledì 23 febbraio 2011
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la droga: speranza di chi speranza non ne ha più
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Seconda pellicola per l'originale regista Darren Aronofsky, basata su un omonimo racconto di Hubert Selby Jr. Lucida ed angosciante analisi della moderna società (drogata forse più dai falsi miti della televisione che dall'eroina stessa), il film corre su diversi binari, raccontando le diverse dipendenze dei protagonisti: una vedova sola (Ellen Burstyn) in balia dello schermo e il figlio eroinomane Harry (interpretato dall'attore-rockstar Jared Leto). Il film è costruito secondo un climax decrescente di degrado fisico e morale, ed è a tal proposito emblematica la scelta dell'autore di dividerlo in 3 parti intitolate con i nomi delle stagioni escludendo la primavera,e con essa qualunque possibilità di "rinascita" per i protagonisti, dando vita ad amaro affresco di quella che è la condizione dell'uomo contemporaneo,sempre più solo e senza scampo.
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Seconda pellicola per l'originale regista Darren Aronofsky, basata su un omonimo racconto di Hubert Selby Jr. Lucida ed angosciante analisi della moderna società (drogata forse più dai falsi miti della televisione che dall'eroina stessa), il film corre su diversi binari, raccontando le diverse dipendenze dei protagonisti: una vedova sola (Ellen Burstyn) in balia dello schermo e il figlio eroinomane Harry (interpretato dall'attore-rockstar Jared Leto). Il film è costruito secondo un climax decrescente di degrado fisico e morale, ed è a tal proposito emblematica la scelta dell'autore di dividerlo in 3 parti intitolate con i nomi delle stagioni escludendo la primavera,e con essa qualunque possibilità di "rinascita" per i protagonisti, dando vita ad amaro affresco di quella che è la condizione dell'uomo contemporaneo,sempre più solo e senza scampo.
A ciò si aggiunge l'utilizzo sapiente di un montaggio originale e di una appropriata colonna sonora composta da Clint Mansell (coadiuvato dai Kronos Quartet), che creano l'angosciante atmosfera di un Requiem della speranza. D'altronde ,come spiega la protagonista, se l'inseguire i miti della televisione è "un motivo per alzarsi al mattino (...)per sorridere, per pensare che il domani sarà bello", come aspettarsi una primavera?
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boboskij
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mercoledì 8 agosto 2012
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...adesso sono importante.....
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Girare un'opera cinematografica che abbia come argomento la dipendenza dalla droga e trasformarla in un piccolo capolavoro artistico non è cosa da poco.Non è semplice per due precisi motivi: il primo è che sono innnumerevoli i film che hanno già trattatato e ritrattato questa tematica; alcuni lo hanno fatto in maniera a dir poco imbarazzante, altri invece sono stati capaci di fotografare il mondo delle sostanze e degli individui che gravitano intorno ad esse, con incredibile maestria artististica ed efficacia comunicativa, vedi Drugstore cowboy di Gus Van Sant o il più celebre Trainspotting di Danny Boyle.Il secondo motivo è che con un argomento del genere si corre sovente il rischio di cadere nello scontato, di inscenare uno squallido teatrino delle banalità, atto ad affliggere lo spettatore con triti e ritriti espedienti ricattatatori, intrisi di un marciscente pietismo.
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Girare un'opera cinematografica che abbia come argomento la dipendenza dalla droga e trasformarla in un piccolo capolavoro artistico non è cosa da poco.Non è semplice per due precisi motivi: il primo è che sono innnumerevoli i film che hanno già trattatato e ritrattato questa tematica; alcuni lo hanno fatto in maniera a dir poco imbarazzante, altri invece sono stati capaci di fotografare il mondo delle sostanze e degli individui che gravitano intorno ad esse, con incredibile maestria artististica ed efficacia comunicativa, vedi Drugstore cowboy di Gus Van Sant o il più celebre Trainspotting di Danny Boyle.Il secondo motivo è che con un argomento del genere si corre sovente il rischio di cadere nello scontato, di inscenare uno squallido teatrino delle banalità, atto ad affliggere lo spettatore con triti e ritriti espedienti ricattatatori, intrisi di un marciscente pietismo.Darren Aronofsky è riuscito a confezionare invece un 'opera cinematografica straordinaria, sia dal punto espressivo che da quello più prettamente tecnico.E le risorse che gli hanno permesso di costruire questo splendido esempio di capolavoro cinematografico non sono attriubuibili esclusivamente alle sue spiccate doti creative e visionarie, di cui già ci aveva dato prova nel suo precedente film Pi - Il terorema del delirio.La forza di questo film, tratto dal romanzo del '78 di Hubert Selby Jr (autore pulp, con problemi di dipendenza legati all'abuso di eroina) sta nella capacità di sfruttare l'argomento droga, per affrontare un 'analisi più completa sul tema della dipendenza( a prescindere dalla forma sotto cui questa si svilupppi)abbracciando poi il degrado di un'intera società alla deriva .La droga di per sè stessa è solo apparentemente l'elemento centrale del film, di fatti non verrà mai nominata il nome della sostanza che i protagonisti usano, si può solo supporre che sia eroina, anche se vi sono alcuni elementi che contraddicono fortemente questa ipotesi. Assistiamo ad esempio nei primi piani che ritraggono le pupille dei protagonisti dopo l'iniezione ad un fenomeno di midriasi (tipico delle sostanze eccitanti) e non di miosi.Ma come dicevamo pocanzi, a noi che sia eroina o metamfetamina poco importa perchè in realtà i veri demoni che attanagliano le vite dei protagonisti sono altri; sono la solitudine,la desolante frustrazione di vedere i propri sogni infrangersi nel vuoto , sono l'indifferenza e il degrado di un'intera società, di un sistema che li condurrà attraverso un macabro percorso di autodistruzione ad un progressivo ed alienante distacco dalla realtà e dalla vita.Le vicende narrate si svolgono a Coney Island e hanno come protagonista principale Harry(intepretato dal poliedrico Jared Leto) un giovane sconclusionato per cui la droga diventa un vero e proprio impiego a tempo pieno.Attorno alla figura di Henry ruotano quelle degli altri protagonisti, la fidanzata Maryon , una giovane spregiudicata, proveniente da una famiglia agiata di Manatthan, ma che in realtà sembra mantenere con essa rapporti di sola natura economica e il migliore amico Tyrone, giovane afro-americano, ossessionato dall'idea di arricchirsi.Diventare ricco non tanto per un bisogno di aderenza al sogno americano, ma poichè spinto da una necessità di colmare una sorta di problema irrisolto con la figura materna. Protagonista dell'altra macrostoria che si snoda dal personaggio di Henry e che in realtà sarà il fulcro di tutto il film è la madre di quest'ultimo, una donna rimasta sola dopo la morte del marito, incapace di accettare la desolazione del suo esistere e che di conseguenza ama rifugiarsi nel mondo patinato, ma sicuramente più confortante, offerto dalla televisioine, unica compagna di vita.Il film è diviso temporalmente e simbologicamente in tre parti corrispondenti alle tre stagioni estate, autunno e inverno.L'autunno, in inglese ''fall'' caduta, sarà il periodo in cui i protagonisti inizieranno ad incontrare le prime difficoltà ed a intravedere le prime avvisaglie di una quella fine catastrofica che preannunciavamo pocanzi.Durante l'estate Harry e Tyrone decidono di iniziare un attività di spaccio che permetta loro di procurarsi la droga senza troppe difficoltà, arrichendosi allo stesso tempo.Qui notiamo un aspetto ambivalente in Harry, che caratterizza la psiche di molto tossicodipendenti:il bisogno inconscio di una vita sana, di una rinuncia alla droga e alla dipendenza che il ragazzo spera si possa concretizzare con l'illusione di racimolare il denaro necessario ad aprire un negozio di abbigliamento con l'amata Maryon.E inizialmente le cose sembrano andare nel verso giusto per poi sprofondare improvvisamente in un vortice di distruzione e fallimenti che porterà i tre alla rovina: Tyrone in carcere, Henry all'amputazione del braccio a causa di un ascesso e Maryon a vendere il proprio corpo per mantenersi la droga.In realtà però questa non è la vera vicenda che inquieta e che annichilisce lo spettatore come ci si potrebbe aspettare.Sì perchè questo è un film carico di angoscia che disturba, che violenta l'anima dello spettatore, depredandolo di qualsiasi ottimismo e speranza nei confronti della vita. Sarà la vicenda della madre ad esplicitare il messaggio destabilizzante ed angosciante che Aronofsky vuole fare arrivare a chi sta dietro allo schermo ed osserva impotente.Madre che come dicevamo è assuefatta ad una vita fatta da poltrona, cioccolatini e televisione.Aronofsky è bravissimo a tradurre in immagini il potere alienante del mezzo televisivo, scandendo il tempo della donna atraverso l'accendersi e spegnersi frenetico del telecomando e con la ripetizione estenuante degli slogan ipnotici del presentatore televisivo.L'invito di partecipazione ad uno show in tv scuoterà l'anziana vedova da quello stato di torpore rinunciatario,illudendola per un attimo di avere ancora qualcosa per cui vivere,qualcosa per cui valga la fatica di alzarsi da letto la mattina .La donna verrà così presa dall'ossessione di apparire nel migliore dei modi e non potendo più vestire il suo miglior abito,un vestito da sera rosso(che diverrà poi il simbolo immaginifico della sua ossessione)a causa del sovrappeso deciderà di sottporsi ad una dieta.Così si affiderà ad un medico senza scrupoli che le prescriverà a sua insaputa delle anfetamine, delle quali abuserà inconsapevolmente.Anche quando verrà ammonita dal figlio sui problemi che possono derivare dall'uso di anfetamine la sentiremo rispondere come a volersi giustificare''ma adesso sono importante,adesso quando sono fuori al sole io sorrido'' .Si può notare dal tono avvilente della sua voce, che anch'essa si renda conto del disagio creato dalla sua dipendenza , ma che poco gli importi lo stesso, poichè fondamentalmente non ha nulla da perdere, non ha nient'altro che faccia da contraltare alla sua vita.Con questo dialogo angosciante fra madre e figlio ha inizio il climax di tensione e angoscia che avrà il suo fulcro con il ricovero in psichiatria della donna, completamente impazzita.L'intepretazione di Ellen Burstyn è veramente impressionante, struggente(candidata all'oscar, che poi purtroppo vincerà Julia Roberts con Erin Brockovic) e Arofonosky è superbo nell' amplificare la devastazione psichica della donna attraverso ad un ritmo incalzante dato da un montaggio ipercinetico ed dallo splendido e tenebroso tema sonoro ''lux aeterna'', tema che non poteva essere più calzante.La colonna sonora è curata infatti dall'inseparabile Colin Mansel.Tutto in questo film sembra essere ridisegnato ad arte per disturbare creando così quel clima d'angoscia: la fotografia surreale, straniata grazie all'utilizzo di filtri sporchi o seppiati, le immagini , i suoni distorti e le animazioni di forte impatto visivo a descrivere le fasi allucinatorie dei protagonisti,il montaggio convulso e frenetico, la telecamera fissata ad arte sulle spalle degli attori in alcune scene.Ma forse la cosa che lascia più sgomenti, che atterisce e che ti riempe le viscere di quel senso di malessere che anche alla fine del film sembra non volersene più andare, è dovuta quel senso di ''indifferenza'' di cui trasuda l'intera pellicola : l'indifferenza dei personaggi secondari in particolare, medici , poliziotti, le stesse amiche della donna a tratti, che sembrano assistere al declino dei protagonisti con assoluto freddezza e disinteresse, anzi forse anche con un pizzico di meschino sadismo .Questo indifferenza si fa così insopportabile agli occhi dello spettatore perchè è quantomai vera e riscontrabile anche nel mondo reale. e che anzi, sembra ormai palesarsi come elemento contraddistinguibile di una società alla deriva e sempre più alienata da sè stessa.
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evildevin87
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domenica 13 ottobre 2013
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bellissimo e devastante
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Darren Aronofsky fa di tutto per farti affezionare a dei personaggi che, come si può intuire già fin dall'inizio, incorreranno in un crudele destino e che vedranno non solo i propri sogni in frantumi, ma le loro stesse vite alla completa rovina. E ci riesce dannatamente bene. Quello che ne fuori esce nel complesso è un film devastante, crudo e toccante, io sinceramente non avrei mai pensato che un film potesse arrivare a tali livelli di drammaticità (nota personale, sono arrivato alla fine del film che stavo male da quanto è tragica questa pellicola). E' tutto ingiusto, i personaggi si ritrovano da soli nella propria sofferenza e il mondo che li circonda è freddo e indifferente nei loro confronti (anche se in maniera esagerata e quasi irreale).
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Darren Aronofsky fa di tutto per farti affezionare a dei personaggi che, come si può intuire già fin dall'inizio, incorreranno in un crudele destino e che vedranno non solo i propri sogni in frantumi, ma le loro stesse vite alla completa rovina. E ci riesce dannatamente bene. Quello che ne fuori esce nel complesso è un film devastante, crudo e toccante, io sinceramente non avrei mai pensato che un film potesse arrivare a tali livelli di drammaticità (nota personale, sono arrivato alla fine del film che stavo male da quanto è tragica questa pellicola). E' tutto ingiusto, i personaggi si ritrovano da soli nella propria sofferenza e il mondo che li circonda è freddo e indifferente nei loro confronti (anche se in maniera esagerata e quasi irreale). E tu che guardi il film, ti ritrovi assorbito da esso e soffri con loro. In special modo per Sara (interpretata da un eccelsa Ellen Burstyn), totalmente indifesa, passiva e nel pallone più completo a causa delle anfetamine. In conclusione, un capolavoro, da tutti i punti di vista. Una dura e cruda denuncia nei confronti non tanto della droga e della televisione, ma di qualsiasi dipendenza. E' un film che shocka e coinvolge lo spettatore, che fa riflettere su tanti aspetti della società e perfetto sotto ogni aspetto tecnico (regia, recitazione, effetti speciali, ecc.). E, infine, un plauso all'eccezionale colonna sonora di Clint Mansell (il cui titolo originale sarebbe Lux Aeterna, dai più ora conosciuta col titolo del film).
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luke_90
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sabato 22 settembre 2012
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un pugno nello stomaco
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Tutto sommato un film da vedere, ben strutturato e sicuramente di carattere, come del resto quasi tutti i film di Aronofsky. La sceneggiatura è semplice ma non lascia nulla in sospeso. Non sono necessari milioni di colpi di scena, per fare un buon film bastano pochi avvenimenti intensi, che si stampino in modo indelebile nella mente dello spettatore. Da apprezzare la decisione di dividere le vicende in tre parti. Geniale il paragone con le stagioni e la mancanza della primavera, intesa come speranza e rinascita. Per il resto la storia ha un andamento centrifugo. Inizialmente i personaggi sono convergenti verso un unico punto, più avanti divergono e si separano, per finire tutti in reltà diverse (ma in modo simile).
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Tutto sommato un film da vedere, ben strutturato e sicuramente di carattere, come del resto quasi tutti i film di Aronofsky. La sceneggiatura è semplice ma non lascia nulla in sospeso. Non sono necessari milioni di colpi di scena, per fare un buon film bastano pochi avvenimenti intensi, che si stampino in modo indelebile nella mente dello spettatore. Da apprezzare la decisione di dividere le vicende in tre parti. Geniale il paragone con le stagioni e la mancanza della primavera, intesa come speranza e rinascita. Per il resto la storia ha un andamento centrifugo. Inizialmente i personaggi sono convergenti verso un unico punto, più avanti divergono e si separano, per finire tutti in reltà diverse (ma in modo simile).
Certo non è un film da prendere alla leggera, tanto per la drammaticità quanto per il ricorso a tecniche di regia decisamente insolite. Forse è un bene ci sia ancora qualcuno che sperimenti e si metta alla prova, però, effettivamente, alcune trovate possono risultare pesanti allo spettatore. E' vero che l'intenzione era quella di rappresentare il mondo della droga "dall'interno" ma alcune riprese distorte, accelerate, psichedeliche possono rendere scarsamente digeribile l'intera pellicola.
Assolutamente soddisfacente la recitazione, da sottolineare i ruoli di Harry Goldfarb (Jared Leto) che Marion Silver (Jennifer Connelly). Nel primo caso il ruolo sembra cucito su misura per l'attore, non sbaglia un battito di ciglia, probabilmente il suo ruolo più riuscito. Il carisma di Jennifer Connelly, invece, crea un personaggio femminile di rara bellezza: profondo, complesso, indescrivibilmente intricato.
Sicuramente da citare anche la colonna sonora, perfetta, calza a pennello con il film.
Per cui un film che consiglio di vedere, se non altro per capire la forza espressiva di cui è capace questo regista. Certamente non un filmetto per passare il tempo, se vi piace il genere drammatico questo è decisamente pane per i vostri denti.
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(di elia andreotti)
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sylya
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lunedì 28 gennaio 2013
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magistrale..solo per metà
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Forse perchè me ne hanno parlato in molti e a lungo come un film davvero bello e davvero commovente, davvero intenso, mi sono preparata psicologicamente fin troppo per affrontarlo, ed un po' mi ha delusa. La parte della storia che interessa Jared Leto e la compagna di lui, nel film, eccezion fatta per il pezzo iniziale, quello della tv, a mio parere è banale, davvero poco approfondita, e non aggiunge nulla a tutto quello che già sappiamo tutti sulla tossicodipendenza.
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Forse perchè me ne hanno parlato in molti e a lungo come un film davvero bello e davvero commovente, davvero intenso, mi sono preparata psicologicamente fin troppo per affrontarlo, ed un po' mi ha delusa. La parte della storia che interessa Jared Leto e la compagna di lui, nel film, eccezion fatta per il pezzo iniziale, quello della tv, a mio parere è banale, davvero poco approfondita, e non aggiunge nulla a tutto quello che già sappiamo tutti sulla tossicodipendenza. Nel guardare quella parte di film, si avverte una trama debole, che più che altro fa leva su delle scelte registiche interessanti ed originali, come le immagini ripetute e mostrate rapidamente una dopo l'altra, che indubbiamente riescono a dare al tutto un tono suggestivo, e tuttavia non possono certo sostituire la storia in sè. La parte relativa, invece, alla madre del protagonista, l'ho trovata interessante, ben fatta, intensa, originale e drammaticamente efficace: ci troviamo ad osservare un aspetto della tossicodipendenza che, per quel che mi riguarda, non mi risulta sia mai stato esplorato in modo così forte e con questi colori, parallelamente al sentimento di solitudine che porta con sè non solo questo tipo di disturbo, ma la stessa vecchiaia, oltre che alcuni aspetti della tecnologia e comunicazione. Mi è sembrato davvero magistrale. Ma solo quella parte. Nel complesso, è un film da vedere, indubbiamente, ma non rientra di certo tra i migliori film che abbia visto fino ad ora, nè tra i più drammatici.
Se avessero approfondito e reso meno banale la parte di lui, sarebbe stato di sicuro migliore.
Darei due stelline e mezza.
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(di dpiktor)
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wetman
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sabato 12 aprile 2014
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estate. autunno. inverno
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"Requiem for a dream" è sicuramente un film che rimarrà negli albi della storia del cinema, nonostante sia stato poco pubblicizzato. Il film racconta di vari personaggi che possono rappresentare il degrado di due diverse generazioni. La vecchia madre del protagonista rappresenta, infatti, l'oramai grosso e dilagante problema della televisione, la quale diventerà poi l'unica ragione di vita della donna fino a farla arrivare alla pazzia e alla "morte spirituale". Suo figlio, interpretato da un magistrale Jared Leto, insieme alla propria ragazza e al suo amico Tyrone, cercherà di fare un immenso mucchio di soldi con una serie di spacci di una rara e preziosa droga.
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"Requiem for a dream" è sicuramente un film che rimarrà negli albi della storia del cinema, nonostante sia stato poco pubblicizzato. Il film racconta di vari personaggi che possono rappresentare il degrado di due diverse generazioni. La vecchia madre del protagonista rappresenta, infatti, l'oramai grosso e dilagante problema della televisione, la quale diventerà poi l'unica ragione di vita della donna fino a farla arrivare alla pazzia e alla "morte spirituale". Suo figlio, interpretato da un magistrale Jared Leto, insieme alla propria ragazza e al suo amico Tyrone, cercherà di fare un immenso mucchio di soldi con una serie di spacci di una rara e preziosa droga. La cosa degenererà quando la droga verrà tolta dal giro e diverrà un'impresa per i nostri protagonisti procurarsela. Il film è diviso in tre parti: "Summer", l'estate, il momento in cui i protagonisti sembrano inarrestabili, la vecchia donna è stata chiamata in TV e si prepara per l'evento, i ragazzi cominciano il giro di spacci facendo tantissimi soldi; "Fall", l'autunno, gioco di parole perchè in inglese la parola "fall" vuol dire anche caduta, in cui comincia il declino dei protagonisti; e per ultimo "Winter", dove arriveremo all'apice del film, in cui i protagonisti arrivano ad autodistruggersi. Il film ha un'ottima regia, una sceneggiatura da brivido, degli attori veramente magnifici il tutto compensato dalla musica azzeccatissima. L'unica "pecca" è forse che non è un film molto digeribile da chi ha altri pensieri per la testa o per chi è un tipo impressionabile.
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