taniamarina
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mercoledì 13 maggio 2009
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abbiamo davvero afferrato lo spielberg pensiero?
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Le scene iniziali sono da voltastomaco rese reali da una regia impietosa e lucida, girate con cineprese che imitano le pellicole della seconda guerra mondiale. Tom Hanks è davvero grande e i suoni di guerra mettono davvero angoscia. Lo sbarco in Normandia è memorabile come anche il susseguirsi della trama che, se da un lato sembrerebbe essere troppo moralistica, dall'altro fa sorgere un dubbio: abbiamo davvero compreso questo film? Ho impressione che Spielberg ci abbia voluto dire soltanto una cosa: la questione non è se salvare un soldato o lascarlo in guerra, piuttosto se la guerra stessa, dopotutto, è un concetto da salvare o meno. Bellissimo film
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jacopo b98
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lunedì 23 dicembre 2013
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un film di guerra di grande realismo
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Un reduce (Young), in visita a un cimitero di guerra, ricorda di quando, da giovane (interpretato da Matt Damon) aveva combattuto la guerra e, a causa della morte sul campo di tutti i suoi tre fratelli, era stato rimandato indietro, a casa. senza però poter evitare la morte di quasi tutti i membri della compagnia mandata a cercarlo. Scritto da Robert Rodat, è un filmone di guerra ad alto costo. Il più grande pregio del film è lo sconvolgente realismo con cui viene descritta la battaglia e la guerra: la scena dello sbarco in Normandia è da antologia del cinema, per il crudo realismo con cui è messa in scena. Ho voluto che lo spettatore immaginasse cosa voleva dire trovarsi lì: ho voluto riprodurre la violenza, il suono, persino l’odore di una vera battaglia (S.
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Un reduce (Young), in visita a un cimitero di guerra, ricorda di quando, da giovane (interpretato da Matt Damon) aveva combattuto la guerra e, a causa della morte sul campo di tutti i suoi tre fratelli, era stato rimandato indietro, a casa. senza però poter evitare la morte di quasi tutti i membri della compagnia mandata a cercarlo. Scritto da Robert Rodat, è un filmone di guerra ad alto costo. Il più grande pregio del film è lo sconvolgente realismo con cui viene descritta la battaglia e la guerra: la scena dello sbarco in Normandia è da antologia del cinema, per il crudo realismo con cui è messa in scena. Ho voluto che lo spettatore immaginasse cosa voleva dire trovarsi lì: ho voluto riprodurre la violenza, il suono, persino l’odore di una vera battaglia (S. Spielberg). Ed è innegabile la grande maestria con cui il regista ha messo in scena un paese devastato dalla guerra e dalle violenze. Film violento, crudo e, oserei dire, in certe sequenze un po’ insistito, ma mai esagerato. Si divide in tre atti: lo sbarco (oltre venticinque minuti), la caccia a Ryan, e la battaglia finale nel villaggio. Che senso ha mettere a rischio la vita di tanti uomini per salvarne uno? Si domandano i soldati ed è il quesito attorno a cui gira attorno il film: esemplare è la scena dell’attacco al ricevitore, in cui Wide (Ribisi) perde la vita, perché non aggirare la torretta? Perché lo scopo è vincere la guerra. Tuttavia la retorica non manca e un certo sentimentalismo è innegabile. La più grande caduta del film risiede nell’inserire il tutto all’interno di un flashback di Ryan, cosa inutile e di un buonismo contrastante con la cruda drammaticità del film. Visivamente grandioso, con un impianto scenografico di grande impatto, magistralmente fotografato da Janusz Kaminski. Hanks, nella parte del capitano Miller è grandioso, ma anche gli altri interpreti lasciano il segno. Cinque Oscar: regia, fotografia, montaggio, suono, montaggio del suono.
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luigi chierico
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giovedì 5 giugno 2014
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è nobil prender l’armi….
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Uno dei tanti film sulla seconda Guerra mondiale che ha mietuto oltre 70 milioni di persone tra civili e militari.Ovviamente un film per e con solo uomini, soldati o ufficiali,con tutte le armi,i mezzi di guerra e tamto, tanto sangue. Qui capita ad un apitano di comandare la sua compagnia.Tom Hanks ricopre benissimo la parte del cap.Miller.Non possiamo che assistere per circa tre ore (le guerre non sono brevi)a furibonde battaglie, a perdite di giovani vite lontano dalle loro case,in una terra che a stento coprirà ciò che resta dei loro corpi martoriati. Dal testo:”Quel che avvenne dopo parve una febbricitante delirio,mentre i vivi si muovevano tra i morti,sentendosi improvvisamente svuotati di ogni energia”.
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Uno dei tanti film sulla seconda Guerra mondiale che ha mietuto oltre 70 milioni di persone tra civili e militari.Ovviamente un film per e con solo uomini, soldati o ufficiali,con tutte le armi,i mezzi di guerra e tamto, tanto sangue. Qui capita ad un apitano di comandare la sua compagnia.Tom Hanks ricopre benissimo la parte del cap.Miller.Non possiamo che assistere per circa tre ore (le guerre non sono brevi)a furibonde battaglie, a perdite di giovani vite lontano dalle loro case,in una terra che a stento coprirà ciò che resta dei loro corpi martoriati. Dal testo:”Quel che avvenne dopo parve una febbricitante delirio,mentre i vivi si muovevano tra i morti,sentendosi improvvisamente svuotati di ogni energia”.“Lungo la battigia si vedevano galleggiare cadaveri...urtando l’uno contro l’altro”.Si dirà:la guerra è guerra,la guerre c’est la guerre, visto che la storia si svolge durante lo sbarco in Normandia. Che assurda giustificazione. Purtroppo alla guerra ci si arriva per la provocazione e prevaricazione di un solo uomo, generalmente. C’è sempre un capo che decide e comanda: armiamoci e partite, morite per la Patria,il mio ideale sia anche il vostro. Guerra santa,di confini,di dominio,di conquista,di rivoluzione di indipendenza,di secessione.Il film mostra quindi sino in fondo le atrocità della guerra,nelle battaglie, come nelle ritirate, negli attacchi, come in difesa.La morte non fa distinzione di età, di nazionalità, di grado e divisa, e neanche di colore, ignora la parola xenofobia. Sotto questo profilo il film si lascia apprezzare per tutto il suo realismo, per i sentimenti che accomunano tutti coloro che mettono a repentaglio la propria vita, spesso per nulla,vedi “L’arpa birmana” o in “Sogni” l’episodio del comandante superstite che torna a casa dopo aver mandato a morire la sua compagnia.L’interpretazione di tutti,nessuno escluso,è in riga col film, spiccano,ovviamente,le 2 figure principali del citato Tom Hanks e quella di Matt Damon, nella parte di James Francis Ryan. La colonna sonora, tra tante bombe, esplosioni,rovine, polvere e fumo, ha trovato posto, qualche disco ascoltato da un palazzo in rovina e fatto ascoltare ai propri compagni. Gli effetti, la fotografia non sono eccellenti, tuttavia nel contesto giustificano l’oscar.
Sebbene quindi il film tratti un episodio dell’ultima guerra, quasi a voler trovare almeno un lato umano, in tanta disumanità, si inserisce uno gesto di generosa pietà. Il Capo di stato maggiore dell'esercito, il generale George C. Marshall apprende che la famiglia Ryan ha già perso 3 figli in guerra e quindi sente lo scrupolo di restituire vivo almeno il figlio James Francis, che è impegnato proprio nello sbarco in Normandia. Questa è la motivazione che si dà al film, come all’omonimo libro di Max Allan Collins. In un conflitto che è costata la vita ad oltre 70 milioni di persone, che provocò circa 60.175 morti il 6 agosto 1945 alle 8:16 e 8 secondi, con il lancio della prima bomba atomica su Hiroshima, non può trovare scrupolo nel comando dato dal Capo di Stato Maggiore “Salvate il soldato James Francis Ryan”. Un comando che può mandare altri uomini alla morte, al suicidio, senza ottenere il ritorno in famiglia del soldato, oramai fratello dei suoi commilitoni e figlio del suo comandante. Sotto questo aspetto il film non può essere considerato un capolavoro, pur ricevendo il giudizio di ottimo per la sua realizzazione affidata al noto e bravissimo regista Steven Spielberg.chibar22@libero.it
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aristoteles
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domenica 23 agosto 2015
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profumo di morte
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La scena,lunga,dello sbarco è una delle più cruente,realistiche,toccanti mai viste sulle scene.
Grida allucinanti,confusione,stordimento,braccia e fegati spappolati,sembra di stare veramente su un campo di battaglia.
Qualche spettatore più delicato potrebbe anche sentirsi male.
Dopo questa scena si ritorna a dinamiche visive più soft,più consuete.
Si respira aria di morte costantemente,qualcuno si salva,qualcuno no.
La guerra,infatti, è morte, ed il film riesce benissimo a rappresentare questa realtà anche non brillando in originalità dopo i primi ,sopracitati, quindici minuti.
Anche l'immenso cimitero di croci bianche ci ricorda le vite spezzate di tanti uomini.
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La scena,lunga,dello sbarco è una delle più cruente,realistiche,toccanti mai viste sulle scene.
Grida allucinanti,confusione,stordimento,braccia e fegati spappolati,sembra di stare veramente su un campo di battaglia.
Qualche spettatore più delicato potrebbe anche sentirsi male.
Dopo questa scena si ritorna a dinamiche visive più soft,più consuete.
Si respira aria di morte costantemente,qualcuno si salva,qualcuno no.
La guerra,infatti, è morte, ed il film riesce benissimo a rappresentare questa realtà anche non brillando in originalità dopo i primi ,sopracitati, quindici minuti.
Anche l'immenso cimitero di croci bianche ci ricorda le vite spezzate di tanti uomini.
Tom Hanks è un grande attore e lo dimostra anche in questo caso,e complessivamente tutto il cast è formato da attori che ,in seguito,sono diventati famosi.
Un bel film.
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johngarfield
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mercoledì 14 settembre 2011
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un pò di cuore e un pò di cervello
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I film di guerra, in generale, tendono ad amplificare al massimo gli effetti visivi propri del genere e passare in secondo piano l’elemento psicologico, lo studio dei personaggi, privilegiando tipologie scarne, approssimative, proprio per dare il massimo risalto all’azione bellica.
In certi casi, i migliori, assistiamo però a un equilibrio convincente tra questi due piani.
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I film di guerra, in generale, tendono ad amplificare al massimo gli effetti visivi propri del genere e passare in secondo piano l’elemento psicologico, lo studio dei personaggi, privilegiando tipologie scarne, approssimative, proprio per dare il massimo risalto all’azione bellica.
In certi casi, i migliori, assistiamo però a un equilibrio convincente tra questi due piani. I protagonisti sono spesso descritti con accuratezza e le azioni intraprese sono frutto di decisioni sofferte, spesso coraggiose, a volte temerarie. L’aspetto psicologico è fondamentale per dare spessore alla caratura del protagonista: le sue debolezze, le sue certezze, le sue qualità e i suoi difetti aiutano a capire le sue decisioni e danno credibilità al film.
La cinematografia americana è piena zeppa di esempi di film bellici in cui lo scopo principale è la propaganda del buon soldato americano invincibile ed onesto. Nella filmografia anni 40 e 50 l’impegno bellico era giustificato da ragioni morali (la reazione giusta al proditorio attacco a Pearl Harbor, la guerra giusta contro l’Asse malvagio, la minaccia comunista, ecc.) e il pubblico era accontentato con facili prodotti di consumo e incoraggiato con chiari e a volte sfumati richiami all’impegno sul Fronte Interno per sostenere i propri ragazzi.
Poi, dopo la sbornia retorica, il cinema cominciò a ragionare un po’ di più e a sfornare prodotti sempre meno propagandistici e sempre più critici. L’esempio di APOCALYPSE NOW è cruciale. Il soldato americano non era più il bravo, onesto, bello ed invincibile G.I che lottava per un mondo più giusto, ma spesso diventava una creatura cinica e perversa. Oppure, la guerra era rappresentata in modo crudo, realistico, senza distinzioni fra buoni e cattivi.
Nel caso in esame, (si tratta di una storia vera, anche se i nomi sono stati cambiati), il protagonista è un ufficiale di complemento, appartenente ai Rangers (notoriamente unità chiamate a svolgere compiti di particolare difficoltà), che nella vita civile è professore di letteratura. Gli tocca, dopo essere scampato a stento al carnaio della spiaggia normanna denominata Omaha nel corso del D-Day, una missione umanitaria: trovare l’ultimo dei fratelli Ryan, dopo che questi sono stati uccisi in combattimento. Questo tipo particolare di missione, in teoria non bellica, si risolve tragicamente, ma positivamente per il fratello sopravvissuto.
La scelta di affrontare la storia partendo dai ricordi dell’ultimo dei fratelli Ryan, tornato dopo decenni a Omaha Beach davanti alla tomba del capitano Miller, si rivela, a mio avviso, efficace sia dal punto di vista emotivo sia da quello narrativo. Il primo rilievo che mi sento di fare, a questo proposito, è lo scarto del punto di vista del protagonista e cioè di Ryan, che non si trovava con Miller a Omaha e quindi non poteva vedere quel che succedeva al secondo battaglione Rangers e tutto ciò che ne seguiva fino al momento dell’incontro fra Miller e Ryan nel villaggio francese (Ramelle) che sarebbe stato teatro della battaglia e che sarebbe costato la vita al capitano.
Altri rilievi riguardano errori gravi come quello del campanile di Ramelle (era uno dei primi bersagli delle artiglierie: mai sarebbe stato risparmiato), dell’uso dei Tigre (questi tanks non furono usati in Normandia che contro gli inglesi, lontano da Ramelle), la Panzer Division SS “Das Reich” non fu impiegata in Normandia che a fine giugno 1944 e altri.
Ma non è questo che conta, in realtà. Quello che veramente importa è la valutazione globale. Ma credo che per arrivare a questa occorra parlare soprattutto di episodi. Io trovo che ci sono almeno due momenti in questo film che potremmo chiamare cinema vero, autentico. Il primo non è quello dello sbarco. E’ vero che si tratta di una delle scene più realistiche e magistralmente dirette di sempre, ma si tratta di abilità, di cura della perfezione. Quella che mi sembra invece far parte del “cinema immortale” è la scena in cui la madre dei tre fratelli riceve la visita da parte del militare e del prete per annunciarle la morte di tre dei suoi quattro figli in guerra. E’ una scena che solo un grande regista può realizzare: tutto è girato in una sola sequenza. La mdp che filma la madre di spalle, in cucina, e inquadra la finestra oltre la quale si vede una campagna verde e una strada. Un’automobile scura sopraggiunge e si arresta di fronte alla casa. La madre vede l’auto, esce dalla cucina e si avvia verso l’uscita. Quando vede scendere dall’auto il prete, la donna si arresta e poi si siede sul gradino interno, senza aver ancora aperto la porta. Ella ha capito. Noi abbiamo capito. Nessuno dice nulla, nessuna scenata, nessuna lacrima. Eppure sentiamo la tragedia che si abbatte su quella povera donna in tutto il suo ferale fragore. Questo è cinema a tutto tondo, signori!
Il secondo momento che è per me indimenticabile è a Ramelle. Il manipolo di soldati si appresta a cercare di contrastare il passaggio di unità nemiche ed impedire loro di congiungersi con il grosso dell’esercito che cerca di arrestare l’avanzata alleata.
Regna una calma quasi irreale. Si odono le note di una nota canzone di Edith Piaf. L’attesa viene ingannata in vari modi. Ryan racconta addirittura divertito un episodio avvenuto anni prima con i suoi fratelli. Ryan lo ascolta, prima serio, poi anch’egli contagiato dal candore di Ryan, accenna un sorriso. Il soldato che fa da interprete traduce parola per parola la canzone. Sembra quasi una normale scena di retrovia, dove la noia per l’inazione contagia un po’ tutti e il pensiero corre sempre alla vita da civili.
Poi, all’improvviso, comincia ad udirsi, in lontananza, il sinistro suono di tanks che si avvicinano. La dura realtà della guerra irrompe ed interrompe un’oasi falsa di tranquillità. L’attesa è spasmodica, i nostri occhi sono puntati verso l’imbocco della strada da cui, da un momento all’altro, spunteranno blindati, carri armati e fanteria decisi a tutto per attraversare il ponte. La sequenza indugia molto su quest’attesa e questo la rende ancora più febbrile e credibile. Il contrasto tra vita (racconti di gioventù, canzoni, giochi ecc.) e morte (l’arrivo delle macchine da guerra) è magistralmente rappresentato.
Si può discutere su tutto, accusare il regista dei soliti cliché filo-americani, di avere fatto del manicheismo d’accatto, di avere compiuto tanti errori. A me pare che l’ideologia non dovrebbe mai condizionare l’esame critico di un’opera, sia essa un film, o un saggio storico o un romanzo. Tanto più che in questo film non ci sono né buoni né cattivi, se escludiamo il personaggio di Tom Hanks. Per il resto, gli americani non sono né belli, né bravi. Sono semplicemente soldati che vincono, perché la storia dice che hanno vinto loro. Pure tra loro ci sono vigliacchi, sbruffoni, fanatici e sempliciotti. Ma come in tutti gli eserciti ci sono anche piccoli e grandi eroi, magari quotidiani, magari sconosciuti, ma pur sempre eroi. La storia la scrivono i vinti, è vero ed è anche vero, come scriveva Eschilo circa tremila anni fa, che “in guerra, la prima vittima è la verità”; ma al di là delle azioni belliche, degli effetti speciali, del finale da “arrivano i nostri” che rovina un po’ l’incanto, resta l’impressione di trovarci di fronte a qualcosa di definitivo, a un equilibrio quasi magico fra ragioni di spettacolo e ragioni di “cervello”. Credo che ci sia qualcosa di più di una semplice operazione commerciale di successo. Credo che ci sia una certa porzione di cuore e di cervello che sarebbe ingiusto non tenere in considerazione. Al di là dell’ideologia e della facile liquidazione di tutto ciò che a priori non piace.
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andystat
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giovedì 15 agosto 2013
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particolare contro universale
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I primi venti minuti del film sono molto riusciti, ancor più se si ha la fortuna di vederlo proiettato in un grande schermo e con un apparato di riproduzione del suono all’altezza degli sforzi che probabilmente sono stati fatti per riprodurre il rumore delle onde, dei proiettili, delle bombe. Questa prima parte, molto serrata e priva di fronzoli, getta lo spettatore come dentro un incubo, l’incubo di essere in guerra, di essere in mezzo all’inferno creato dagli stessi uomini e dalla loro follia. Questa fase del film, completamente destrutturata, è un susseguirsi e un intrecciarsi di urla, piombo, acqua di mare, freddo, morti, mutilazioni, sangue. La narrazione è completamente assente, e sembra davvero che, quasi per incanto, la macchina da presa o un occhio magico, si siano trovati a svolazzare attraverso le navi e le trincee della Normandia in quel momento fatidico del 1944 e abbiano catturato istantanee di questa carneficina, dove l’ideologia, la razionalità, il pensiero sono cancellati, e resta solo l’inferno, un inferno senza basi o giustificazioni.
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I primi venti minuti del film sono molto riusciti, ancor più se si ha la fortuna di vederlo proiettato in un grande schermo e con un apparato di riproduzione del suono all’altezza degli sforzi che probabilmente sono stati fatti per riprodurre il rumore delle onde, dei proiettili, delle bombe. Questa prima parte, molto serrata e priva di fronzoli, getta lo spettatore come dentro un incubo, l’incubo di essere in guerra, di essere in mezzo all’inferno creato dagli stessi uomini e dalla loro follia. Questa fase del film, completamente destrutturata, è un susseguirsi e un intrecciarsi di urla, piombo, acqua di mare, freddo, morti, mutilazioni, sangue. La narrazione è completamente assente, e sembra davvero che, quasi per incanto, la macchina da presa o un occhio magico, si siano trovati a svolazzare attraverso le navi e le trincee della Normandia in quel momento fatidico del 1944 e abbiano catturato istantanee di questa carneficina, dove l’ideologia, la razionalità, il pensiero sono cancellati, e resta solo l’inferno, un inferno senza basi o giustificazioni.
A partire dal momento in cui i soldati conquistano la prima postazione tedesca, tuttavia, la magia finisce. A questo punto il film entra nei binari dell’ordinarietà, e seppure tecnicamente ben congegnato, diviene qualcosa di piuttosto scontato e retorico.
Benché non sempre sia legittimo paragonare un’opera a un’altra, voglio qui accostare questo film di Spielberg a uno girato circa quindici anni prima, Full Metal Jacket di Stanley Kubrick.
Diversi i momenti storici narrati: lo sbarco delle truppe americane in Normandia nel primo caso e l’addestramento e il successivo arrivo in Vietnam di un soldato nel secondo. Si tratta di due interventi degli Stati Uniti in conflitti lontani, ma che hanno avuto un ben diverso esito e sono ricordati dagli stessi americani in due modi ben differenti. La Seconda Guerra mondiale ha visto gli USA vittoriosi ma non solo: tutto il mondo riconosce che soprattutto grazie agli americani l’Europa non è divenuta un impero tedesco in cui le più assurde discriminazioni razziali avrebbero predominato decretando la fine, nel vecchio continente, della cultura della democrazia e della razionalità. La guerra in Vietnam, al contrario, è stata per gli Usa non solo una disfatta, ma una vergogna.
Perché, tra tutte le guerre che Spielberg poteva rappresentare, la scelta è caduta sulla più gloriosa per gli americani? E perché tra tutte le guerre che Kubrick poteva rappresentare, ha scelto la più vergognosa per gli americani?
Mentre il film di Kubrick analizza lucidamente attraverso una vicenda di guerra un aspetto universale della natura umana (e qui sta l’essenza della sua arte, ma di tutta l’arte), Spielberg tesse le lodi dell’eroismo che avrebbe in particolare caratterizzato quel particolare evento storico che è stato lo sbarco americano in Normandia nel 1944.
È un peccato che un film il cui inizio è così impeccabile si sia perso poi nei fumi della retorica. Forse per uno come Spielberg trarre le dovute conseguenze da quelle premesse sarebbe stato troppo arduo.
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great steven
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domenica 9 febbraio 2020
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tutti i soldati auspicano un ritorno a casa.
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SALVATE IL SOLDATO RYAN (USA, 1998). Diretto da Steven Spielberg. Interpretato da Tom Hanks, Edward Burns, Tom Sizemore, Matt Damon, Jeremy Davies, Giovanni Ribisi, Harve Presnell, Vin Diesel, Dennis Farina, Adam Goldberg, Barry Pepper
Il 6 giugno 1944 l’Esercito degli Stati Uniti sbarca ad Omaha Beach e porta a compimento l’operazione passata alla storia come il D-Day. Nel frattempo la signora Ryan, madre di quattro figli maschi tutti arruolati nell’Armata Suprema, tramite un telegramma, viene a sapere che tre di essi sono stati uccisi in combattimento, ma il quartogenito, James Francis Ryan, potrebbe essere ancora vivo in quanto è stato paracadutato in Normandia oltre le linee nemiche lo stesso giorno dell’invasione.
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SALVATE IL SOLDATO RYAN (USA, 1998). Diretto da Steven Spielberg. Interpretato da Tom Hanks, Edward Burns, Tom Sizemore, Matt Damon, Jeremy Davies, Giovanni Ribisi, Harve Presnell, Vin Diesel, Dennis Farina, Adam Goldberg, Barry Pepper
Il 6 giugno 1944 l’Esercito degli Stati Uniti sbarca ad Omaha Beach e porta a compimento l’operazione passata alla storia come il D-Day. Nel frattempo la signora Ryan, madre di quattro figli maschi tutti arruolati nell’Armata Suprema, tramite un telegramma, viene a sapere che tre di essi sono stati uccisi in combattimento, ma il quartogenito, James Francis Ryan, potrebbe essere ancora vivo in quanto è stato paracadutato in Normandia oltre le linee nemiche lo stesso giorno dell’invasione. Il capitano John Miller viene incaricato di una pericolosa missione speciale: trovare il soldato e portarlo a casa. Parte dunque coi suoi sei uomini, più un interprete, nel difficile viaggio di ricerca sul territorio francese. Durante la spedizione, i soldati ai suoi ordini mettono in discussione il compito ricevuto fin quasi al limite dell’insubordinazione, ponendosi agghiaccianti quesiti: perché rischiare la vita di otto persone per salvarne una sola? Ognuno dovrà cercare la propria risposta e fare del suo meglio in un’impresa in cui saranno premiati (sopravvivendo) solo coloro che sapranno offrire l’onore, la generosità e il coraggio. Dramma bellico in tre atti circondato da una convalidata cornice. Primo: lo sbarco in Normandia (esemplari i primi ventiquattro minuti, fin troppo acclamati, ma comunque da vedere e da sentire per la minuziosa ricostruzione della brutalità della guerra, combattuta non da eroi ma da uomini comuni). Secondo: la ricerca di Ryan. Qui il film si sostiene soprattutto di ingegnosi stereotipi, in particolar modo nella descrizione dei rapporti camerateschi fra i soldati, ma trova anche l’occasione di porre domande importanti senza l’assillo obbligatorio di risposte. Terzo: la battaglia nel paesino di Ramelle per salvare il ricercato e tenere un ponte; un compendio del war movie di matrice statunitense che rivela, insieme ad un ampio respiro, anche una sospetta ridondanza di temi e convenzioni che si confermano al di là dell’apparenza, irrobustiti loro malgrado dal ricorso frequente a riprese "a spalla" e agli effetti speciali. Se il suo merito maggiore consiste nel dimostrare che nella guerra non si ricerca la gloria in quanto la combatte gente di tutti i giorni che in tempo di pace pensa unicamente a mantenerla e vivere al meglio, l’opera pecca di retorica propagandistica quando perde l’occasione per riflettere sulla storia e sull’etica in favore di un messaggio piuttosto appesantito dall’ideologia interamente compresa nella prassi di Hollywood. Tant’è vero che i tedeschi rappresentano il nemico e la Francia è quasi vuota. Relativamente al 1998, Salvate il soldato Ryan è un film di guerra, mentre La sottile linea rossa è un film sulla guerra. Tuttavia numerosi espedienti narrativi funzionano e donano veridicità e riconoscibilità alla vicenda, dal tremore alle mani del capitano Miller (indicativo della paura su come finirà la missione e la consapevolezza non del tutto consolatoria che, per ogni uomo morto sotto i suoi ordini, se ne salvano dieci volte tanto) alle preghiere di Reiben ogniqualvolta si posiziona per mirare un bersaglio e sparare, alla lettera insanguinata di Caparzo che infine nessuno dei commilitoni riesce a far pervenire al destinatario. Un realismo spietato che non nasconde la rilevanza dell’impegno strutturale che sussiste dietro alla lavorazione né dimentica la lezione impartita, almeno a livello di suspense e credibilità, del kubrickiano Full Metal Jacket. Malgrado alcune forzature, il disegno psicologico del drappello militare protagonista lascia di stucco: ognuno con la faccia "giusta", gli interpreti tracciano un quadro di umanità nel contesto osceno e incrudelito dal conflitto, dal ruvido sergente Horvath all’impacciato caporale di quinto grado Upham, passando per i soldati semplici Mellish e Jackson, il soldato scelto Caparzo e l’infermiere Wade. Su una sceneggiatura di Robert Rodat, Spielberg realizza un apologo sul significato della libertà, a cui, pur nella stringente logica d’oltreoceano, le vite di coloro chiamati al servizio di leva vanno sacrificate all’altare della patria per riportare una pace remota alla quale non si può comunque tornare, ferma restando che è meglio optare per un futuro il più possibile sereno coi superstiti e le loro famiglie all’insegna dei successi affettivi da meritare dal momento che nulla è dato gratis. Due curiosità: in I sacrificati di Bataan (1945), John Wayne si chiama Rusty Ryan, ma è tenente; le grigie stelle e strisce che sventolano all’inizio e alla fine sono una citazione d’una foto di Mapplethorpe. 5 Oscar: regia, fotografia (Janusz Kaminski), suono (R. Judkins, G. Rydstom, G. Summers, A. Nelson), effetti speciali sonori (G. Rydstom, R. Hymns), montaggio (M. Kahn). Successo internazionale e terzo posto nella lista degli incassi sul mercato italiano nella stagione 1998-99.
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dqitos
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martedì 18 ottobre 2016
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forse un film dalle controversità che si può rivedere anche più
volte con le stesse tematiche probabile, difficile comprendene anche
talune dinamiche, con fulmini missili dal significato variopinto probabile,
l'inimportanze guerrigene e ciascun travisamento, quando si ha una missione, molte
persone si domandano quale senso abbia soccorrere il soldato
quando imperversano le battaglie quando nessuno ne comprende il motivo,
da quel tanto che aveva a quel tanto che ha, senza sapere come
aveva fatto allora e come ha fatto ora, perchè
sembra un senso tanto solitario quanto comune, save private ryan, una missione,
che tra tanta discordia e caos delle battaglie, chi aiuta chi, ritrova quell'ordine, forse
frutto di un malinteso, di un semplice fulmine dettato da madre natura,
o da un discorsetto di giocosità e ironico,
o forse la distrazione per il contingente us, o chissà
cosa, quando non si sa più se si è il soldato ryan o il missionario ecco il senso
e che sembra quasi delineare quel valore umano che ptriottico, film
comunque di piacevole spettacolo nonchè divertimento.
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forse un film dalle controversità che si può rivedere anche più
volte con le stesse tematiche probabile, difficile comprendene anche
talune dinamiche, con fulmini missili dal significato variopinto probabile,
l'inimportanze guerrigene e ciascun travisamento, quando si ha una missione, molte
persone si domandano quale senso abbia soccorrere il soldato
quando imperversano le battaglie quando nessuno ne comprende il motivo,
da quel tanto che aveva a quel tanto che ha, senza sapere come
aveva fatto allora e come ha fatto ora, perchè
sembra un senso tanto solitario quanto comune, save private ryan, una missione,
che tra tanta discordia e caos delle battaglie, chi aiuta chi, ritrova quell'ordine, forse
frutto di un malinteso, di un semplice fulmine dettato da madre natura,
o da un discorsetto di giocosità e ironico,
o forse la distrazione per il contingente us, o chissà
cosa, quando non si sa più se si è il soldato ryan o il missionario ecco il senso
e che sembra quasi delineare quel valore umano che ptriottico, film
comunque di piacevole spettacolo nonchè divertimento.
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leonardolucarelli
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lunedì 18 dicembre 2017
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spielberg, un nome una garanzia
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Salvate il soldato Ryan riesce nel suo intento di rappresentare le orridezze della guerra con un film dal grande impatto emotivo ma un po' lungo. Nonostante i primi 24 minuti magistrali dove lo spettatore è catapultato sulla spiaggia di Omaha durante lo sbarco degli alleati in Normandia, nonostante il film sia scritto molto bene e nonostante Tom Hanks nel ruolo del capitano Miller sia solamente favoloso, il film non è esente dai difetti. Difatti il film ha una durata eccessiva, 167 minuti, causata da alcune scene che potevano durare molto meno senza portare modifiche al prodotto finale e Timothy Hupman (Jeremy Davies) è un personaggio poco dinamico che non fa praticamente alcun cambiamento all'interno del film, rimanendo sempre il solito soldato impacciato che non ha mai vissuto la guerra in prima persona.
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Salvate il soldato Ryan riesce nel suo intento di rappresentare le orridezze della guerra con un film dal grande impatto emotivo ma un po' lungo. Nonostante i primi 24 minuti magistrali dove lo spettatore è catapultato sulla spiaggia di Omaha durante lo sbarco degli alleati in Normandia, nonostante il film sia scritto molto bene e nonostante Tom Hanks nel ruolo del capitano Miller sia solamente favoloso, il film non è esente dai difetti. Difatti il film ha una durata eccessiva, 167 minuti, causata da alcune scene che potevano durare molto meno senza portare modifiche al prodotto finale e Timothy Hupman (Jeremy Davies) è un personaggio poco dinamico che non fa praticamente alcun cambiamento all'interno del film, rimanendo sempre il solito soldato impacciato che non ha mai vissuto la guerra in prima persona. Altro difetto è l'espediente narrativo utilizzato, un grande flashback di Ryan per raccontare un viaggio dove non era presente. Da lodare invece sono invece la favolosa fotografia di Janusz Kaminski (che gli valse il suo secondo Oscar dopo quello vinto per Schindler's List, film sempre di Spielberg) e la maestosa regia di Spielber che riesce a farti vivere in prima persona l'orrore della guerra. Menzioni speciali vanno anche a personaggi secondari come Adrian Caparzo (Vin Diesel) o Irwin Wade (Giovanni Ribisi) che, nonostante sullo schermo si vedano per una durata minore rispetto agli altri membri dello squadrone, hanno il compito di reincarnare gli aspetti che rendono l'uomo vulnerabile quali l'amore e la paura della morte.
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gabrymalaka
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lunedì 6 aprile 2020
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il migliore film di guerra, in assoluto.
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Spielberg ha voluto scrivere una pagina di cinema che restasse nella storia e per farlo non poteva non scegliere l'evento più drammatico e allo stesso tempo decisivo, del secondo conflitto mondiale.
Pronti via, e si è già a bordo di una delle migliaia di imbarcazioni che presero parte all'operazione Overlord. Gli eventi dello sbarco sono raccontati in tutta la loro cruenza, con il sangue che colorerà l'acqua della costa di rosso e il sacrifico di tanti ragazzi che perirono sulla spiaggia di Omaha beach.
Il film prosegue, con il gruppo di uomini guidati da Tom Hanks che si mettono in marcia alla ricerca di Ryan. Spielgerg racconta anche i diversi combattimenti, come i corpo a corpo o le imboscate da cecchino.
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Spielberg ha voluto scrivere una pagina di cinema che restasse nella storia e per farlo non poteva non scegliere l'evento più drammatico e allo stesso tempo decisivo, del secondo conflitto mondiale.
Pronti via, e si è già a bordo di una delle migliaia di imbarcazioni che presero parte all'operazione Overlord. Gli eventi dello sbarco sono raccontati in tutta la loro cruenza, con il sangue che colorerà l'acqua della costa di rosso e il sacrifico di tanti ragazzi che perirono sulla spiaggia di Omaha beach.
Il film prosegue, con il gruppo di uomini guidati da Tom Hanks che si mettono in marcia alla ricerca di Ryan. Spielgerg racconta anche i diversi combattimenti, come i corpo a corpo o le imboscate da cecchino. Le scene piene di suspence, le ricostruzioni minuziose e il proseguio mai banale del film, fanno di questa pellicola l'icona del war movie.
Grazie zio Steven.
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