paolp78
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sabato 6 agosto 2022
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non solo azione
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Secondo film hollywoodiano del sovietico Andrej Končalovskij che si cimenta in un film d’azione con personaggi rudi e atmosfere aspre tra le nevi dell’Alaska, ma con anche la capacità di introdurre riflessioni impegnative per chi ha la capacità di coglierle.
Come classicamente avviene in opere di questo genere, anche questa pellicola presenta molte sequenze spettacolari, tecnicamente molto ben realizzate dall’autore sovietico, che ne fa risaltare il carattere fortemente adrenalinico, accontentando così il grande pubblico.
Oltre alle peripezie varie che caratterizzano i film di questo tipo, Končalovskij riesce a tratteggiare in modo molto interessante il personaggio del protagonista, un antieroe tutt’altro che accattivante, interpretato stupendamente da un grande Jon Voight, che grazie ad un efficacissimo trucco risulta perfetto per la parte.
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Secondo film hollywoodiano del sovietico Andrej Končalovskij che si cimenta in un film d’azione con personaggi rudi e atmosfere aspre tra le nevi dell’Alaska, ma con anche la capacità di introdurre riflessioni impegnative per chi ha la capacità di coglierle.
Come classicamente avviene in opere di questo genere, anche questa pellicola presenta molte sequenze spettacolari, tecnicamente molto ben realizzate dall’autore sovietico, che ne fa risaltare il carattere fortemente adrenalinico, accontentando così il grande pubblico.
Oltre alle peripezie varie che caratterizzano i film di questo tipo, Končalovskij riesce a tratteggiare in modo molto interessante il personaggio del protagonista, un antieroe tutt’altro che accattivante, interpretato stupendamente da un grande Jon Voight, che grazie ad un efficacissimo trucco risulta perfetto per la parte. Rispetto a film di questo tipo l’elemento distonico e più pregevole è proprio questo personaggio tanto distante dal classico protagonista dei film d’azione hollywoodiani; lo spettatore non è portato a simpatizzare per lui, tuttavia l’indagine psicologica, eseguita in modo da non prevaricare la parte spettacolare della trama, ne rivela gradualmente lati umani che a tratti lo rivalutano parzialmente, benché il personaggio resti irrimediabilmente un violento e irrecuperabile criminale.
La natura contraddittoria del protagonista, il fatto che la pellicola sia ambientati per larghi tratti su un treno e che in più di un’occasione il personaggio di Voight sia definito una bestia, mi ha richiamato alla mente “La bestia umana” di Zola e conseguentemente “L'angelo del male” di Renoir, col mitico Jean Gabin, che è stata per l’appunto la versione cinematografica più nota del romanzo di Zola.
Del resto del cast si ricordano Eric Roberts, che bene interpreta il co-protagonista un personaggio molto presente sullo schermo ma poco definito e non molto interessante, e Rebecca De Mornay resa quasi irriconoscibile dal forte trucco che le sporca il viso.
Convincente l’ambientazione carceraria, volutamente a tinte forti, della prima parte della pellicola.
La sceneggiatura, che presente non pochi punti deboli, prende le mosse da un soggetto di Akira Kurosawa.
Finale indimenticabile.
I titoli di coda sono preceduti da una citazione molto suggestiva del “Riccardo III” di Shakespeare che insiste sulla tematica della bestialità e della malvagità dell’essere umano.
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lunedì 25 febbraio 2019
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l'eterna lotta
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Gran film da divorare in due ore, per chi ha lo stomaco. Due grandi interpreti, come perfetto il resto del cast. Un altro grande capitolo dell'eterna lotta tra il bene e il male, tra istinto e ragione. Pathos dall'inizio fino... a 20 secondi dalla fine.
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antoniopagano
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martedì 6 febbraio 2018
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elicottero vs treno
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Andrej Koncalowskij riprende un soggetto di Akira Kurosawa e ne viene fuori un action movie con qualche pecca. Due detenuti, lo schizzato Manny (Jon Voight) ed il verboso Buck (Eric Roberts), evadono dal carcere di massima sicurezza di Stonehaven immerso nei ghiacci e nella bruma dell’Alaska. Quale mezzo migliore di un treno per allontanarsi il più possibile e in fretta? Del resto, sarà pur vero che un viaggio in treno è sempre un’evasione. Infatti i due montano clandestinamente su un treno formato da quattro locomotori diesel in composizione. Il diavolo ci mette la coda perché il macchinista, ignaro e sfortunato, viene colto da infarto: poco prima di morire aziona il freno di emergenza che, però, va in avaria.
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Andrej Koncalowskij riprende un soggetto di Akira Kurosawa e ne viene fuori un action movie con qualche pecca. Due detenuti, lo schizzato Manny (Jon Voight) ed il verboso Buck (Eric Roberts), evadono dal carcere di massima sicurezza di Stonehaven immerso nei ghiacci e nella bruma dell’Alaska. Quale mezzo migliore di un treno per allontanarsi il più possibile e in fretta? Del resto, sarà pur vero che un viaggio in treno è sempre un’evasione. Infatti i due montano clandestinamente su un treno formato da quattro locomotori diesel in composizione. Il diavolo ci mette la coda perché il macchinista, ignaro e sfortunato, viene colto da infarto: poco prima di morire aziona il freno di emergenza che, però, va in avaria. Il treno scappa via prendendo sempre più velocità. Non ci sono sistemi automatici di protezione della marcia e, comunque, i freni sono già saltati. La “centrale” può solo azionare scambi a distanza per istradare il treno ma non può fare nulla per fermarlo se non deviarlo verso un binario morto per farlo schiantare prima che faccia una strage. Naturalmente tutto ciò non impedisce al folle direttore del carcere Ranken (John P. Ryan) di dare la caccia in elicottero ai due evasi. Neve e nebbia dall’inizio alla fine. Insomma, siamo proprio nei guai.
I personaggi sono forzosamente caratterizzati e il loro stucchevole gergo da uomini duri è abusato (“Ho una gran voglia di spappolarti il cervello”, “Quello che non mi uccide mi rende forte”, “Il mondo non è più come una volta, amico”, “Tieni gli occhi bene aperti e chiudi il becco”, “Ho tutto il tempo che voglio”). Le inquadrature in campo lungo sono monotone. La fotografia è priva di luce, nelle riprese esterne, presumibilmente perché vorrebbe rappresentare una natura ostile e oppressiva e ci riesce, quasi una continuazione del carcere dal quale i due protagonisti sono riusciti ad evadere.
Il finale, in termini di tecnica ferroviaria, è piuttosto puerile. Infine, nell’ultima inquadratura compare una citazione di Shakespeare, peraltro spesa male: lo scambio di battute tra Lady Anne (“No beast so fierce but knows some touch of pity”) e Richard (“But I know none, and therefore am non beast”) nel Riccardo III scaturisce da personaggi molto più complessi coinvolti in tutt’altro tratteggio narrativo. Questo tentativo non riuscito di dare un “perché” alla storia aggiunge pochezza ad un film che non rilascia emozioni.
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nigatto
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lunedì 15 maggio 2017
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caccia all'uomo a qualsiasi costo
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«Anche la belva più feroce mostra un briciolo di pietà, ma io non ne ho alcuno, quindi non sono una belva»
E’ una citazione di William Shakespeare che il regista sovietico traduce in questo modo, in un breve dialogo tra i due protagonisti del film: «Sei una bestia, NO!!! un essere umano che è molto peggio…
Un’evasione rocambolesca da un carcere di massima sicurezza che si conclude su un treno in fuga, senza macchinista, tra i ghiacci e il freddo polare dell’Alaska.
Sulle tracce dei fuggitivi si mette il direttore del carcere, persona ostinata e restia a qualsiasi programma di recupero dei detenuti.
Le scenografie sono il punto di forza di questo film che assicura emozioni e suspense.
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«Anche la belva più feroce mostra un briciolo di pietà, ma io non ne ho alcuno, quindi non sono una belva»
E’ una citazione di William Shakespeare che il regista sovietico traduce in questo modo, in un breve dialogo tra i due protagonisti del film: «Sei una bestia, NO!!! un essere umano che è molto peggio…
Un’evasione rocambolesca da un carcere di massima sicurezza che si conclude su un treno in fuga, senza macchinista, tra i ghiacci e il freddo polare dell’Alaska.
Sulle tracce dei fuggitivi si mette il direttore del carcere, persona ostinata e restia a qualsiasi programma di recupero dei detenuti.
Le scenografie sono il punto di forza di questo film che assicura emozioni e suspense.
Finale tutto da gustare…
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(di s.moon)
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gustibus
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martedì 2 maggio 2017
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inferno e liberta' di vivere
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Sicuramente "Runaway train" il titolo originale..e'un pugno nello stomaco..Sinceramente non si puo'tifare per il direttore del carcere in alaska.. Peggio di una iena..pero'non si puo'applaudire per delinquenti che hanno decine di anni di prigione...e la fine del film non mette d'accordo niente di tutto questo.Da unao scritto di Akira Kurosawa esce questo bellissimo racconto di lotta nel profondo dell'anima..una lotta di cattivi che porta ad applaudire Manny..un bravissimo jon voight meritevole di oscar!..Film che col passare dei minuti diventa di un intensita'che coinvolge merito del regista..Visione molto impegnativa eh! Qui non si "pettinano le bambole".
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Sicuramente "Runaway train" il titolo originale..e'un pugno nello stomaco..Sinceramente non si puo'tifare per il direttore del carcere in alaska.. Peggio di una iena..pero'non si puo'applaudire per delinquenti che hanno decine di anni di prigione...e la fine del film non mette d'accordo niente di tutto questo.Da unao scritto di Akira Kurosawa esce questo bellissimo racconto di lotta nel profondo dell'anima..una lotta di cattivi che porta ad applaudire Manny..un bravissimo jon voight meritevole di oscar!..Film che col passare dei minuti diventa di un intensita'che coinvolge merito del regista..Visione molto impegnativa eh! Qui non si "pettinano le bambole".. qui si fa sul serio..da vedere almeno una volta!
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contrammiraglio
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mercoledì 4 maggio 2016
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sempre bello!
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Rivisto dopo svariati anni, sempre un gran bel film!
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zoltan1
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domenica 14 settembre 2014
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non spassoso, spassosissimo!
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Ma che dici, è un capolavoro omerico, il treno visto come viaggio trascendentale- esistenziale ecc. ecc.
Ahahahahahaha, spassosissima ca..ta stile Gunny con Clint Eastwood!! 4 stelle piene, divertentissimo!
Quando leggo certi commenti di pseudo esperti di cinema mi scompiscio dalle risate..Se vedono qualunque porcheria cercano di scovare un significato intellettuale a tutti i costi.
Potete essere d'accordo o meno, ma almeno provate ad accettare un piccolo consiglio: valutate i film senza gli occhialini da eterni professorini, e non inventatevi significati intrinseci che non esistono!
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arnaco
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martedì 26 agosto 2014
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la bestia umana
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Il finale è un capolavoro perché riesce a chiudere il film in modo straordinario e al tempo stesso a fornirne una tremenda sintesi: Manny in piedi sulla locomotiva si prepara a morire senza paura, mentre il suo abbietto antagonista cerca invano di sfuggirle liberandosi dalla catena. E prima dei titoli di coda appare una citazione dal Riccardo III di Shakespeare: "Non c'è bestia che sia tanto feroce da non conoscere almeno un briciolo di pietà - Ma io non la conosco, quindi non sono una bestia". Infatti poco prima della fine, quando Manny picchia brutalmente il suo amico Buck, Sara gli dice; "Smettila, sei una belva" e lui risponde: "No, sono un uomo, che è molto peggio".
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rct_freeman
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sabato 22 febbraio 2014
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capolavoro
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l'ho appena rivisto dopo anni...un film meraviglioso e uno dei finali più belli della storia del cinema.
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vic fontaine
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venerdì 20 dicembre 2013
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un capolavoro di rara intensità
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"A trenta secondi dalla fine" di Andrej Konchalovskij non è il solito film carcerario dai classici cliché hollywoodiani: in esso si parla di fuga, di dignità umana, del destino cinico e baro che fa scegliere all'evaso Manny (un titanico e stratosferico Jon Voight) proprio un treno il cui macchinista morirà di infarto al momento della partenza. Le inquadrature del treno in corsa in mezzo ai ghiacciai dell'Alaska sono splendide, piene di un rispetto tipicamente russo per il bianco della neve e dei ghiacci. Il rapporto tra i due è estremamente significativo: Buck vede in Manny una sorta di idolo e tenta di compiacerlo in ogni modo; Manny però non lo tratta da pari a pari, ma anzi lo rimprovera in modo quanto mai burbero impartendogli anche spicce lezioni di vita, fino a minare la sconfinata ammirazione che il giovane e un po' sbruffoncello compagno di evasione nutre per lui.
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"A trenta secondi dalla fine" di Andrej Konchalovskij non è il solito film carcerario dai classici cliché hollywoodiani: in esso si parla di fuga, di dignità umana, del destino cinico e baro che fa scegliere all'evaso Manny (un titanico e stratosferico Jon Voight) proprio un treno il cui macchinista morirà di infarto al momento della partenza. Le inquadrature del treno in corsa in mezzo ai ghiacciai dell'Alaska sono splendide, piene di un rispetto tipicamente russo per il bianco della neve e dei ghiacci. Il rapporto tra i due è estremamente significativo: Buck vede in Manny una sorta di idolo e tenta di compiacerlo in ogni modo; Manny però non lo tratta da pari a pari, ma anzi lo rimprovera in modo quanto mai burbero impartendogli anche spicce lezioni di vita, fino a minare la sconfinata ammirazione che il giovane e un po' sbruffoncello compagno di evasione nutre per lui. Il film procede tra la speranza dei tre (a Manny-Jon Voight e Buck-Eric Roberts si aggiunge una intensa Rebecca De Mornay nel ruolo di una spaurita bigliettaia che dormiva sul treno) di poter fermare un terno ormai inarrestabile, e la caccia spietata a Manny - ormai diventata un'autentica guerra personale - da parte del malvagio direttore del carcere Ranken (un bravissimo John Ryan), fino alla bellissima conclusione in cui Manny - dopo aver catturato e ammanettato Ranken nella motrice - realizza che potrà essere davvero libero da quella caccia senza fine solo schiantandosi insieme al suo indomito predatore sul binario morto, dove la centrale aveva rassegnatamente deviato il treno. Il finale è bellissimo e commovente: l'animalesco Manny recupera un barlume di umanità e di pietà per Buck e per la ragazza, e stacca la motrice salvandoli (con Buck che gli urla disperatamente di saltare giù dal treno); l'ultimo sguardo di Ranken che si scioglie nella paura di morire che ogni essere umano, sia pure malvagio e arrogante come lui, non può non provare appena prima della fine; l'immagine stupenda di Manny che vuole morire in piedi "cavalcando" la locomotiva con il volto sferzato dal nevischio quasi a sfidare la fine ormai imminente, con il montaggio alternato dei compagni e amici lasciati nel carcere; le citazioni dal Riccardo III di Shakespeare ("Vincere, perdere ... che differenza c'è?"), specie quella conclusiva della belva e della pietà cucita su misura addosso a Manny. Un'esperienza cinematografica da non perdere.
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