Il film è diligente, corretto nella ricostruzione storica, di valore televisivo più che cinematografico; avendo cura, però, di rapportare la parola "televisivo" all'epoca (1976) in cui il film fu girato, ossia in un tempo (pre-"piovra", tanto per intenderci) dove in TV era obbbligatorio fare opere edificanti, che non sconfinassero mai col TRUSH (i truci "poliziotteschi" restavano la cinema, insomma!). In questo intento didattico, il film rivela un'indubbia piattezza stilistica, oltre a lasciare nel pubblico un certo quale senso di sazietà, fino all'improvviso e non del tutto motivato finale.
Resta, comunque, una grande prova della versatilità interpretativa di Ingrid Thulin, che, a mio giudizio, si è adattata con grande camaleontismo nella parte della contadina Agnese; nell'Agnese della Thulin ti trovi la selvatichezza, la ritrosia, la diffidenza, della classica "donna emiliana" di campagna, non senza
gli slanci femminili di ogni donna (si consideri che la Thulin è svedese!).
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Il film è diligente, corretto nella ricostruzione storica, di valore televisivo più che cinematografico; avendo cura, però, di rapportare la parola "televisivo" all'epoca (1976) in cui il film fu girato, ossia in un tempo (pre-"piovra", tanto per intenderci) dove in TV era obbbligatorio fare opere edificanti, che non sconfinassero mai col TRUSH (i truci "poliziotteschi" restavano la cinema, insomma!). In questo intento didattico, il film rivela un'indubbia piattezza stilistica, oltre a lasciare nel pubblico un certo quale senso di sazietà, fino all'improvviso e non del tutto motivato finale.
Resta, comunque, una grande prova della versatilità interpretativa di Ingrid Thulin, che, a mio giudizio, si è adattata con grande camaleontismo nella parte della contadina Agnese; nell'Agnese della Thulin ti trovi la selvatichezza, la ritrosia, la diffidenza, della classica "donna emiliana" di campagna, non senza
gli slanci femminili di ogni donna (si consideri che la Thulin è svedese!).
Resta, poi, la capacità del film di rendere con dolorosa e struggente tragicità la fase più buia e più terribile dell'occupazione italiana, il terribile inverno 1944 e soprattutto la condizione drammatica dei partigiani che, oltre a subire i tedeschi, aveva la percezione dell'abbandono da parte degli alleati. In questo il film rivela un realismo e una crudezza che non concede nulla al "politicamente corretto" e rende la crudezza di come il "fronte interno" patì quel "terribile inverno".
Da fare vedere ai giovani ... per quei giovani che almeno ricordano che sono passati solo sessant'anni dalla fine della guerra.
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