alessandro
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mercoledì 29 agosto 2007
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si chiude il cerchio
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Il significato del film va a mio parere ricercato nell'urlo straziante di Nicholson dinanzi all'insabbiamento del suo landrover. E' un urlo nel quale manifesta tutta la sua disperazione di uomo impantanato in una vita che non vuole più. Non vuole più il suo lavoro, non vuole più sua moglie, non vuole più nulla di ciò che è. La decisione di sostituirsi al trafficante d'armi è facile. Ci si sente leggeri nei panni di un altro, è come avere a disposizione un'altra vita. Ma è proprio così?
La lunga inquadratura che chiude il film è l'emblematica fine di un percorso circolare che è la stessa vita del protagonista, che torna ad essere in carne ed ossa nientemeno ciò che era. Per un attimo la camera che esce dalla stanza ci fa sperare che ci sia un futuro, ma il movimento di macchina in tondo ci riporta lì dove eravamo.
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Il significato del film va a mio parere ricercato nell'urlo straziante di Nicholson dinanzi all'insabbiamento del suo landrover. E' un urlo nel quale manifesta tutta la sua disperazione di uomo impantanato in una vita che non vuole più. Non vuole più il suo lavoro, non vuole più sua moglie, non vuole più nulla di ciò che è. La decisione di sostituirsi al trafficante d'armi è facile. Ci si sente leggeri nei panni di un altro, è come avere a disposizione un'altra vita. Ma è proprio così?
La lunga inquadratura che chiude il film è l'emblematica fine di un percorso circolare che è la stessa vita del protagonista, che torna ad essere in carne ed ossa nientemeno ciò che era. Per un attimo la camera che esce dalla stanza ci fa sperare che ci sia un futuro, ma il movimento di macchina in tondo ci riporta lì dove eravamo. Per me questo è uno dei finali più pessimisti di Antonioni.
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fedeleto
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domenica 1 marzo 2015
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professione regista
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David Locke è un reporter.Trovatosi in Africa per un servizio sui guerriglieri, incontra Robertson, un trafficante d'armi.Poco dopo la loro conoscenza David trova questa persona morta nella stanza di un hotel.Sruttando la somiglianza con quest'ultimo, David decide di prendere il suo posto e cosi scambiarsi di identità. In tal modo David diventerà Robertson e viaggerà vendendo progetti di armi e conoscerà una giovane che lo aiuterà nell'avventura. Ma forse il problema diventa troppo grande , e la situazione sfugge di mano.Antonioni (blow up, l'eclisse) dopo il documentario sulla Cina torna al cinema con un film degno di attenzione.
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David Locke è un reporter.Trovatosi in Africa per un servizio sui guerriglieri, incontra Robertson, un trafficante d'armi.Poco dopo la loro conoscenza David trova questa persona morta nella stanza di un hotel.Sruttando la somiglianza con quest'ultimo, David decide di prendere il suo posto e cosi scambiarsi di identità. In tal modo David diventerà Robertson e viaggerà vendendo progetti di armi e conoscerà una giovane che lo aiuterà nell'avventura. Ma forse il problema diventa troppo grande , e la situazione sfugge di mano.Antonioni (blow up, l'eclisse) dopo il documentario sulla Cina torna al cinema con un film degno di attenzione. Da un soggetto di Mark Peploe e una sceneggiatura di Sannia , Antonionie Peploe, il film si incentra sul tema dell'identità e possiede decisamente connotati pirandelliani.David/Robertson è un dualismo necessario per capire l'uno.Chi è David oltre ad essere un reporter? Un uomo che vive intervistando e facendo compromessi (come gli ricorda la moglie) e lui dunque arrivato a tal punto vuole fuggire, vuole reinventarsi, un po' come fece quel Mattia Pascal.Ma David da cosa fugge principalmente? Dal nulla? (La scena della macchina ove Maria Schneider si gira) o da se stesso? Il mago africano durante l'intervista gli rivolge la macchina da presa in faccia e David si mostra , ma è imbarazzato, confuso, disorientato, David non sa come esistere.Tutto comincia per caso, la fatalità che entra nella vita del reporter per ricreare o meglio ricalcare, perché alla fine David avrà lo stesso destino di Robertson.Antonioni firma una nuova pellicola esistenzialista ove la perdita dell'identità porta alla morte dell'io, straordinaria la sequenza finale in cui l'oggetto della realtà circostante (la macchina da presa)lascia intuire la fine del soggetto.Un film a tratti personale (10 anni che il regista ferrarese non lavora in Italia) e del resto perdere l'identità è comprensibile, ma senza dubbio il pubblico ha apprezzato nuovamente lo sforzo.Nicholson magistrale, Schneider non male. Da vedere.
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giulio andreetta
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mercoledì 18 dicembre 2019
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un altro grande film di antonioni
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Questo film non si può dimenticare... Anche solo per le scene sul deserto che rimangono impresse nella memoria, così come per il finale, autentico capolavoro della tecnica cinematografica, con quel lungo piano-sequenza ottenuto con un movimento di macchina di difficile realizzazione. Un Jack Nicholson al solito magistrale, e una Maria Schneider molto convincente danno vita a un film che narra la crisi di identità dell'uomo moderno. La sceneggiatura mi ha ricordato la trama di un romanzo di Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal. Anche in questo romanzo si assiste ad un volontario scambio di identità da parte del protagonista. In effetti trovo questa pellicola molto pirandelliana, e come nel grande scrittore siciliano si assiste ad una profonda riflessione sull'identità, sull'incomunicabilità e sul disagio.
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Questo film non si può dimenticare... Anche solo per le scene sul deserto che rimangono impresse nella memoria, così come per il finale, autentico capolavoro della tecnica cinematografica, con quel lungo piano-sequenza ottenuto con un movimento di macchina di difficile realizzazione. Un Jack Nicholson al solito magistrale, e una Maria Schneider molto convincente danno vita a un film che narra la crisi di identità dell'uomo moderno. La sceneggiatura mi ha ricordato la trama di un romanzo di Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal. Anche in questo romanzo si assiste ad un volontario scambio di identità da parte del protagonista. In effetti trovo questa pellicola molto pirandelliana, e come nel grande scrittore siciliano si assiste ad una profonda riflessione sull'identità, sull'incomunicabilità e sul disagio. Il malessere del protagonista, al solito, non si coglie nel film che attraverso lo studio dei dettagli e non da elementi evidenti. I dialoghi sono minimalisti, e non trattano quasi mai direttamente il rovello interiore. Allo spettatore, quindi, è richiesto un ruolo attivo di interpretazione, di decodificazione del segno, come anche si può dire avvenga nei film migliori di Wim Wenders. La narrazione, del resto, non sembra essere che un pretesto per fare emergere i dolorosi conflitti di coscienza del protagonista, la sua solitudine, la ricerca di una condivisione, che però mai avviene. Altro film molto amaro, quasi senza speranza, del grande regista, qui al vertice dell'ispirazione.
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luca scial�
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giovedì 28 novembre 2013
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un road movie enigmatico
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David Locke è un documentarista di origini inglesi ma trapiantato in America, spedito in un Paese africano per un reportage su una guerra civile che sta insanguinando il Paese. Ritrova il suo vicino di camera dell'hotel morto, un certo David Robertson, uomo d'affari implicato in un commercio d'armi. Convinto che l'uomo sia stato assassinato, decide di prenderne l'identità, un pò per evadere dalla propria vita e un pò pervederci chiaro. Il gioco si fa più grande di lui, passando da Londra a Barcellona fino a Fatima. Per la strada incontra una giovane donna ugualmente vogliosa di una svolta, che lo segue inconscientemente in questo viaggio.
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David Locke è un documentarista di origini inglesi ma trapiantato in America, spedito in un Paese africano per un reportage su una guerra civile che sta insanguinando il Paese. Ritrova il suo vicino di camera dell'hotel morto, un certo David Robertson, uomo d'affari implicato in un commercio d'armi. Convinto che l'uomo sia stato assassinato, decide di prenderne l'identità, un pò per evadere dalla propria vita e un pò pervederci chiaro. Il gioco si fa più grande di lui, passando da Londra a Barcellona fino a Fatima. Per la strada incontra una giovane donna ugualmente vogliosa di una svolta, che lo segue inconscientemente in questo viaggio. Mentre la moglie comincia a cercarlo...
Ultimo film girato all'estero per Michelangelo Antonioni, che si concede riprese in 4 Paesi diversi e lontani tra loro. Un film ambizioso, con due attori protagonisti di eccezione: Jack Nicholson e Maria Schneider. Per un road movie enigmatico, sofisticato, intimista; che talvolta fa il passo più lungo della gamba. La scena finale, un fermo immagine di 7 minuti, è diventata celebre e ha fatto scuola. Ambientazioni imponenti e suggestive, specie nelle sequenze iniziali girate in Africa.
Vinse due nastri d'argento: a Antonioni per la regia e a Luciano Tavoli per la fotografia.
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lucaguar
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sabato 17 febbraio 2018
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tra avventura ed esistenzialismo
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Si può dire che "Professione:reporter" sia l'ultimo grande film del regista ferrarese. Il filo conduttore dell'opera è sempre la crisi esistenziale del nostro tempo, tema che ha tormentato tutta la lunga e indefessa ricerca antonioniana.
Questa volta la crisi è quella vissuta da un giornalista di successo, che però è stanco e nauseato dalla sua vita, in cerca di una possibilità di svolta. Questa occasione la troverà un giorno durante un reportage in Africa, dove in un albergo in mezzo alla savana, rinviene un cadavere di un uomo che gli somiglia in modo impressionante: David Locke decide così di "trasformarsi" in David Robertson, facendosi credere morto.
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Si può dire che "Professione:reporter" sia l'ultimo grande film del regista ferrarese. Il filo conduttore dell'opera è sempre la crisi esistenziale del nostro tempo, tema che ha tormentato tutta la lunga e indefessa ricerca antonioniana.
Questa volta la crisi è quella vissuta da un giornalista di successo, che però è stanco e nauseato dalla sua vita, in cerca di una possibilità di svolta. Questa occasione la troverà un giorno durante un reportage in Africa, dove in un albergo in mezzo alla savana, rinviene un cadavere di un uomo che gli somiglia in modo impressionante: David Locke decide così di "trasformarsi" in David Robertson, facendosi credere morto. Per sua sfortuna però il defunto era un trafficante di armi, che conduceva una vita tutt'altro che tranquilla; Locke (Robertson) si troverà così coinvolto in intrighi più grandi di lui, che lo porteranno ad essere ucciso da dei sicari.
Antonioni ci regala un film di stampo chiaramente pirandelliano, che ha una potenza visiva notevole e un'ottima fotografia; anche l'interpretazione di Jack Nicholson è buona, come sempre. Quest'opera però, rispetto ad altre del nostro grande regista, non risulta incisiva, vuole dire troppo e finisce per non trasmettere molto; non viene sottolineata in modo chiaro e profondo la crisi del protagonista e finisce quasi per risultare un film d'avventura, e per giunta con poca azione. Certamente ci sono delle intuizioni da grande regista, come la celeberrima sequenza finale, e le solite inquadrature "decentrate" tipiche dello stile di Antonioni, ma stavolta veramente non bastano per far elevare questa pellicola a livelli paragonabili, per fare solamente un esempio, a "La notte".
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