elgatoloco
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venerdì 18 settembre 2015
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grande film, non è retorico affermarlo
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"Porte des Lilas", film di René Clair: grande film, costruito con elementi semplici, bianco e nero efficacissimo, vita di un quartiere, due amici buoni(uno"a nulla"o almeno tale crede d'essere), la difficoltà di vivere e di relazionarsi, con l'irruzione di un"terzo", un bandito vero, complicazioni sentimentali. Il tutto, con sequenze anche francamente comiche(quelle del fumo nel camino, con il rischio di bruciare la casa...) in un contesto comunque drammatico(la miseria, la difficoltà nel sopravvivere), con una"contaminatio", oltremodo feconda, tipica peraltro di Clair e della sua formazione surrealista("Entr'acte", ma non solo, molti anni prima di questo film della seconda metà degli anni Cinquanta).
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"Porte des Lilas", film di René Clair: grande film, costruito con elementi semplici, bianco e nero efficacissimo, vita di un quartiere, due amici buoni(uno"a nulla"o almeno tale crede d'essere), la difficoltà di vivere e di relazionarsi, con l'irruzione di un"terzo", un bandito vero, complicazioni sentimentali. Il tutto, con sequenze anche francamente comiche(quelle del fumo nel camino, con il rischio di bruciare la casa...) in un contesto comunque drammatico(la miseria, la difficoltà nel sopravvivere), con una"contaminatio", oltremodo feconda, tipica peraltro di Clair e della sua formazione surrealista("Entr'acte", ma non solo, molti anni prima di questo film della seconda metà degli anni Cinquanta). Film d'atmosfera, con neve, pioggia, poco sole, con l'elogio della periferia, con l'interpretazione di Pierre Brasseur, di cui non si dirà mai abbastanza bene, ma anche di Georges Brassens, immortale chansonnier - libertario cantore degli esclusi ma qui soprattutto chitarrista, un po'cantante, ma appunto soprattutto interprete, di notevolissimo livello. Anche Henry Vidal, il"vilain", di Dany Carrel, la"jeune fille". Film d'atmosfera, ma anche pieno di significati etici(il finale tragico quasi in"pianissimo", quasi sottaciuto, silenziato, rientrante subito dopo in una"normalità"che ricorda successive canzoni brassensiane come"L'Assassinat", un capolavoro non a caso studiato nei licei e all'università, beninteso in Francia), senza nessuna retorica, senza alcun"peana"gridato. El Gato
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elgatoloco
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mercoledì 16 maggio 2018
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da rené fallet un chef d'oeuvre di clair
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Questo"Porte de Lilas"di René Clair(da un romanzo di René Fallet) è un vero, assoluto, capolavoro:splendide sequenze in bianco e nero, quasi sempre"in notturna"illustrano la vita un po'vagabonda nel quartiere così chiamato, tra miserie e grandezza umana, storie di umana solidarietà nelle piccole cose, talora contro la legge, come nell'ospitare un ladro invece di denuncialro alla polizia. C'è il"buono a nulla", interpretato da Pierre Brasseur, ingenuo ma fino ad un certo punto(dopo quel punto"scoppia"), "l'artiste", uno straordinario Georges Brassens, il vero maestro di tutti, Dany Carrel, la ragazza del bar, che fa tenerezza, di cui il buono "à rien"è segretamente quanto teneramente innamorato, c'è il voleur, Henry Vidal, c'è un quartiere, tra il sonnacchioso e il"pericoloso", con alcune straordinarie intuizioni di Clair, come i bambini che mimano quanto racconta il giornale a proposito delle avventure del bandito, appunto, dove loro le mimano"involontariamente", ma volontaria è l'intenzione del regista, grande artista dadaista ma con venature anche surrealiste, autore dello straordinario corteometraggio muto del 1924, "Entr'Acte", dove c'è la straordinaria sequenza del carro funebre trainato da un dromedario, da cui i partecipanti staccano pezzi di pane, per non dire di tutto il resto del film.
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Questo"Porte de Lilas"di René Clair(da un romanzo di René Fallet) è un vero, assoluto, capolavoro:splendide sequenze in bianco e nero, quasi sempre"in notturna"illustrano la vita un po'vagabonda nel quartiere così chiamato, tra miserie e grandezza umana, storie di umana solidarietà nelle piccole cose, talora contro la legge, come nell'ospitare un ladro invece di denuncialro alla polizia. C'è il"buono a nulla", interpretato da Pierre Brasseur, ingenuo ma fino ad un certo punto(dopo quel punto"scoppia"), "l'artiste", uno straordinario Georges Brassens, il vero maestro di tutti, Dany Carrel, la ragazza del bar, che fa tenerezza, di cui il buono "à rien"è segretamente quanto teneramente innamorato, c'è il voleur, Henry Vidal, c'è un quartiere, tra il sonnacchioso e il"pericoloso", con alcune straordinarie intuizioni di Clair, come i bambini che mimano quanto racconta il giornale a proposito delle avventure del bandito, appunto, dove loro le mimano"involontariamente", ma volontaria è l'intenzione del regista, grande artista dadaista ma con venature anche surrealiste, autore dello straordinario corteometraggio muto del 1924, "Entr'Acte", dove c'è la straordinaria sequenza del carro funebre trainato da un dromedario, da cui i partecipanti staccano pezzi di pane, per non dire di tutto il resto del film. Un'opera più sommessa , questa, più"en souplesse", anche perché necessitata a fare i conti con il sonoro, ma di straordinaria efficacia. Fallet autore del libro, Clair del film, Brassens delle musiche(e suona la chitarrza per quasi tutto il film), ma anche di quei testi straordinari che sono vere e proprie poesie, studiate nei licei e all'Università, in un paese civile qual è la Francia, senza scandalizzarsi di qualche"gros mot", anch'esso, comunque, sempre più che poetico. Vie et mort, in una chiave, se vogliamo, esistenzialistica. El Gato
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carloalberto
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mercoledì 5 maggio 2021
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il poeta cantore degli umili nella fiaba realista
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Già le prime immagini ci immettono in un paesaggio urbano incantato, creando un’atmosfera favolistica che stride con il degrado umano e morale dei personaggi, vite emarginate, alla deriva in un quartiere povero di Parigi, la grande periferia di Fallet, dove le giornate trascorrono uguali e monotone al bar, tra grandi bevute con gli amici di sempre, mentre i monelli in strada scorribandano felici, mimando, nell’eterno gioco di guardia e ladri, i misfatti degli adulti.
Il bandito che irrompe nel tran tran quotidiano, inseguito dai flic, diviene immediatamente l’idolo dei bambini, di Jujù e di Maria, la figlia dell’oste, tutte anime innocenti che vedono ingenuamente nell’antieroe un’occasione di riscatto da una vita squallida e senza speranze.
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Già le prime immagini ci immettono in un paesaggio urbano incantato, creando un’atmosfera favolistica che stride con il degrado umano e morale dei personaggi, vite emarginate, alla deriva in un quartiere povero di Parigi, la grande periferia di Fallet, dove le giornate trascorrono uguali e monotone al bar, tra grandi bevute con gli amici di sempre, mentre i monelli in strada scorribandano felici, mimando, nell’eterno gioco di guardia e ladri, i misfatti degli adulti.
Il bandito che irrompe nel tran tran quotidiano, inseguito dai flic, diviene immediatamente l’idolo dei bambini, di Jujù e di Maria, la figlia dell’oste, tutte anime innocenti che vedono ingenuamente nell’antieroe un’occasione di riscatto da una vita squallida e senza speranze.
Brassens interpreta sé stesso, l’Artista anarchico, il poeta cantautore, ed è al contempo l’alter ego di Clair, calatosi nella storia nella parte dell’amico dei deboli, cantore di una umanità condannata all’abbrutimento dalla propria condizione sociale, che nulla può per redimere o salvare le anime perse che lo circondano se non accompagnare con la chitarra ed il suono della voce le loro tristi vicende, essere la colonna sonora di vite disgraziate e che innalza, con la poesia del racconto filmico, l’umile abitante di un quartiere periferico, l’ubriacone nullafacente, ad eroe contemporaneo.
L’amicizia tra Jujù e l’Artista rappresenta metaforicamente l’amore di Clair per il popolino, nella nuova visione del cinema europeo del secondo dopoguerra, che abbandona le grandi storie degli uomini illustri, che in Italia decreta la morte del cinema dei telefoni bianchi con la nascita del neorealismo, per guardare alla vita della gente comune, della povera gente che popola le periferie delle grandi metropoli, alimentando quel sottoproletariato urbano che sarà protagonista, qualche anno dopo, dei primi film di Pasolini, Accattone e Mamma Roma, e che Fellini aveva già reso immortale con La Strada ed Il Bidone.
L’edizione italiana risulta interessante quanto l’originale, arricchita com’è dal doppiaggio di due grandi attori italiani dell’epoca, Nando Gazzolo, la voce di Henri Vidal nella parte del bandito, e Carlo Romano quella di Pierre Brasseur alias Jujù.
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