Masters of Horror: Il gusto dell'ossessione

Jamie (Henry Thomas) è un produttore di aromi artificiali, divorziato da poco tempo, trascorre le sue giornate tra lavoro e diete salutiste. L'unica persona che gli sta vicino è il collega di lavoro Wally (Matt Frewer), nostalgico rockettaro dal sarcasmo pungente; la ex moglie lo snobba e le nuove conoscenze lo seducono e lo abbandonano a causa del suo anomalo comportamento. Da un po' di tempo convive con forti allucinazioni che gli fanno vivere in prima persona la vita di Catherine, una bellissima donna sconosciuta. Fa alcune ricerche per trovare il suo indirizzo e, ormai innamorato perso di lei, decide di fare i bagagli per raggiungerla in Canada. Ma la sua follia lo condurrà in un vortice di violenza impossibile da controllare.
Mick Garris è il creatore della serie dei Masters of Horror; non contento di comparire solamente come ideatore esterno dei mediometraggi, prende in mano la macchina da presa e dirige un episodio tratto da un suo piccolo soggetto. Il guaio è che confeziona uno dei peggiori contributi della serie. Involontariamente comico (la masturbazione della donna nella vasca non si può guardare), presuntuoso e a tratti incoerente, l'intreccio si snoda in un lungo flashback che semina indizi sul finale, ma lo fa senza criterio, finendo per stancare anche lo spettatore più accomodante. Una delle prime allucinazioni è il sapore del cioccolato (il titolo inglese dell'episodio è "Chocolate") che coinvolge il senso del gusto, andando a colpire proprio il mestiere del pazzo protagonista, specializzato nel captare aromi veri o artificiali nel cibo. Il gusto dell'ossessione, ovvero ciò che dovrebbe fungere da filo conduttore, si perde però con il passare dei minuti e con l'avvicinarsi della prevedibile chiusa. Il risultato è un prodotto inorganico e indebitamente audace che trova la perfetta rappresentazione visiva nell'arredamento della casa di Catherine: poltrone arricchite da appariscenti schienali, disegni aggressivi di puma in pacchiane ambientazioni africane, lampade, soprammobili e ninnoli di dubbio gusto. Un elogio all'arte naïf (non a caso l'oggetto del desiderio è una pittrice), che trova la sua fortuna nell'insolito compiacimento di immagini eccentriche e narcisistiche, totalmente scollegate dalla vita reale. Garris decora ciò che non ha valore, abbonda in dettagli che non sono funzionali al racconto.
La narrazione de Il gusto dell'ossessione va avanti senza rendersi conto di aver imboccato la strada per ritornare indietro, costruendo un racconto circolare che pur spostandosi è destinato a tornare al punto di partenza. Manca un colpo di scena, un crescendo di emozioni: Jamie si imbarca nella smodata ricerca del suo sogno come fosse la cosa più naturale del mondo. E il problema non sta nella sua galoppante follia ma in chi ci sta raccontando questa vicenda, un contastorie che sembra non conoscere le regole della narrazione. Così, tra uno sbadiglio e l'altro, si giunge alla conclusione, senza grandi sorprese. E senza aver provato paura: per un film horror è come vendere cioccolata che sa di salato. 