Al di là delle montagne |
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Un film di Jia Zhangke.
Con Zhao Tao, Zhang Yi, Jing Dong Liang, Zijian Dong.
continua»
Titolo originale Shan He Gu Ren.
Drammatico,
durata 131 min.
- Cina, Francia, Giappone 2015.
- Cinema
uscita giovedì 5 maggio 2016.
MYMONETRO
Al di là delle montagne
valutazione media:
3,76
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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AL DI LA’ DELLE MONTAGNE, UN NUOVO CINEMAdi ROBERT EROICAFeedback: 9266 | altri commenti e recensioni di ROBERT EROICA |
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sabato 7 maggio 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Diviso in tre parti, tre capitoli di una storia che non ha una fine, “Al di là delle montagne” del cinese Zhang-ke, è un film che annichilisce. Per la forza con cui racconta il passato (anno 1999), il presente (2014) e il futuro (2025) di due uomini, tre donne e un ragazzo. Per come usa l’ellissi narrativa, per come riesce magicamente a connettere piani temporali, spazi geografici, intermittenze emozionali. Si comincia come un piccolo melodramma sentimentale (lui, lei, l’altro) sullo sfondo di una Cina che sta cambiando pelle, si prosegue come una riflessione profonda sul rapporto che lega ognuno di noi all’altro (nessuno lascia mai nessuno e solo la morte può spezzare la catena del cuore), in un accumulo di esperienze, siano esse negative o positive, che restano sempre con noi. Si finisce (?) con la nostalgia di un ritorno ad un luogo (quasi) mai visto, ad una persona (quasi) mai conosciuta. Un film sulle radici, sulla conoscenza, sull’esperienza del vivere (la libertà di tutti parte sempre dall’individuo) sul dolore che necessariamente è dentro ogni vivere, dentro ogni ricordo, dentro ogni assenza. Ci sono scene al limite dell’incredibile in “Al di là delle montagne”, vuoi per catturare l’ineludibilità e imprevedibilità della morte, vuoi per intercettare l’irruzione aliena dentro il reale quotidiano: l’aereo che si schianta è il ritorno ossessivo del fuoco, registrato tramite un dispositivo che sembra essere la soggettiva di chi proviene da un altro mondo. E i suoni sono spesso distorti, incomprensibili, una sonda pronta a registrare l’invisibile, che sta al centro di ogni materia. E commuove il rispetto e il pudore con cui il qurantaseienne Zhang-ke (leone d’oro a Venezia con “Still Life” tanto per sfoderare qualche titolo, se ce ne fosse bisogno) accompagna ogni personaggio dentro il vortice delle proprie avventure. In maniera semplice e complessa, senza spiegare tutto, senza sapere tutto. Mettendosi di lato, ogni tanto, come se si lasciasse assorbire da una polisemia di significati che è tutta sulla superficie delle cose. Un cinema che viene dal futuro, come le note dei Pet Shop Boys che fanno danzare nella neve una donna ormai matura, che ricorda la sua giovinezza e la sua felicità. Se oggi il giapponese Ozu facesse ancora film, sarebbero questi. Robert Eroica
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