Giornalista sportivo, già campione di scherma, si mette ad indagare sulla strana morte del suo amico e compagno di allenamenti Franz, dovuta in apparenza ad un infarto. Emerge una torbida storia di lavoro nero e morti bianche legate al mondo delle concerie del ricco Nord Est, in cui Franz aveva investito dopo la fine della sua carriera sportiva. Lo attendono avversari insospettabili e un tragico epilogo.
Giallo dalla dichiarata vocazione sociale (il ricco Nord Est delle aziende di concia tra manovalanza di extracomunitari neri e misconosciute morti bianche), l'opera prima di Roberto Dordit è un esempio interessante (anche se non originalissimo) di una certa deriva recente (ultimo decennio?) del cinema nostrano impegnato a misurarsi con le brutture della realtà sociale filtrate attraverso l'estetica di una fiction intimista (qui i rovelli di un giornalista sportivo che intraprende un percorso di conoscenza e riscoperta della insospettabile doppia vita dell'amico che credeva di conoscere) risolta nella ridondanza dei dialoghi e dei rapporti psicologici , senza alcuna vocazione al realismo o al naturalismo (esempi piu' qualificanti sono certe opere si Sorrentino come 'L'amico di famiglia' e 'Le conseguenze dell'amore') dove il tema sociale, benchè scottante è solo lo sfondo scenografico su cui far interagire i personaggi in gioco tra dubbi etici e dilemmi personali. Pur riconoscendovi una buona chiarezza di intenti ed una comprensibile (intelleggibile) ricostruzione del mosaico narrativo (una dolorosa consapevolezza che con fatica e difficoltà si fa lentamente strada tra i pregiudizi e gli ingenui convincimenti del protagonista) il film di Dordit soffre per gli scompensi di una messa in scena eccessivamente televisiva (potremmo definirlo 'effetto fiction') e la discutibile propensione alla costruzione della suspence attraverso l'uso insistito, quasi calligrafico, della ellissi ( l'immagine del nostro che affonda lentamente nelle acque che si tingono del rosso artificiale dell'industria e di quello reale del suo sangue, il bimbo autistico che lancia messaggi in codice per rivelare la sua tragica soperta di morte, le scene di una singolar tenzone tra gli amici schermidori), un gioco di rimandi e suggestioni che finisce per intorbidare le acque e ridurre il gradiente di una tensione narrativa che si esaurisce in un climax finale, certo tragico e non consolatorio, ma privo di reale mordente. Nel quadro di una costruzione narrativa così articolata poi, non sempre i personaggi e le loro motivazioni appaiono del tutto a fuoco, risultando deboli e marginali figure di contorno (l'amico giornalista Battiston che si presume rivelerà pubblicamente il misfatto, l'indeciso spirito anticonformista della anglofone figlia del torbido industriale delle pelli, il comportamento ambiguo e contraddittorio della maltrattata fidanzata di Franz) quando sembrerebbero avre un peso rilevante per una migliore comprensibilità della vicenda. Ma è soprattutto la figura di Franz (il classico convitato di pietra in tutte le rievocazioni filmiche che si rispettino) che non emerge con sufficiente esattezza, lasciandoci l'impressione che egli sia più vittima che colpevole di un sistema imprenditoriale malato e disumano, la cui vita e la cui morte appaiono sospese in un limbo confuso tra il dramma patetico di una triste vicenda umana e l'infausto castigo di una giusta nemesi. Discreti gli interpreti principali tra cui un efficace e credibile Elio De Capitani che surclassa la giovane (ex) promessa del cinema italiano Claudio Santamaria, aitante giovanotto dal buon istinto e dagli scarsi fondamentali (non solo come schermidore). Dietro la maschera, il nemico.
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