Mao's Last Dancer

Basato sul libro autobiografico omonimo di Li Cunxin (pronuncia Lee Schwin-Sing, classe 1961), il film racconta la parabola artistica ed umana del protagonista che, selezionato dalle autorità cinesi per il corpo di ballo nazionale all'età di undici anni, diviene uno dei più grandi ballerini a livello internazionale ed, in seguito ad un viaggio di scambio a Houston in Texas, decide di restare in America per sottrarsi al regime comunista, non senza causare un incidente diplomatico. Il film, nato da un'intensa collaborazione tra lo sceneggiatore Jan Sardi (Shine) e lo stesso Li Cunxin tratteggia, sull'onda dei ricordi, il duro apprendistato nella scuola cinese del corpo di ballo di Pechino, accenna in maniera sottile allo choc culturale del giovane artista a contatto con l'opulenza americana, senza tradire in maniera semplicistica, il bagaglio tradizionale e umano dell'infanzia orientale e dipana i contraccolpi psicologici di senso d'abbandono e nostalgia del giovane in seguito alla sua decisione di restare "in terra straniera". Il risultato è un'opera sobria, toccante in certi punti, che affronta, attraverso la tematica del balletto contemporaneo e della dedizione che necessita, il tema del confronto dell'unica ideologia politica forte esistente con la sfera occidentale e lo usa come movente per raccontare una storia più individuale, quella di una vita. A mio giudizio, in maniera critica, ritengo che la regia abbia fatto leva su alcune paure inconsce del collettivo americano attraverso la rappresentazione (pur sempre oniriche del protagonista) sulle conseguenze da guerra fredda di rappresaglia sui famigliari del ballerino "traditore".
Un fulcro portante è l'interpretazione dell'attore protagonista Chi Cao, che interpreta Li Cunxin d'adulto, ballerino professionista lui stesso e cresciuto artisticamente nella stessa scuola di Pechino del suo personaggio, di cui ha seguito i passi (lavora al Birmingham Royal Ballet), defezione dal regime comunista esclusa.
Girato in Australia, Stati Uniti e Cina, il film ha un finale "politically correct" che personalmente mi ha fatto sorridere, ma non stona con la complessità che riesce a trasmettere e raccorda in maniera un po' artificiale il legame sempre vivo delle origini.