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Un film di Philippe Lioret.
Con Vincent Lindon, Firat Ayverdi, Audrey Dana, Derya Ayverdi.
continua»
Drammatico,
durata 110 min.
- Francia 2009.
- Teodora Film
uscita venerdì 11 dicembre 2009.
MYMONETRO
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valutazione media:
3,69
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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altro che welcome!di olgadikFeedback: 9778 | altri commenti e recensioni di olgadik |
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martedì 12 gennaio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Opera complessa e scabra questa di Philippe Lioret che alla denuncia gridata sostituisce la scelta di far parlare i fatti e le immagini, sottolineati da una colonna sonora che è graffiante rumore o musica sentimentale quando il discorso tocca emozioni rattenute ma profonde. Due i nuclei della riflessione che il regista propone. Primo, la xenofobia, la durezza dei controlli per impedire a gente in fuga da guerre o povertà di varcare i nostri confini, la mancanza di umanità delle leggi. Secondo, l’incontro tra persone diversissime, entrambe sole, uno di quegli incontri che cambiano la vita. In gioco ci sono quindi comportamenti collettivi e rapporti individuali. Sui primi non scatta la propaganda, non si fanno prediche sui buoni sentimenti: basta la quotidianità con le sue durezze e viltà a far capire come stanno le cose. Sui secondi non ci sono complicate analisi psicologiche ma l’evolvere naturale, umanissimo, di un’amicizia che sembra all’inizio quasi afasica. Oltre questa dialettica per cui problemi dei singoli si pongono sullo sfondo di dolori non individuali, c’è un altro elemento che rende questo film riuscito e coinvolgente. Mi riferisco all’interpretazione degli attori, tra tutti a quella di Vincent Lindon, che dimostra un talento portentoso e naturale, a partire da quella faccia di francese del Nord, di pelo rosso, con i grandi occhi verdi affondati nelle pieghe di un viso triste. Un esistere grigio che però via via si riempie di espressività col procedere della crescita umana del personaggio. Infine vorrei citare la scelta stilistica del luogo: Calais è una terra che si varca per raggiungere un’isola dopo aver attraversato quasi tutta l’Europa da parte dei sans-papier, ultimo approdo prima di raggiungere l’agognata Itaca. In realtà il luogo è ferrigno, tra sabbia, acqua, moli, andirivieni di traghetti carichi di tir, che spesso nascondono quel carico umano in attesa di un’occasione per passare di nascosto in condizioni insostenibili. Tale realtà è presentata con i toni del grigio e dell’azzurrino, colori spenti, quasi non colori che ben s’addicono a una ripresa in cinema-scope fredda e straniante. La città, una normale città di provincia francese, è spesso sorda ai bisogni dell’ “altro”, ma è anche sollecita in alcune frange, come dimostra l’opera dei volontari che sfamano i clandestini alla sera sul molo. Né è retorico versare qualche lacrima in sala quando sulle scene che ci scorrono davanti riconosci la complessità del reale e la necessità che ciascun individuo (e non solo la società) abbandoni la cattiva coscienza e la difesa del proprio orto personale dove crescono “piante” comuni al sentire di ogni essere umano.
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