In memoria di me |
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Un film di Saverio Costanzo.
Con Christo Jivkov, Filippo Timi, Marco Baliani, André Hennicke, Fausto Russo Alesi.
continua»
Drammatico,
durata 115 min.
- Italia 2006.
- Medusa
uscita venerdì 9 marzo 2007.
MYMONETRO
In memoria di me
valutazione media:
3,10
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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un tema d'attualitàdi olga di comiteFeedback: 0 |
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giovedì 22 marzo 2007 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Senza essere irriverente definirei questo bellissimo film un thriller spirituale, anche se il racconto è complesso e a volte sfuggente, quindi difficile da definire. Allora perché tentare una formula? Perché, tra le molte facce, mi ha colpito la capacità dell’autore di tenere in tensione, di creare suspence con un’opera di pochissimi fatti. il diffuso desiderio di silenzio e meditazione che il correre caotico e competitivo delle vite reclama sempre più spesso. La bravura indiscussa di Saverio Costanzo sta nell’aver rappresentato in immagini concetti astratti e ardui, creando una suggestione profonda con la scelta del luogo. Siamo a San Giorgio Maggiore a Venezia, i muri conventuali sono a pelo d’acqua. Fuori si svolge la vita della città lagunare. Frammenti di essa passano dietro i vetri dell’ampio corridoio su cui danno le stanzette dei novizi, con effetti stranianti sottolineati dal rigore della fotografia e dalla altrettanto rigida osservanza delle regole monastiche, musicalmente sottolineate da rapide incursioni nella melodica ossequiosità dei valzer viennesi. Dentro, soprattutto la sera, in quegli ambienti tirati a lucido, quasi scivolano senz’altro peso che non sia quello dei loro dubbi, le figure dei protagonisti. Il mistero la fa da padrone. I drammi rimangono intuiti ma non dichiarati. Parlano le citazioni tratte dai libri sacri e i pochi dialoghi sostenuti di volta in volta dal fuoco freddo della ragione o dalla passione di chi ha avuto d’istinto la rivelazione dell’amore del Cristo. Il racconto si dipana tra questi due modi di vivere la fede. A rappresentarli, l’impassibile, ma non troppo, Andrea (Cristo Jivkov, già visto nel Mestiere delle armi di Olmi), e l’inquieto e ardente Zanna (Filippo Timi). Aleggia anche una rarefatta omosessualità che sfiora un altro tormentato personaggio. C’è poi l’ascetico e machiavellico Padre superiore (André Hennike) che, insieme al Padre maestro (Marco Baliani), rappresenta tutta la tradizione gesuitica degli esercizi spirituali, della ricerca di una specie di atarassia rispetto al terreno, dell’arte della dissimulazione e del silenzio imposto. Alla chiarezza, anche se non rigida e inumana, del loro credo, si contrappone il mistero che aleggia nel convento, sia che abbia come sfondo l’abbagliante chiarore delle soste nel chiostro, sia il buio interrotto da riflessi di luce nel corridoio. L’impossibilità di capire fino in fondo la realtà è simboleggiata anche da un giovane morente nell’infermeria del convento (imitazione del Cristo o immagine della sofferenza umana?) che Zanna assiste amorevolmente di notte. La morale del film emerge nelle belle e coinvolgenti sequenze finali: la libertà di scegliere il proprio destino è il dono più grande fatto da Cristo all’umanità. Per Andrea, consapevole di non essere capace d’amore, ma che si sente predestinato dalle sue scelte razionali a rimanere nel convento, il portone sull’acque della laguna si chiude; per Zanna si riapre, per tornare all’amore del mondo. Allo spettatore resta l’invito alla meditazione, la più profonda possibile, e l’eco dei canti mistici e gregoriani, frutto di una scelta precisa e personalissima dell’autore.
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