ishappy
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domenica 12 aprile 2009
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non mi è piaciuto
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Non mi è piaciuto questo ennesimo film di Pupi Avati. Il regista mi aveva abituato a cose ben più belle. Pensavo di vedere un film divertente, allegro, e la potenzialità c'era tutta. Gli attori come sempre ottimi, ma la sceneggiatura era veramente priva di spessore. Peccato. Un film "sui bar degli anni cinquanta" era un film che poteva veramente narrare un periodo di miseria, di bevute, d allegria, di amarezze, di illusioni, di liti, di partite a carte, di bambini che cercavano il loro padre e stavano con loro tra un fumo denso ed odore di vino finché questi decidevano di tornare, malfermi, verso le loro case. E' invece, questo, un film amaro, cattivo, poco illuminante su un'epoca così difficile e importante della nostra Italia.
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Non mi è piaciuto questo ennesimo film di Pupi Avati. Il regista mi aveva abituato a cose ben più belle. Pensavo di vedere un film divertente, allegro, e la potenzialità c'era tutta. Gli attori come sempre ottimi, ma la sceneggiatura era veramente priva di spessore. Peccato. Un film "sui bar degli anni cinquanta" era un film che poteva veramente narrare un periodo di miseria, di bevute, d allegria, di amarezze, di illusioni, di liti, di partite a carte, di bambini che cercavano il loro padre e stavano con loro tra un fumo denso ed odore di vino finché questi decidevano di tornare, malfermi, verso le loro case. E' invece, questo, un film amaro, cattivo, poco illuminante su un'epoca così difficile e importante della nostra Italia.
Sarà per il prossimo...
Ishappy
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scarlett74
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sabato 4 aprile 2009
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narratore onnipresente e stancante
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Ho amato la meravigliosa produzione di Avati apprezzandone in particolar modo la capacità di narrare efficacemente tanto vicende surreali e grottesche quanto di tratteggiare a tinte tenui ma mai stucchevoli eventi verosimili su uno sfondo storico pertinente ma mai stancante. Pertanto è stata grande la mia delusione alla visione de "Gli amici del Bar Margherita". Buono il cast ma nessun attore emerge se non per brevissimi istanti. I personaggi sono narrati senza spessore psicologico e risulta pressochè nulla l'introspezione attesa; poco spicca dal fondo di questa pellicola che ti lascia per molto tempo con la sensazione che il film debba ancora ingranare, che stia per decollare da un momento all'altro.
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Ho amato la meravigliosa produzione di Avati apprezzandone in particolar modo la capacità di narrare efficacemente tanto vicende surreali e grottesche quanto di tratteggiare a tinte tenui ma mai stucchevoli eventi verosimili su uno sfondo storico pertinente ma mai stancante. Pertanto è stata grande la mia delusione alla visione de "Gli amici del Bar Margherita". Buono il cast ma nessun attore emerge se non per brevissimi istanti. I personaggi sono narrati senza spessore psicologico e risulta pressochè nulla l'introspezione attesa; poco spicca dal fondo di questa pellicola che ti lascia per molto tempo con la sensazione che il film debba ancora ingranare, che stia per decollare da un momento all'altro. Ed invece il decollo non avviene mai. Rimane per tutto il tempo presente, troppo presente e stancante la voce del narratore-Avati da giovane che fa quasi perdere di vista l'insieme e le singole vicende e soffoca il tutto in una chiave "amarcord" apprezzabile forse solo da chi condivide col film luoghi ed esperienze.
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marco46
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sabato 4 aprile 2009
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i vitelloni di pupi avati
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Sono andato a vedere l'ultimo film di Pupi Avati per due ragioni. Avati è un bravo regista e spesso crea dei capolavori. Recentemente mi erano piaciuti MARCORE' in IL CUORE ALTROVE e Antonio Albanese in LA SECONDA NOTTE DI NOZZE: due personaggi dolcemente folli.
MA STAVOLTA LA MAGIA NON HA FUNZIONATO.
La seconda ragione era la curiosità. A quel bar ci andavo anch'io DIECI ANNI DOPO IL 1954 e giocavo (male) a boccette (la GORIZIANA è troppo difficile). Perciò mi chiedevo: chi mi aveva preceduto in quella saletta? SE ERANO DAVVERO COSI' non mi sono perso niente. SCROCCONI CINICI E CRUDELI (gli scherzi e le zingarate di AMICI MIEI in confronto FANNO TENEREZZA), nessuno che riesca veramente simpatico.
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Sono andato a vedere l'ultimo film di Pupi Avati per due ragioni. Avati è un bravo regista e spesso crea dei capolavori. Recentemente mi erano piaciuti MARCORE' in IL CUORE ALTROVE e Antonio Albanese in LA SECONDA NOTTE DI NOZZE: due personaggi dolcemente folli.
MA STAVOLTA LA MAGIA NON HA FUNZIONATO.
La seconda ragione era la curiosità. A quel bar ci andavo anch'io DIECI ANNI DOPO IL 1954 e giocavo (male) a boccette (la GORIZIANA è troppo difficile). Perciò mi chiedevo: chi mi aveva preceduto in quella saletta? SE ERANO DAVVERO COSI' non mi sono perso niente. SCROCCONI CINICI E CRUDELI (gli scherzi e le zingarate di AMICI MIEI in confronto FANNO TENEREZZA), nessuno che riesca veramente simpatico. Si può perdonare il nonno che muore felice tra le braccia di una puttanella, non il nipote che balla il mambo davanti al suo cadavere ancora caldo.
Merita comunque un applauso GIANNI CAVINA (il nonno di cui sopra) e bravo anche a LO CASCIO. Quanto a Diego Abatantuono, credo che il meglio di sè lo dia nella pubblicità di Alice. Non qui, credetemi.
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olimpio
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domenica 12 aprile 2009
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millantato credito
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Un film insignificante,un grande sforzo scenografico autoreferenziale al servizio di una sceneggiatura fragile,leziosa,superficiale.Ma di quale Bologna si parla,perchè non si capisce,i personaggi sembrano costruiti a tavolino e malamente cuciti insieme,un Amici miei in brutta copia,peccato l'idea narrativa di partenza poteva essere interessante,l'Italia del dopo guerra pre boom economico,una città ubertosa con una ritrovata voglia di vivere, si è risolto però in un compitino di bella calligrafia ma noioso.Un apertura di credito ad Avati che non ripeterò
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pipay
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domenica 5 aprile 2009
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un amarcord privo di spessore
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Il film non è certo un capolavoro. In primo piano un gruppo di pseudo amici/nemici che frequentano, nel 1954, un bar di Bologna. Città e atmosfera di quel periodo appena passabili, anche se si riscontra una certa cura nel dettaglio e nei particolari. Vicende di poco conto, trovate goliardiche, intese, malintesi e sfide; personaggi-macchietta, descritti in modo bozzettistico, che dovrebbero conferire originalità e spessore a un film che invece lascia poca traccia nello spettatore e può essere visto giusto come passatempo. Da segnalare l'interpretazione di Fabio De Luigi e soprattutto quella di Gianni Cavina. Troppo spesso, nelle sue pellicole, Pupi Avati non approfondisce le tematiche e la psicologia dei personaggi (con l'eccezione de "Il papà di Giovanna") e rimane quasi sempre qualcosa di irrisolto, che non soddisfa del tutto.
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Il film non è certo un capolavoro. In primo piano un gruppo di pseudo amici/nemici che frequentano, nel 1954, un bar di Bologna. Città e atmosfera di quel periodo appena passabili, anche se si riscontra una certa cura nel dettaglio e nei particolari. Vicende di poco conto, trovate goliardiche, intese, malintesi e sfide; personaggi-macchietta, descritti in modo bozzettistico, che dovrebbero conferire originalità e spessore a un film che invece lascia poca traccia nello spettatore e può essere visto giusto come passatempo. Da segnalare l'interpretazione di Fabio De Luigi e soprattutto quella di Gianni Cavina. Troppo spesso, nelle sue pellicole, Pupi Avati non approfondisce le tematiche e la psicologia dei personaggi (con l'eccezione de "Il papà di Giovanna") e rimane quasi sempre qualcosa di irrisolto, che non soddisfa del tutto. Tre stelle e non due perché, in fondo in fondo, qualcosa di buono c'è.
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altryx
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domenica 17 maggio 2009
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gassoso.
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film che annovera un cast eccezionale di attori, guidato da un buon regista che narra una storia di ricordi che rinfrescano le memerie dello spettatore, il che fa presagire ad un bellissimo film.
tutti i personaggi sono realistici e forti grazie alle buone prove degli attori, quindi tutto perfetto? niente affatto purtroppo il che penalizza di molto l'opera di pupi avati, con un materiale simile doveva fare il botto, invece e un flop clamoroso.
il film descrive i personaggi, unici, del bar margherita, descrivendoli come grandi esemplari, ma in realtà sono dei personaggi poco affascinanti molto diversi e molto meno divertenti dei tanti amici dei bar margherita di tutta italia, lasciado lo spettatore spiazzato e deluso.
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film che annovera un cast eccezionale di attori, guidato da un buon regista che narra una storia di ricordi che rinfrescano le memerie dello spettatore, il che fa presagire ad un bellissimo film.
tutti i personaggi sono realistici e forti grazie alle buone prove degli attori, quindi tutto perfetto? niente affatto purtroppo il che penalizza di molto l'opera di pupi avati, con un materiale simile doveva fare il botto, invece e un flop clamoroso.
il film descrive i personaggi, unici, del bar margherita, descrivendoli come grandi esemplari, ma in realtà sono dei personaggi poco affascinanti molto diversi e molto meno divertenti dei tanti amici dei bar margherita di tutta italia, lasciado lo spettatore spiazzato e deluso.
sempre che da un momento all'altro arrivi l'evento toccante o l'evento diventente, ma non succede niente il nulla assoluto, film gia visto senza nessuna possibilità di essere raccontato o consigliato gia dopo 30 minuti di fine film.
sconsigliato non aggiunge nulla al repertorio di avati anzi ne comincia ad intaccare la credibilità.
voto 4/10 gassoso.
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houssy
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mercoledì 13 maggio 2009
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gli amici del bar margherita: pupi's memories
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Strano regista Pupi Avati, davvero strano, ogni suo film è un'incognita, una scommessa con lo spettatore. Chi ricorda La casa dalle finestre che ridono e Zeder, saprà a cosa mi riferisco, il buon Pupi infatti non disdegna l'horror (come nei due film appena citati), il film in costume (I cavalieri che fecero l'impresa) e soprattutto ama crogiolarsi nei ricordi dei tempi che furono (Una gita scolastica, Il cuore altrove). Gli amici del bar Margherita è l'ultimo capitolo di questa personalisima autobiografia cinematografica del regista bolognese, un film fortemente connotato dal tipo di umanità che affollava i pensieri dell'allora giovane cineasta. Chi fa cinema è per vocazione tentato di mettere la propria vita nel proprio lavoro, ma qui si esagera.
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Strano regista Pupi Avati, davvero strano, ogni suo film è un'incognita, una scommessa con lo spettatore. Chi ricorda La casa dalle finestre che ridono e Zeder, saprà a cosa mi riferisco, il buon Pupi infatti non disdegna l'horror (come nei due film appena citati), il film in costume (I cavalieri che fecero l'impresa) e soprattutto ama crogiolarsi nei ricordi dei tempi che furono (Una gita scolastica, Il cuore altrove). Gli amici del bar Margherita è l'ultimo capitolo di questa personalisima autobiografia cinematografica del regista bolognese, un film fortemente connotato dal tipo di umanità che affollava i pensieri dell'allora giovane cineasta. Chi fa cinema è per vocazione tentato di mettere la propria vita nel proprio lavoro, ma qui si esagera. Gli amici del bar Margherita infatti, è un insieme molto gradevole di siparietti e di piacevoli caricature, una collezione di delicati ritratti che difficilmente interesserà coloro che vivono fuori dalle mura della dotta Bologna. Il limite è proprio quello di non raccontare una storia comunque più alta, più universale, quando Scorsese per esempio dirige Quei bravi ragazzi (CAPOLAVORO!) mette molto di se stesso e della sua infanzia nel film, senza però tralasciare la storia e senza dimenticare di far volare il cinema. Avati compie l'esercizio contrario, cercando a tutti i costi di tenere il suo cinema al guinzaglio, di farlo apparire dimesso, minimale, leggero, rischiando infine di renderlo impalpabile e sfuggente. Quello che resta finita la visione è niente altro che una fotografia, bella sì, ma sempre e comunque una semplice fotografia, una cartolina a tinte seppia di un'epoca affascinante e lontana, troppo poco.
LA SCENA CHE VALE IL FILM
Su tutte il finale, davvero giusto e toccante.
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(di fabruss)
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dario adamo
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mercoledì 13 maggio 2009
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commedia corale e agrodolce
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Pupi Avati pensa bene di fermarsi un attimo e guardare indietro al proprio passato, tornare alla propria adolescenza fatta di eroi ingenui, un po' goffi e un po' machi, ma sempre grandiosi. Idoli da carambola e caffè corretto, geni della piccola truffa e dello scherzo ben architettato, gioviali affaristi da bancone. E pensare che c'era qualcuno che li ammirava anche quei perdigiorno lì, che agognava un posto nella foto ricordo di fine anno per potersi sentire finalmente parte dell'olimpo dei propri dei.
La città è Bologna, l'anno è il 1954 e in via Saragozza c'è il bar Margherita. Di fronte a questo bar ci abita Taddeo (l'esordiente Pierpaolo Zizzi), un diciassettenne che da grande vorrebbe essere proprio come i frequentatori di quel bar.
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Pupi Avati pensa bene di fermarsi un attimo e guardare indietro al proprio passato, tornare alla propria adolescenza fatta di eroi ingenui, un po' goffi e un po' machi, ma sempre grandiosi. Idoli da carambola e caffè corretto, geni della piccola truffa e dello scherzo ben architettato, gioviali affaristi da bancone. E pensare che c'era qualcuno che li ammirava anche quei perdigiorno lì, che agognava un posto nella foto ricordo di fine anno per potersi sentire finalmente parte dell'olimpo dei propri dei.
La città è Bologna, l'anno è il 1954 e in via Saragozza c'è il bar Margherita. Di fronte a questo bar ci abita Taddeo (l'esordiente Pierpaolo Zizzi), un diciassettenne che da grande vorrebbe essere proprio come i frequentatori di quel bar. Come Al (Diego Abatantuono), leader di tutti e di nessuno e abile giocatore di carambola o il pio Bep (Neri Marcorè), animella buona e giusta, che conta tutto quello che vede e si lascia trascinare in tutto, quasi addirittura fino all'altare o ancora Manuelo (Luigi Lo Cascio), nobile siciliano trapiantato al nord e orgoglioso “linfomane” d'arrembaggio, o Gian (Fabio De Luigi) che spera di diventare un Big (diremmo oggi) di Sanremo, ma per il momento si accontenta di montare antenne della neo-arrivata televisione. Per tutti questi “eroi” Taddeo è e rimarrà sempre Coso, ma a lui va bene così, l'importante è essercisi avvicinati abbastanza da entrare per lo meno nel loro campo visivo. L'olimpo del bar Margherita è bello anche solo da vedere, scorcio di un'umanità intoccabile e sacra.
Cast strepitoso ed eterogeneo, oltre ai soprannominati sono da citare il sempre Avati-fedele Gianni Cavina, nel ruolo di un nonno ex-barbiere e apprendista pianista, la (qui ancor più) bella e brava Laura Chiatti, la maestra Luisa Ranieri e mamma Katia Ricciarelli. Un “chi più ne ha, più ne metta” potenzialmente rischioso insomma, se non ci fosse un abile direttore d'orchestra come Avati a coordinare primi violini di sempre (Abatantuono, Cavina) e talentuosi esordienti alla prima apparizione cinematografica (il ventisettenne pugliese Zizzi). Il risultato infatti è una più che mai corale (e riuscita) commedia sentimentale, dove la nostalgia di un passato rievocato non è mai melensa nel sorriso o patetica nel ricordo.
Girato gran parte a Cuneo, perché Bologna si è troppo “rammodernata”, il film si rifà leziosamente anche ad alcuni scherzi veramente realizzati da qualche esponente di questa originale élite da portico-fuori-porta, ma l'obiettivo principale di Avati è stato quello di ricostruire il ricordo di “un luogo del cuore” più che di riportare in vita un ambiente così com'era in quegli anni. Ciò non significa venir meno a un principio di fedeltà che è stato accuratamente rispettato nel ricostruire una gerarchia di forze, valori, relazioni su cui la vita di un bar (come il Margherita) si fondava e che ora sarebbe impensabile rivedere.
Oggi di social ci sono solo i network e forse i frequentatori del bar Margherita nel 2009 riuscirebbero a malapena a comunicare via chat, tra frenesia e crisi economica. Come dire, si stava meglio quando si stava peggio, quando le giornate almeno si perdevano sanamente e con cognizione di causa. Almeno ci si faceva due risate.
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il brandani
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domenica 26 dicembre 2010
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"la lenta vita" di avati
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Bologna, 1954. Un timido giovane ha il sogno di diventare membro della comitiva del bar Margherita, un locale di via Saragozza, frequentato da personaggi eterogenei e singolari. Il bar rappresenta il paradigma della vita lenta italiana anni ’50, con le sue storie, le sue chiacchiere e le sue ghignate tipicamente provinciali.
Per il suo Gli amici del bar Margherita pare proprio, sin dalle prime scene, che Pupi Avati abbia preso Amarcord e I vitelloni di Federico Fellini come due grandi punti di riferimento.
Se del primo possiamo notare il carattere nostalgico che porta al riemergere di una realtà lontana dalla nostra, è del secondo la sua struttura non unitaria, episodica, fatta di aneddoti che coinvolgono i protagonisti.
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Bologna, 1954. Un timido giovane ha il sogno di diventare membro della comitiva del bar Margherita, un locale di via Saragozza, frequentato da personaggi eterogenei e singolari. Il bar rappresenta il paradigma della vita lenta italiana anni ’50, con le sue storie, le sue chiacchiere e le sue ghignate tipicamente provinciali.
Per il suo Gli amici del bar Margherita pare proprio, sin dalle prime scene, che Pupi Avati abbia preso Amarcord e I vitelloni di Federico Fellini come due grandi punti di riferimento.
Se del primo possiamo notare il carattere nostalgico che porta al riemergere di una realtà lontana dalla nostra, è del secondo la sua struttura non unitaria, episodica, fatta di aneddoti che coinvolgono i protagonisti. Purtroppo tra i film sopracitati e questo vi è però un abisso che non permette particolari lodi di parentela bensì una sorta di sconcerto che alla fine, nonostante le risate qua e là, porta inevitabilmente ad affermare: “si poteva fare meglio”.
Le motivazioni sono molteplici. In primo luogo non c’è una solida sceneggiatura e non c’è profondità nei personaggi. Gli episodi si susseguono senza una tangibile appartenenza a un tutto che li deve racchiudere, sono isolati, soffrono di un sistema di vasi non comunicanti. La quasi totale mancanza dei dialetti, delle cadenze e degli accenti rende la rappresentazione artificiosa e plastica, elemento inverosimile se si tratta di ritrarre un ambiente popolare come quello di un bar. Il dialetto ha un ruolo essenziale nell’immersione dello spettatore nel contesto ed è proprio questa mancanza che pone Gli amici del bar Margherita a notevole distanza, in fatto di ricostruzione storica, da un Baarìa (tra l’altro nemmeno l’opera migliore di Tornatore, a mio parere).
Un altro punto debole sul quale vale la pena soffermarsi è la condizione di sagome in cui sono costretti a muoversi i personaggi. La maggior parte di essi grida invano per tutto il film nel tentativo di raccontare la propria storia ma vengono relegati in macchiette. In particolare è sconfortante vedere come il personaggio di Diego Abatantuono venga ulteriormente compresso, non pago del suo già modesto spessore, schiacciato sulla reiterazione di un tormentone a lungo andare indigesto. E così egli si manifesta come un Abatantuono di Mediterraneo di Salvatores che però vagheggia nei pressi della dimensione grottesca di Attila flagello di Dio.
Infine vi è la discutibile scelta, sebbene ammetto si tratti di pura opinione personale, di trasformare in cinepresa l’occhio di un personaggio che possiede fin troppi aspetti negativi per essere il protagonista di un film di questo tipo. Se in I vitelloni, il protagonista, Moraldo, che mantiene allo stesso modo un ruolo abbastanza passivo, da osservatore, è però proprio lui l'unico ad avere il coraggio di lasciare il paese e partire per Roma; nel film di Avati questo ruolo appartiene a Coso, che però non ha nessuna parabola, nessun riscatto, anzi, ambisce a far parte della comitiva del bar poiché gode proprio nell’osservare i suoi amici, che per lui sono più che amici, sono miti, ma in realtà miti non sono. Tutto lo sforzo di Moraldo nel lasciarsi alle spalle una realtà deleteria e maturare una visione più sobria di ciò che lo circonda, il suo sguardo amareggiato, viene sostituito dal sorrisetto beota di Coso che al contrario abbraccia quella realtà fatta di goliardia paesana e irresponsabile.
Che dire di buono, quindi, di questa grande occasione sprecata? Sicuramente l’aspetto “estetico”.
Scenografie e luci sono veramente eccezionali. I costumi bellissimi e coerenti. Infine gli interpreti dimostrano una bravura che riesce, fortunatamente, a rimanere indipendente dalla natura farsesca dei personaggi, da segnalare soprattutto Neri Marcorè, Fabio De Luigi (da antologia il suo provino per partecipare a Sanremo) e Luigi Lo Cascio (una risata tanto irritante quanto indimenticabile).
In sintesi un buon film, non eccezionale ma nemmeno sconsigliabile.
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filippo catani
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venerdì 16 maggio 2014
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vita da bar
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Bologna 1954. Un giovane ragazzo racconta un anno di vita all'interno del bar Margherita di via Saragozza dividendosi tra i personaggi che popolano il bar e innumerevoli avventure.
Un Pupi Avati nostalgico ripensa un po' alla Bologna che fu ma soprattutto a quella vita da bar e a quei personaggi da bar che oggi ormai sono del tutto tramontati. Ecco allora le gare alla goriziana con gli altri locali, il fufantello, il cantante mancato e tutti sono diretti da un personaggio che è un po' il capobanda ed è interpretato da un valido Abbatantuono. Per il resto davvero grandi note di nostalgia dalla partita ascoltata in rigoroso silenzio davanti alla radio al locale notturno pieno di ragazze.
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Bologna 1954. Un giovane ragazzo racconta un anno di vita all'interno del bar Margherita di via Saragozza dividendosi tra i personaggi che popolano il bar e innumerevoli avventure.
Un Pupi Avati nostalgico ripensa un po' alla Bologna che fu ma soprattutto a quella vita da bar e a quei personaggi da bar che oggi ormai sono del tutto tramontati. Ecco allora le gare alla goriziana con gli altri locali, il fufantello, il cantante mancato e tutti sono diretti da un personaggio che è un po' il capobanda ed è interpretato da un valido Abbatantuono. Per il resto davvero grandi note di nostalgia dalla partita ascoltata in rigoroso silenzio davanti alla radio al locale notturno pieno di ragazze. All'interno storie più o meno tragicomiche tra lo scherzo di Sanremo e il boicottaggio di un matrimonio. Insomma echi passati di un mondo che non c'è più specialmente nelle città dove ormai tutti vanno di corsa e ormai anche i bar hanno perso il loro status di luogo di ritrovo principe. Bene tutto il cast per un film veloce e piacevole.
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