mondolariano
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mercoledì 6 aprile 2011
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un fiore in onore all'amico
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La “Grande illusione” ha il grande merito di donare al mondo una scena-capolavoro, ossia la morte del capitano Boeldieu assistito dal maggiore von Rauffenstein. Un momento di inarrivabile emozione, collocato sulle vette più alte del panorama cinematografico. L’austerità del castello, il fiore tagliato in onore all’amico, i fiocchi di neve che scendono dietro la finestra: tutte immagini di desolante gelo interiore ma anche romanticismo di un mondo condannato al declino: il mondo prussiano delle antiche aristocrazie elevate alla massima potenza, valorizzate dalla memorabile interpretazione di Erich von Stroheim. Non che l’aristocrazia sia di per sé una cosa simpatica (Rauffenstein porta rispetto a Boeldieu in quanto nobile) ma dal suo punto di vista è veramente ineccepibile.
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La “Grande illusione” ha il grande merito di donare al mondo una scena-capolavoro, ossia la morte del capitano Boeldieu assistito dal maggiore von Rauffenstein. Un momento di inarrivabile emozione, collocato sulle vette più alte del panorama cinematografico. L’austerità del castello, il fiore tagliato in onore all’amico, i fiocchi di neve che scendono dietro la finestra: tutte immagini di desolante gelo interiore ma anche romanticismo di un mondo condannato al declino: il mondo prussiano delle antiche aristocrazie elevate alla massima potenza, valorizzate dalla memorabile interpretazione di Erich von Stroheim. Non che l’aristocrazia sia di per sé una cosa simpatica (Rauffenstein porta rispetto a Boeldieu in quanto nobile) ma dal suo punto di vista è veramente ineccepibile.
Per il resto, mi sembra strano che una vedova di guerra si affezioni a due soldati dell’esercito nemico, ma la “grande illusione” sta anche nel fatto di sperare che tutto possa essere così, nonostante l’eccesso di cavalleria e buoni sentimenti, all’interno di un film trasversale al di fuori delle parti.
Quattro stelle e mezzo.
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[+] dolente e toccante manifesto antimilitarista.
(di antonio montefalcone)
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luca scial�
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lunedì 4 febbraio 2013
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galantuomini in guerra
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Prima Guerra Mondiale. Due aviatori francesi vengono fatti prigionieri dai tedeschi e messi insieme ad altri ufficiali. Essendo fuggiaschi recidivi, vengono poi portati in un castello, per una prigionia in isolamento. Ma ciò non li dissuade dal tentare di scappare, pure riuscendovi. Nel loro lungo peregrinare, trovano riparo nella casa di una contadina rimasta sola con la figlioletta. Ma a malincuore devono lasciare anche questo tetto.
Scritto a quattro mani con Charles Speak, trattasi di un film bellico anticonvenzionale, che da un minimo spazio alle armi ed esalta la galanteria dei protagonisti. Il vero obiettivo è l'assurdità della guerra, e l'illusione che essa sia finita.
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Prima Guerra Mondiale. Due aviatori francesi vengono fatti prigionieri dai tedeschi e messi insieme ad altri ufficiali. Essendo fuggiaschi recidivi, vengono poi portati in un castello, per una prigionia in isolamento. Ma ciò non li dissuade dal tentare di scappare, pure riuscendovi. Nel loro lungo peregrinare, trovano riparo nella casa di una contadina rimasta sola con la figlioletta. Ma a malincuore devono lasciare anche questo tetto.
Scritto a quattro mani con Charles Speak, trattasi di un film bellico anticonvenzionale, che da un minimo spazio alle armi ed esalta la galanteria dei protagonisti. Il vero obiettivo è l'assurdità della guerra, e l'illusione che essa sia finita. Ma il Mondo ne conoscerà tante altre. Molto toccante la scena della bambina che mangia da sola in un tavolo vuoto. La guerra le ha portato via tutto.
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great steven
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sabato 28 febbraio 2015
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la perla della pace sboccia nel campo di prigionia
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LA GRANDE ILLUSIONE (FR, 1937) diretto da JEAN RENOIR. Interpretato da JEAN GABIN, DITA PARLO, ERIC VON STROHEIM, PIERRE FRESNAY, MARCEL DAILO, JULIEN CARETTE, GEORGES PECLET, GASTON MODOT, WERNER FLORIAN
Durante la Prima Guerra Mondiale, due aviatori francesi prigionieri, l’aristocratico parigino Marechal e il proletario ebreo Rosenthal, sono inviati in un castello trasformato in campo di concentramento, comandato da un asso dell’aviazione tedesca, il capitano Rauffestein. Mentre per il sergente Boeldieu non ci sarà via di scampo (morirà in un tentativo di fuga colpito dallo stesso Rauffestein, paradossalmente l’unico ufficiale germanico che aveva dimostrato un po’ di calorosa umanità nei confronti dei detenuti), la sorte favorirà Marechal e Rosenthal: i due uomini si faranno ospitare da una contadina tedesca con una figlia piccola a carico e una mucca molto produttiva e poi riprenderanno il loro cammino verso la patria d’origine e la libertà.
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LA GRANDE ILLUSIONE (FR, 1937) diretto da JEAN RENOIR. Interpretato da JEAN GABIN, DITA PARLO, ERIC VON STROHEIM, PIERRE FRESNAY, MARCEL DAILO, JULIEN CARETTE, GEORGES PECLET, GASTON MODOT, WERNER FLORIAN
Durante la Prima Guerra Mondiale, due aviatori francesi prigionieri, l’aristocratico parigino Marechal e il proletario ebreo Rosenthal, sono inviati in un castello trasformato in campo di concentramento, comandato da un asso dell’aviazione tedesca, il capitano Rauffestein. Mentre per il sergente Boeldieu non ci sarà via di scampo (morirà in un tentativo di fuga colpito dallo stesso Rauffestein, paradossalmente l’unico ufficiale germanico che aveva dimostrato un po’ di calorosa umanità nei confronti dei detenuti), la sorte favorirà Marechal e Rosenthal: i due uomini si faranno ospitare da una contadina tedesca con una figlia piccola a carico e una mucca molto produttiva e poi riprenderanno il loro cammino verso la patria d’origine e la libertà. J. Renoir, nipote del pittore impressionista Pierre, ha saputo cavare da una sceneggiatura ricchissima e proficua un capolavoro di umanesimo che lancia il suo grido accorato contro la guerra e ne denuncia uno degli aspetti più reconditi ma certo non secondario o ingannevole: la detenzione dei nemici stranieri, peggio ancora se nelle ristrettezze e negli stenti obbligati di una zona adibita alla concentrazione di uomini che sperano soltanto nel termine delle ostilità e nel ritorno di una pace tanto agognata che sembra però sempre lontanissima. È questa l’illusione del titolo, quella in cui tutti gli uomini sperano nel bel mezzo di un conflitto armato che tiene lontane migliaia di persone dalla propria casa e sacrifica vite umane ad un prezzo per il quale non vale la pena di morire. Le radici e le tradizioni valgono molto più di un territorio o di un tesoro da conquistare, e questa pellicola superlativa e straordinaria dalla prima all’ultima sequenza lo mette in evidenza senza lesinare dettagli importanti né appigli ideologici che brillano per la loro freschezza e originalità. La verità – dei fatti, dei personaggi, dell’atmosfera – è trasformata abilmente in una poesia che esprime un tenero e al contempo drammatico messaggio pacifista, più che antimilitarista, il quale non trascura le differenze sociali. Scritto dal regista con Charles Spaak, possiede una generosità dottrinale e filosofica convertita in ricchezza di temi che fanno leva sulla sua stessa ambiguità. Una galleria di personaggi irripetibile e suprema: un pacato e convinto Gabin, un severo ma comprensivo Von Stroheim, un istrionico e munifico Fresnay. Numerose e abbondanti le sequenze memorabili, tra cui spicca per celebrità e ottimi risultati guadagnati quella in cui i prigionieri francesi si travestono da donne per cantare la “Marsigliese”. La colonna sonora segue con soavità carezzevole e tangibile lo svolgimento di una vicenda eccezionale e piena di sorprese quando meno il pubblico se lo aspetta, e ciò è testimoniato anche dalla passione dei soldati per gli strumenti musicali e i ritmi in genere, al punto da sovvertire l’ordine del carcere attrezzatissimo e rigorosissimo con improvvisati concertini e orchestre imbastite sul momento. Premiato al Festival di Venezia, per lungo tempo l’Italia fascista e la Germania nazista lo proibirono. Insieme a La passion de Jeanne d’Arc (1928) di Carl Theodor Dreyer, è l’unico film francese che figura stabilmente nelle classifiche dei “dieci migliori film della storia del cinema”. Col medesimo titolo – The Great Illusion – nel 1910 uscì un libro dell’inglese Norman Angell, amico di Bertrand Russell, che s’interrogava sui vantaggi che i vari paesi europei avrebbero tratto da un conflitto tra loro.
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