eugenio
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venerdì 1 gennaio 2021
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la rinascita dopo la malattia
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E’ un film che parla di umanità, famiglia, vita e soprattutto malattia, Cosa sarà di Francesco Bruni.
E lo fa scavando nelle pieghe traboccanti di una drammatica e biografica notizia, la scoperta di una mielodisplasia del protagonista, Bruno Salvati, (un irriconoscibile, scavato e sofferente Kim Rossi Stuart) e le cure per prevenire lo sviluppo tumorale mediante trapianto di midollo.
Eppure, Cosa sarà non è solo un semplice diario medico che occhieggia a pellicole o serie televisive passate (vedasi La linea verticale dell’indimenticato Mattia Torre cui il film è dedicato con onore), ma costituisce un affresco, a tratti apodittico e ineluttabile, di un naufragio familiare, di un’iconografia che si muove dagli anni ’70 dell’infanzia di Bruno con un bambino che affida speranzoso le sue macchinine ad un coetaneo, per spostarsi poi al rapporto con i genitori -un padre traditore e una madre passiva succube- sino a una famiglia, due figli dai caratteri opposti, forse il maschio, Tito, più simile, nei suoi attacchi d’ansia, al padre.
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E’ un film che parla di umanità, famiglia, vita e soprattutto malattia, Cosa sarà di Francesco Bruni.
E lo fa scavando nelle pieghe traboccanti di una drammatica e biografica notizia, la scoperta di una mielodisplasia del protagonista, Bruno Salvati, (un irriconoscibile, scavato e sofferente Kim Rossi Stuart) e le cure per prevenire lo sviluppo tumorale mediante trapianto di midollo.
Eppure, Cosa sarà non è solo un semplice diario medico che occhieggia a pellicole o serie televisive passate (vedasi La linea verticale dell’indimenticato Mattia Torre cui il film è dedicato con onore), ma costituisce un affresco, a tratti apodittico e ineluttabile, di un naufragio familiare, di un’iconografia che si muove dagli anni ’70 dell’infanzia di Bruno con un bambino che affida speranzoso le sue macchinine ad un coetaneo, per spostarsi poi al rapporto con i genitori -un padre traditore e una madre passiva succube- sino a una famiglia, due figli dai caratteri opposti, forse il maschio, Tito, più simile, nei suoi attacchi d’ansia, al padre.
Finchè un apparentemente trascurabile esame, palesa ciò di cui la vita a volte, ci pone davanti: un muro, insormontabile, che va affrontato, scalato, per andare dall’altra parte, per conseguire la gioia.
Non conta sapere tante cose…. Se non si possiede la gioia non si conosce niente. Nella gioia è possibile ricaricare ogni cosa, è la perfezione a cui noi cediamo quando usciamo dall’infanzia, non ha fissa dimora, è un fiocco invisibile che unisce, che ci unisce. Che lega anche Bruno Salvati- Francesco Bruni, la persona che si fa personaggio, nella cronaca di una dolorosa ricerca, di un donatore compatibile per un trapianto midollare, andando a scavare appunto in un passato, forse a tratti, assai più sconvolgente della stessa malattia, di una Livorno sferzata dalle onde del Tirreno.
Bruno affronterà a testa alta quell’impervia scalata, chiaramente, evolvendo dalla sua “condizione di misconosciuto regista in crisi”, di quarantaseienne egocentrico e infantile che ha fatto dell'autoironia e di un sano cinismo le sue chiavi di accesso a un mondo che non si preoccupa di comprendere fino in fondo e che imparerà a guardare, forse da una luce diversa.
Nell’analisi sociologica di una cronaca di una malattia, delineata con precisione chirurgica (è il caso di dirlo) grazie a scene pregnanti, permeate da un’assoluta mimesis di fondo dell’attore nel reparto di ematologia, nel rapporto col sorridente infermiere Nicola (il figlio più piccolo, Avati permettendo, Nicola Nocella), Francesco Bruni delinea un quadro commovente, a tratti visionario (frequenti sono le visioni della madre scomparsa durante il delirio farmacologico), capace di rendere vivo il dolore del protagonista ma anche, in tralice, riflettere sul significato di una famiglia dove sono le donne, loro, gli spiriti guida. Donne volitive, generose come la figlia di Bruno ma anche fragili, incapaci di sopportare a lungo un dolore così profondo senza crollare; donne che sembrano tenere sotto controllo tutto, algidamente avvinte agli schemi clinici del decorso di una malattia (la dottoressa che ha in cura Bruno) ma profondamente romantiche tanto da organizzare persino una crociera con “i trapiantati” per festeggiarne il decorso positivo.
Donne, poesia e amore. Perché sembra strano ma Cosa sarà è un film che parla d’amore. Un amore primigenio, avvinto al tempo dell’infanzia, smarrito e profondamente nostalgico con cui ogni personaggio convive. E che tramite esso, trova la forza, per risorgere a nuova vita anche nei momenti più bui.
Con una strizzata d’occhio a Fellini e qualche scena leggermente forzata, Cosa sarà scorre via come un battito di ciglia, senza autocitarsi, ma lasciando noi spettatori sospesi in alcuni rari momenti di poetica saudade, in cui è possibile con la semplice forza di un’immagine, emozionarsi. Che è ciò che il cinema oggigiorno, di questi tempi, dovrebbe imparare a recuperare.
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felicity
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lunedì 21 febbraio 2022
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un film tutto di pancia che non si vergogna
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Cosa sarà mette a fuoco tutti i fantasmi della morte. Quali pensieri abbiamo quando ci accade qualcosa all’improvviso? Quanto siamo sinceri, recitiamo, siamo a disagio con gli altri? Per rassicurarli certo, ma anche per nascondergli come realmente stiamo. Il quarto lungometraggio diretto da Francesco Bruni, scritto dallo stesso regista con la collaborazione del protagonista Kim Rossi Stuart, è prima di tutto vissuto nella testa di Bruno Salvati, professione regista.
In parte autobiografico, Cosa sarà entra diretto nella testa di Bruno. Mette a nudo la sua fragilità, rabbia, speranza o pessimismo.
Non ci sono filtri. Ci sono i pensieri intimi, più nascosti di Bruno.
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Cosa sarà mette a fuoco tutti i fantasmi della morte. Quali pensieri abbiamo quando ci accade qualcosa all’improvviso? Quanto siamo sinceri, recitiamo, siamo a disagio con gli altri? Per rassicurarli certo, ma anche per nascondergli come realmente stiamo. Il quarto lungometraggio diretto da Francesco Bruni, scritto dallo stesso regista con la collaborazione del protagonista Kim Rossi Stuart, è prima di tutto vissuto nella testa di Bruno Salvati, professione regista.
In parte autobiografico, Cosa sarà entra diretto nella testa di Bruno. Mette a nudo la sua fragilità, rabbia, speranza o pessimismo.
Non ci sono filtri. Ci sono i pensieri intimi, più nascosti di Bruno. La paura di non farcela e di far parte di quel 15%, come rivela in quel serrato scontro con la dottoressa, dove trasmette proprio a pelle, che in quel momento si è abbattuto e non crede a niente. Si avvertono tutti i suoi pensieri e ne escono solo una piccola parte. A cosa pensa Bruno mentre gli viene rasata la testa? E a cosa pensa nel momento in cui entra in quell’agenzia immobiliare? Poi c’è il mondo di fuori, gli altri. Già in quella stanza d’ospedale dove è assistito. C’è l’esterno. Il mondo fuori. La finestra aperta per far uscire una mosca. La vista del mare dall’appartamento di Livorno. Il mondo fuori, lo spazio, sono gli altri. I figli, l’ex-moglie, il padre e una nuova presenza nella sua famiglia.
Cosa sarà parla di paura e di malattia. La trasmette pur provando a sdrammatizzare attraverso lo sguardo di Kim Rossi Stuart, perfetto proprio per il fatto che non interpreta ma vive il suo personaggio con tutta l’energia che ha in corpo. E tutto il cast va oltre il proprio personaggio. Ognuno mette qualcosa di suo, forse di vissuto, forse no.
Bruni realizza un film tutto di pancia. Non si vergogna delle debolezze umane, anzi diventano un punto di forza.
Bruno rivede il fantasma della madre in ospedale. C’è uno scarto tra quello che vede e quello che crede di vedere.
Cosa sarà mette a fuoco tutti i fantasmi della morte ma con uno slancio totalmente vitale. Si piange e si ride, anzi si piange e si ride insieme. La rivelazione del regalo di Natale è un colpo di classe. E nel finale si può vedere davvero che la vita può ripartire. Anche da zero. Perché Cosa sarà ci si attacca con tutte le sue forze. Le mani, i denti, le unghie. La gente che ci sta vicino è molto migliore di quello che pensiamo quando non stiamo bene e diventiamo cinici. E anche il ricordo d’infanzia del bambino con le macchinette, ci dimostra che alla fine alcune persone sono meno brutte rispetto alle apparenze. Basta crederci, saperle aspettare. C’è tempo. Oppure no.
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enzo70
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domenica 11 luglio 2021
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un film intelligente e di grande sensibilità
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Un tema complicato, quello della malattia e delle lunghe, consuete, e spesso inutili, battaglie per contrastare maledette cellule impazzite. Un argomento che fa parte del nostro vissuto, tutti ci siamo passati, ma che Bruno Salvati riesce a trattare con leggerezza ed intelligenza con il supporto di un ottimo cast, con un grande Kim Rossi Stuart. La sintesi del film è nella frase che la figlia Adele dice al padre Bruno nel pieno della malattia: “se muori sei uno stronzo”. Un’affermazione che non consente altro che speranza, forza e vigore. Peccato non aver potuto questo bel film al cinema, maledetto virus che ci ha costretti a vivere storie come queste nella solitudine dei nostri saloni.
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Un tema complicato, quello della malattia e delle lunghe, consuete, e spesso inutili, battaglie per contrastare maledette cellule impazzite. Un argomento che fa parte del nostro vissuto, tutti ci siamo passati, ma che Bruno Salvati riesce a trattare con leggerezza ed intelligenza con il supporto di un ottimo cast, con un grande Kim Rossi Stuart. La sintesi del film è nella frase che la figlia Adele dice al padre Bruno nel pieno della malattia: “se muori sei uno stronzo”. Un’affermazione che non consente altro che speranza, forza e vigore. Peccato non aver potuto questo bel film al cinema, maledetto virus che ci ha costretti a vivere storie come queste nella solitudine dei nostri saloni. Comunque un film da vedere, ricco di spunti e di umanità.
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