L'Affido - Una storia di violenza

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Julien e il suo sguardo... Valutazione 3 stelle su cinque

di loland10


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domenica 1 luglio 2018

L’Affido. Una storia di violenza” (Jusqu'à la gard, 2017) è il primo lungometraggio del regista francese Xavier Legrand.
Un ‘docu-film’ opera prima premiato a Venezia nello scorso settembre. La distribuzione è quella che è ma viene da chiedersi se già dall'inizio i produttori non credono a certe storie. 
Da un soggetto e un corto di alcuni anni fa, il regista francese allarga le misure e racconta le diatribe, le discussioni, i silenzi e i pochi ascolti di una coppia e dei suoi due figli. Opera prima certo coraggiosa ma priva e degna di nota essenziale con uno stile mescolante e mai ben preciso.
Da un lungo di parole e silenzi, di diatribe e di strettoie, da un'aula asfittica è attesa si arriva in un crescendo, non sempre lineare, ad una tensione e paura rinchiusi dentro un bagno. Dagli sguardi vivi e lucidi agli occhi pressanti dentro una vasca.
Un film che non convince appieno, perde compattezza tra una prima e una seconda parte, schematizza ogni contrasto ed eccede non nel vero ma in una sintonia di terrore per l'ansia e attesa dello spettatore per vedere cosa succede. Sembra tutto in distacco.
Opera che quindi trattiene troppo, non coinvolge  e poi va oltre nella parte finale dove alcuni volti diventano statuari e immobili. Il soccorso, l'aiuto, il tono e lo sguardo in simili frangenti sono quello che attendi: tutto si svaluta in espressioni smorte e non piene.
E poi...una vecchia di fronte al portone di lei....osserva, scruta, non fa finta di nulla e decide di chiamare la polizia. Ecco il volto di un'anziana che per pochi attimi rimane impressa più di tanti discorsi.
Incipit: processuale e giudice, parti i in causa e avvocati, sguardi e poche attenzioni. Sonoro azzerato, rumori assenti e commento musicale annullato.
Poi iniziano le visite a casa della madre per prendere il figlio Julien da parte del padre. In auto è sotto che aspetta, suona il clacson,  c’è sempre tensione. Il bambino rimane lì a vedere e toccare con mano quello che il padre cerca di fare, per conquistarlo, per poter ritornare da lei e con ‘coraggio’ usa lo stesso figlio per poter incontrare la moglie (ora alla festa dell’altra figlia, Joséphine,  per i suoi diciotto anni e ora per sapere dove va a dormire). 
Una madre, Miriam, che protegge il proprio bambino, Julien,  fino alla fine: senza sconti, con paura e coraggio, forza e tenacia. I segni sul suo viso,  il tremore e l’attesa sono le memorie orribile di una separazione terribile e di una violenza che si sta facendo strada. Continuamente.
Amore finito, famiglia sfinita, giudice che ascolta e sentenza senza appello.
Femminicidio e dintorni, violenza e forza , coraggio e paura,
Festa di compleanno, musica e ballo, unico momento di gioia; tutto con ripresa contrastante tra l'effetto dentro la sala con canzone e dedica e l'oscurità di un padre che cerca di rovinare tutto. Da qui in poi il film tende sempre al dramma, alla concitazione, vuole farci assecondare sul destino di una madre e del figlio piccolo.
Amore represso, amore mai nato, abbraccio forzato: Julien che scappa, che si volta, che media per la festa, che cerca se stesso, che vuole tenerezza, che sembra disconosciuto. Antoine e Julie, padre e figlio chiusi per sempre.
Intanto anche i nonni vengono coinvolti e stare dalla parte dei deboli è la cosa più ovvia e giusta. Il regista non adotta d’ora in poi mezzi schemi e quello che è il centro del film si sposta orizzontalmente, senza nessi e ragionamenti interiori, verso la violenza contro di un padre che sta perdendo tutto. Poi ci si chiede, e non è un problema secondario, cosa fanno i genitori (nel vero della vita) per vivere e che tipo di contatto hanno. Arriva anche il fidanzato di Joséphine, ma non è lui che può aprire spiragli in un contesto dilaniato. E il padre sembra disinteressato.
Dorme e chiuso ciascun  ambiente, dalla casa all’auto, dal vicolo alla notte, dal canto alle porte chiuse. 
Ostinato e cocciuto, chiuso e murato, ogni gesto del padre arriva come ci aspettiamo. Come aspettiamo una porta aperta di un bagno senza rumori di fondo.
Cast: Lèa Drucker (Miriam Besson) e Denis Ménochet (Antoine Besson) reggono I ruoli senza sorprese e con minime variazioni. Thomas Gioria (Julien) è una sorpresa nei modi e nella naturalezza (ecco che la mente va verso  ad un regista come Francois Truffaut…per immaginare solamente il modo in cui…).
Regia con giusta altezza del piccolo protagonista ma ordinaria e senza cambi di passo.
Voto: 6/10 (**½).

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