In nome di mia figlia |
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Un film di Vincent Garenq.
Con Daniel Auteuil, Sebastian Koch, Marie-Josée Croze, Christelle Cornil.
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Titolo originale Au nom de ma fille.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 87 min.
- Francia 2016.
- Good Films
uscita giovedì 9 giugno 2016.
MYMONETRO
In nome di mia figlia
valutazione media:
3,33
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La vera storia di un padre alla ricerca (lunga) dell'assassino della figlia
di Roberto Nepoti La Repubblica
Vincent Garenq è, per questi anni, un po' quel che era il suo connazionale André Cayatte per i '50: un regista di film con al centro qualcuno che si batte, da solo, contro le storture della giustizia. Con In nome di mia figlia, Garenq porta sullo schermo un fatto di cronaca tristemente noto in Francia. Nel 1982 la quattordicenne Kalinka Bamberski muore in circostanze misteriose durante una vacanza in Germania, dove soggiornava con la madre e il nuovo compagno di questa, il medico tedesco Dieter Kromback. Il padre, André, si convince che il responsabile della morte sia il dottore, il quale avrebbe violentato la ragazzina e le avrebbe praticato un'iniezione dagli effetti letali. Il tribunale, però, respinge l'ipotesi di colpevolezza, anche a causa delle pressioni che la Germania esercita sul sistema giudiziario francese. Senza arrendersi di fronte ai ripetuti fallimenti, Bamberski perseguirà la punizione di Kromback (che nel frattempo ha stuprato altre minorenni) per quasi trent'anni; passando anche per il sequestro di persona del colpevole. Per raccontare una vicenda così lunga e complessa, Garenq ricorre a una narrazione ellittica, alternata tra passato e presente e intervallata da pause a schermo nero. Se la continua puntualizzazione delle date, pur necessaria alla comprensione, è un po' fastidiosa, la regia (che qualcuno potrebbe trovare scolastica) ha i pregi della sobrietà e della precisione. Senza artifici ed evitando di ricorrere alle corde più patetiche, trova una cifra sobria eppure emotiva, di notevole efficacia. Il problema che si pone è un altro; e non riguarda tanto il piano linguistico quanto piuttosto quello etico. Il film si concentra tutto sulla sofferenza e l'ostinazione del protagonista, uomo torturato, solo, tentato dalla disperazione, per caricarlo più efficacemente di una dimensione eroica, facendone un vendicatore che, con la sua ostinazione, riesce a vincere le ingiustizie della giustizia internazionale. Personaggio molto amato dal cinema (nelle classiche declinazioni di western e di noir, fino agli attuali supereroi in costume), ma che occupa anche uno spazio nelle nostre società, spesso diffidenti della giustizia ufficiale e intrise di rancore. L'opportunità di assecondare (anche esclusa la malafede) la valorizzazione della self-justice è discutibile; tanto più quando, come qui, non puoi fare a meno di schierarti dalla parte di un eroe così esposto all'arbitrio del mondo e al dolore. La ex-moglie non vuol sapere nulla e nega tutto; il suo amante omicida è ridotto a una specie di caricatura tra il seduttore e lo stupratore seriale. E pazienza, poi, se Bamberski, tutto preso dalla sua ossessione, abbandona a se stesso il figlio minore e non si cura affatto della sua nuova compagna, che pure tenta di stargli vicino finché può. A salvare la situazione c'è, per fortuna, la bravura di Daniel Auteuil, ammirevole nella scommessa rischiosa di dare un volto al personaggio. Misurato nei gesti, ma palesemente "abitato" dall'assillo di André, l'attore riesce a essere allo stesso tempo empatico e inquietante, umanissimo e quasi detestabile. Un mix difficile da realizzare, ma che era l'unica possibilità per evitare l'equivoco dei giustizieri-fai-da-te alla Charles Bronson o alla Liam Neeson.
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