Made in France

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Attuale e macabro ritratto del hijdismo domestico. Valutazione 4 stelle su cinque

di ashtray_bliss


Feedback: 29534 | altri commenti e recensioni di ashtray_bliss
lunedì 5 settembre 2016

Made in France è un film onesto, schietto, quasi documentaristico e terribilmente attuale e profetico. La pellicola infatti, diretta prima degli attentati del 2015 al Charlie Hebdo avrebbe dovuto vedere la luce nel Novembre dello stesso anno, quando invece Parigi e tutto il mondo sono rimasti sconvolti dalla nuova ondata di barbara violenza jihadista che si è dispiegata in Europa. E' qui si racchiude tutta l'importanza e drammatica attualità del film in questione. Un film che indaga in maniera schietta, limpida e diretta il mondo parallelo e occulto nel quale si muovono le cellule jihadiste autoctone, fatte di giovani provenienti da qualsiasi estrazione sociale, tutti accomunati da un unico obiettivo comune: colpire l'occidente dal suo interno, ferirlo direttamente al cuore. In questo contesto di grigiume urbano, smarrimento sociale ed emotivo, estraniazione ed esaltazione della morte e di una guerra santa senza apparente scopo o motivo, seguiamo e ci immedesimiamo col percorso di Sam; musulmano di origine algerina con il quale il pubblico, specialmente occidentale, crea facilmente un senso di empatia e vicinanza proprio grazie all'aspetto tipicamente occidentale del protagonista (da notare che veramente quasi tutto il cast è di origini islamiche). Sam è un giornalista sotto copertura che frequenta le moschee clandestine e assiste alle prediche di odio per scrivere un libro sul integralismo islamico. Nel contempo però si legerà ad un gruppo disomogeneo di giovani musulmani uniti dal desiderio comune di dare una svolta alle loro vite in modo definitivo votandosi alla causa della jihad. Quando poi si aggiunge a loro un altro membro, Hassan, reduce di un addestramento nei campi dei miliziani in Pakistan, la cosa sembra assumere delle connotazioni sempre più drammatiche. Hassan si proclama capo della cellula e convince i giovani che gli obiettivi da colpire non devono più essere all'esterno, ma all'interno del loro stesso Paese. Ma non  più luoghi e simboli politici o militari ma semplici civili, donne e bambini compresi, proprio come le innumerevoli vittime civili dei paesi arabi. 

Posto davanti alla scelta se allearsi o meno Sam deciderà di usare la sua copertura per denunciare tutto alla polizia francese, la quale dal canto suo, costringerà il malcapitato giornalista ad addentrarsi sempre di più nel mondo ermetico e paranoico della Jihad. Trascinati anche noi spettatori in quel vortice di propaganda, follia, fanatismo bieco si ha la sensazione di assistere ad un documentario, tanto lucida e tagliente è la regia che ci costringe a seguire, senza poter distorgliere lo sguardo, questa assurda e macabra messa in scena che purtroppo, a posteriori, apparirà soltanto una lieve imitazione della realtà. Ci immedesimiamo sempre di più anche con Sam, il quale si vede costretto a tagliare i rapporti col mondo esterno (la moglie, l'asilo nido di suo figlio, gli incontri con la polizia) dovendo vivere a stretto contatto con la cellula e cercare di distogliere più informazioni possibili senza dettare sospetti su se stesso. 
Ma il film, senza cadere in eccessi di narrazione o addolcire alcuni passaggi, riesce a mettere in luce anche il carattere e le motivazioni, pure contraddittorie, dei partecipanti alla cellula: come Driss, un ex carcerato dal indole aggressiva e violenta, pronto ad imbracciare un mitra e sparare senza pietà ma che alla fine si pentirà delle sue scelte (uccidere degli innocenti) e deciderà di ritirarsi. Poi c'è Sidi, un ragazzino africano immigrato in Francia con la famiglia convinto di dover unirsi alla jihad per vendicare il cugino morto, ed infine c'è Cristophe, un giovane rampollo dell'alta società francese convertitosi all'islam per puro hobby. Le sfaccettature di questi improvvisati criminali sono altamente verosimili e credibili, senza apparire forzate e senza dover intenerire a tutti i costi gli spettatori. Il regista riesce duqnue a descrivere in modo accurato, nitido e senza sfronzoli e forzature il micro-cosmo della cellula cinematografica in questione, mantenendo il giusto equilibrio emotivo e dosando accuratamente i diversi passaggi, senza far mancare i momenti di azione, suspense, intriga e ovviamente una accurata descrizione psicologica dei personaggi, che non resta monodimensionale o superficiale ma che riesce a trasmettere le emozioni contrastanti finendo per provocare gli inevitabili punti di riflessione che una società ormai piegata dal terrorismo deve necessariamente porsi. 
Ottimo dunque il lavoro registico, supportato da uno script più che mai attuale e impressionante, nonchè sorretto da ottimi attori-protagonisti, calati nei rispettivi ruoli i quali donano quel punto in più di macabra verosimiglianza alla pellicola. Made in France, oppure Inside the Cell (titolo modificato successivamente agli attentati di Parigi) risulta un film piccolo ma incisivo, che ti costringe a pensare, riflettere ed arrabbiarti. E' un film dallo stampo nettamente anti jihad, anti fanatismo ed anti estremismo islamico, che tenta appunto di buttare luce su questo fenomeno che si sta diffondendo a macchia d'olio, proprio sul territorio europeo, e a mio modesto parere una pellicola simile andrebbe proiettata nelle scuole. Per informare e sensibilizzare. Per demistificare la jihad e ricondurre i possibili seguaci a confrontarsi con le conseguenze, etiche e materiali, delle loro azioni ed infine domandarsi, "ne vale realmente la pena?". Ottimo prodotto, terribilmente attuale e ben confezionato. Da vedere assolutamente, 4/5.

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