Il regno d'inverno - Winter Sleep

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Un film di Nuri Bilge Ceylan. Con Haluk Bilginer, Melisa Sozen, Demet Akbag, Ayberk Pekcan, Serhat Mustafa Kiliç.
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Titolo originale Kis uykusu. Drammatico, durata 196 min. - Turchia, Francia, Germania 2014. - Parthénos uscita giovedì 9 ottobre 2014. MYMONETRO Il regno d'inverno - Winter Sleep * * * 1/2 - valutazione media: 3,85 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

C’era una volta... Cechov in Anatolia Valutazione 4 stelle su cinque

di Eugenio


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venerdì 6 febbraio 2015

Il fascino della lentezza accompagna lo spettatore sin dall’inizio. Le atmosfere sono pacate, rilassate, gli spazi immensi. In lontananza un altopiano, case abbandonate e quasi a ergersi come baluardo della solitudine ecco un hotel, silente, che si staglia con prepotenza sull’orizzonte scuro.
Il titolo, Il regno di inverno, già lascia sottendere abilmente la trama che si dipanerà appunto nel gelido spazio anatolico, dai richiami vagamente cechoviani (molti hanno notato la nostalgica elegia come sintomatica malattia dell’incomunicabilità dei protagonisti) e paradossalmente verbosi in un’ambientazione totalmente fuori dal tempo e dallo spazio.
Lo spazio avulso dal mondo, l’atmosfera rarefatta con splendide immagini di case ripiegate nella roccia (di primo acchito sembra di essere tra i sassi di Matera) scavate nella superficie oltre a un chiaro significato metaforico- la vera natura dei protagonisti che viene alla luce- ha anche una suggestione fotografica.
Qui appare come un idillio, un paradiso, l’Hotel Othello, retto dal protagonista, Aydin, un attore teatrale a riposo insieme alla bella moglie Nihal più giovane e alla sorella Necla, divorziata.
L’albergo è fuori dai normali tracciati turistici, rari i villeggianti, spesso turisti attratti dalla quiete del luogo o dalle curiose conformazioni naturali rocciose. E’ quindi una sorta di non luogo che il regista Nuri Bilge Ceylan confeziona allo scopo di voler realizzare un, lungo, ipnotico flusso di coscienza tra il protagonista, le due donne e la rada comunità.
Donne che appaiono assai contrastanti negli animi: come giovane e inesperta, incapace di conoscere la vita, passionale e dipendente dai soldi del marito appare Nihal, così Necla al contrario, ha fatto del pragmatismo, dell’accidia e dell’incapacità di vivere ogni giorno con determinazione la sua ragione di esistere. In mezzo sta Aydin, l’uomo tutto d’un pezzo, che si è fatto da solo, dalle velleità letterarie, ora capace solo di “sprecare i soi anni migliori a fare cose di cui a nessuno interessa”: un libro sulla storia del teatro turco e pubblicazioni di articoli su un giornale che nessuno legge. Al di là di questo apparente “fumoso” interesse l’uomo non nasconde il suo lato “affaristico” e meramente economico.Cresciuto in una casa senza elettricità che “non sapeva come poter essere felice”, che ha cercato di cambiare il paese e il mondo, che ha realizzato una fortuna da zero, Aydin appare come una sorta di signorotto appartenente a una borghesia ottocentesca russa, un possidente, questo il termine giusto, che ha accumulato,accumulato tanta “roba” senza però risultare pienamente appagato, lucido e umano e che ora si inganna continuamente cercando di non vedere quello che appare sotto i suoi occhi :un matrimonio di cui non esiste più nulla se non una passiva convivenza e un rapporto meramente di sguardi quasi muto con una sorella che lo disprezza nel suo intimo).
In una regione remota dove sono nette e precise le grandi differenze tra nobilità e povertà, tra ricchezza e indigenza, tra razionale perfezione odiatrice del mondo e arretratezza civile frutto di una religiosità conservatrice e bigotta, si crea un gigantesco affresco di una volta, un romanzo epico fuori dal tempo dove prevale la luce fioca della candela e il fuoco del camino alla comodità cittadina.
 
La robusta camera di facciata dell’albergo nasconde al suo interno una terribile forma di incomunicabilità che si manifesta evidente in trascinanti dialoghi apparentemente illogici, lenti, frutto di una quotidianeità, di un astio, di un dolore sintomatico di una nazione, la Turchia contemporanea che disprezza il popolino e la religione intesa come “mera superstizione e innocente sogno”.
Aydin è un attore, i dialoghi che esplicita con una moglie annoiata, incapace di guadagnarsi da vivere, una nobildonna d’altri tempi dedita alla beneficenza, trasudano di semplicità e di orgogliosa forza da uomo che ha raggiunto una posizione di rispetto, che tenta vanamente di lottare contro una disgregazione morale, ideale, principi saldi di cui ora non possiede più alcun controllo.
Costruito a “riquadri dialogici”, tante scene che si avvicinano con il labile pretesto dell’ambientazione crocevia di più esistenze, l’albergo, Il regno di inverno è un riuscito film psicologico che trae forza da immagini rurali per scavare nell’intimità più nascosta di un protagonista giunto ora all’inverno della propria vita, degli spietati giudizi (con la moglie, con la sorella, con i sottoposti) che nascondono una pacata rassegnazione, un immotivato desiderio di cambiare una vita che si infrange sotto le ferite di un tempo che passa immobile eppure irriducibile come un treno diretto in una grande città ma che mai arriverà.
Abile nell’intessere i dettagli tra uomo e donna, Ceylan usa la parola come mezzo evocativo per far riflettere sui non detti che nascondono spesso una verità spiacevole con cui difficilmente si vorrebbe avere a che fare, figlia di insoddisfazioni e rivalse (come lo splendido dialogo tra Nihal e Aydin o nella parte finale tra Nihal e Ismail, l’ubriacone alcolizzato esponente vinto dell’indigenza). E l’unico mezzo per riuscirci a quanto pare è la parola capace di far emergere i conflitti tra chi possiede ed è intrappolato dai possedimenti e chi invece è isolato dalla stessa incapacità di avere sullo sfondo di un paesaggio e di un’azione, candida e pallida, pronta a infrangersi irrimediabilmente come vetro rotto da mano infantile.
Coscienza è solo una parola che i vigliacchi sanno usare ed è stata inventata con lo scopo precipuo di tenere in soggezione i fatti(Shakespeare).
Palma d’oro al festival del cinema di Cannes. Per tutti gli amanti della lentezza e del piacere di una volta.

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