Muffa |
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Un film di Ali Aydin.
Con Ercan Kesal, Muhammet Uzuner, Tansu Biçer
Titolo originale Küf.
Drammatico,
durata 94 min.
- Turchia, Germania 2012.
- Sacher
uscita martedì 30 aprile 2013.
MYMONETRO
Muffa
valutazione media:
3,39
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il marciume spirituale della Turchia contemporaneadi EugenioFeedback: 34763 | altri commenti e recensioni di Eugenio |
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sabato 30 novembre 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Mai una premiazione fu più appropriata. Leone del futuro al festival del cinema di Venezia del 2012, Muffa questo il titolo della pellicola dell’esordiente Ali Aydin, è un film che ci ricorda da vicino il neorealismo italiano del dopoguerra con tematiche assai più intimiste. Ambientato durante il conflitto tra turchi e curdi, in un contesto sociale in cui la Turchia fu protagonista di atti inaccettabili come le sparizioni forzate perpetrate dalle forze militari coadiuvate da un governo di estrema destra nei confronti degli oppositori, Muffa scava nelle pieghe nascoste dell’animo di Basri, il protagonista dostoejvskiano della pellicola, nella sua perenne ricerca del suo caro, della sua salma da compiangere. Cammina Basri lungo i binari della ferrovia con l’ostinazione che non gli manca, tra i caratteristici colleghi del suo travagliato lavoro, quello di guardiano delle ferrovie, trascinandosi un bagaglio di sofferenza e di dolore nell’utopistica illusione di poter capire il destino di un figlio e di un ministero degli interni che mal lo respinge mensilmente con inutili interrogatori. Basri però non si arrende: nel suo silenzio cova un tormento interiore immane segnato da un territorio che è reso manifesto dal regista attraverso desolate inquadrature e lunghi piani sequenza di città industriali consumate dall’aurea progressista del tempo sempre uguale come la routine quotidiana del protagonista, una “lenta agonia in movimento” attorno a quei binari dove cerca di dare una spiegazione a quella impudicizia, quella muffa del titolo, un agente esterno naturale che si insinuerà in lui come un male incurabile compromettendone sempre più l’esistenza stessa. Nel personale travaglio interiore di Basri, lo spettatore subisce passivamente sulla sua pelle, “gli umiliati e offesi” della Turchia moderna, esseri del sottosuolo isolati, miserevoli, stupratori che ruotano come un satellite attorno all’orbita del protagonista, antieroe per eccellenza, dalle profonde e improvvise crisi epilettiche, silenzioso ma mai sornione,abulico sventatore di violenze sessuali (come quella perpetrata dal suo collega di turno a una giovane donna),incapace di mantenere il controllo dinanzi a “idioti” che infangano la memoria del figlio. Un figlio che pur mai presente, è il co-primario della pellicola; c’e’ ma non si vede, è lui l’artefice-con il suo arresto e la sua sparizione- della coscienza di Basri, del suo senso ineluttabile di colpa,solitudine e perdita. E’ un fantasma che emerge prepotentemente in vivide scene come il lungo,lunghissimo piano sequenza di oltre venti minuti che ripercorre il silenzioso interrogatorio di Basri con il questore, un dialogo quasi spinto all’essenziale dove il non detto è emblema del dolore, della perdita, della denuncia contro una società che preferisce insabbiare piuttosto che “rivelare”, mettere alla luce, denunciare. E’ proprio di denuncia che il film malgrado l’atmosfera rarefatta delle inquadrature, presenta il suo punto forte: raccontando il dramma condizione sociale in cui vive il protagonista Muffa lancia apertamente al pubblico un messaggio forte sulla situazione politica successiva al periodo della guerra civile turco-curda, sul’omertà, il sotterfugio e la voluta indifferenza delle istituzioni statali e politiche nei confronti di umanità lasciate allo sbando.
Nonostante il ritmo lento a primo acchito “coadiuvato” da una trama priva di qualsiasi evento significativo, una sorta di “accozzaglia di eventi drammaticamente tristi sulla depravazione della Turchia contemporanea”, il personale stile registico di Aydin coinvolge per la bravura introspettiva di Basri, per la scarna povertà di un telaio apparentemente debole che si rivela al contrario riflessivo e acuto. La decomposizione, la muffa, l’eredità che il figlio di Basri lascerà all’affranto padre è universale in grado di parlare a tutti i cuori, tutte le coscienze attraverso una lingua comune e semplice che non necessita di traduzioni. Quella del dolore.
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