laulilla
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sabato 23 ottobre 2010
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gli uomini e gli dei
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Uomini di Dio", è cosa diversa dall'originale "Gli uomini e gli dei", poiché sembra quasi alludere a una contrapposizione, nel film inesistente, fra gli sventurati monaci trappisti, qui rievocati (la storia è vera) e i musulmani che vivevano a ridosso del convento. Tutto il film e anche il testamento di Christian, il priore intellettuale del gruppo, ci dice il contrario: un solo Dio è padre di tutti e chi non lo capisce non sa quello che si fa. L'assassinio dei sette monaci, d'altra parte, non fu mai pienamente chiarito, né l'abolizione del segreto di stato ha potuto escludere un ruolo attivo dell'esercito governativo algerino nel massacro, né dei Servizi segreti, il che adombra ragioni politiche, non religiose dietro l'orrenda ingiustizia.
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Uomini di Dio", è cosa diversa dall'originale "Gli uomini e gli dei", poiché sembra quasi alludere a una contrapposizione, nel film inesistente, fra gli sventurati monaci trappisti, qui rievocati (la storia è vera) e i musulmani che vivevano a ridosso del convento. Tutto il film e anche il testamento di Christian, il priore intellettuale del gruppo, ci dice il contrario: un solo Dio è padre di tutti e chi non lo capisce non sa quello che si fa. L'assassinio dei sette monaci, d'altra parte, non fu mai pienamente chiarito, né l'abolizione del segreto di stato ha potuto escludere un ruolo attivo dell'esercito governativo algerino nel massacro, né dei Servizi segreti, il che adombra ragioni politiche, non religiose dietro l'orrenda ingiustizia. Siamo nel 1996, nel pieno della guerra civile d'Algeria. La vita nel convento di monaci, che sorge alla periferia di un piccolo villaggio di quel paese, prosegue fra le normali attività quotidiane, ispirate alla regola benedettina del lavoro e della preghiera, portate avanti da un esiguo numero di religiosi, per lo più anziani, in un clima di fraterna solidarietà con gli abitanti musulmani dei dintorni. Luc, il medico frate, ora vecchio e malato, li cura, per puro spirito d'amore e di carità, altri confratelli si rendono utili nel coltivare i campi, altri raccolgono il miele e lo vendono sul mercato, mentre Christian, più giovane e mistico, legge e annota il Corano, comprendendo molto bene che una sua corretta interpretazione non può che indurre al rispetto delle differenze reciproche fra Islam e Cristianesimo, culture di pace. Quando la guerra civile fra moderati e integralisti si farà sentire nel villaggio e lambirà il convento, saranno proprio le parole del Corano pronunciata da Christian e proseguite dal feroce guerrigliero (bellissima e toccante scena del film) ad allontanare, almeno per il momento, il pericolo per i monaci. Il convento, però è ormai individuato come luogo per curare i feriti: proprio a Luc verrà portato il guerrigliero ferito e sofferente e ciò scatenerà la diffidenza delle autorità militari algerine, al governo in seguito al colpo di stato del 1991. I monaci non accolsero né l'invito ad accettare il presidio del convento da parte dell'esercito, né la perentoria intimazione a lasciare il paese alla volta della Francia, perché, proprio nel momento di maggior rischio, tutti ritrovarono le irrinunciabili ragioni che li avevano indotti ad amare la terra di Algeria e il suo popolo, con il quale essi decisero di condividere rischi e paure. Le pagine più belle del film, si trovano, a mio avviso, nella rappresentazione della fragilità umana, dei dubbi e delle esitazioni dei monaci, che sono uomini e non dei, e perciò temono il dolore e la morte, come tutti. All' elicottero minaccioso e assordante, non potranno che opporre i loro canti e la loro preghiera; all'avvicinarsi dell'ultima ora di libertà, opporranno una sobria cena, con due belle bottiglie di un buon rosso francese, e l'accompagnamento di una suggestiva pagina dal Lago dei cigni. Bellissimo e toccante il finale, con l'immagine del loro disperdersi nel nevischio che a poco a poco li sottrae alla vista dello spettatore, nel gelo dell'inverno e del cuore del carnefice.
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writer58
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domenica 9 gennaio 2011
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un film straordinario
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Quando ho lasciato la sala, alla fine del film, ho visto molte persone rimanere sedute, con lo sguardo assorto e rivolto verso lo schermo ormai spento. Mi è venuto da pensare che fosse un tributo finale a un film straordinario, forse il più bello e intenso del 2010.
7 monaci sequestrati e uccisi, forse dai fondamentalisti islamici algerini, forse da frange dell'esercito. Ciò che mi ha colpito è stato lo stile narrativo -austero e solenne- che il regista ha adottato. Come se, raccontando la parabola dei sette religiosi che vivono in un monastero ai piedi dell'Atlante Algerino, Beauvois avesse scelto di rappresentare un paradigma dell'impegno e del sacrificio umano, avesse voluto parlarci di una testimonianza portata fino alle sue estreme conseguenze, a una vita che non si fa intimidire dalla possibilità della morte.
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Quando ho lasciato la sala, alla fine del film, ho visto molte persone rimanere sedute, con lo sguardo assorto e rivolto verso lo schermo ormai spento. Mi è venuto da pensare che fosse un tributo finale a un film straordinario, forse il più bello e intenso del 2010.
7 monaci sequestrati e uccisi, forse dai fondamentalisti islamici algerini, forse da frange dell'esercito. Ciò che mi ha colpito è stato lo stile narrativo -austero e solenne- che il regista ha adottato. Come se, raccontando la parabola dei sette religiosi che vivono in un monastero ai piedi dell'Atlante Algerino, Beauvois avesse scelto di rappresentare un paradigma dell'impegno e del sacrificio umano, avesse voluto parlarci di una testimonianza portata fino alle sue estreme conseguenze, a una vita che non si fa intimidire dalla possibilità della morte. Per fare questo, occorre eliminare dalla narrazione qualunque fronzolo superfluo e concentrarsi sull'essenziale.
I volti dei monaci, i loro canti scanditi da coreografie geometriche, le interazioni con la comunità locale, l'ambulatorio medico aperto a tutti, le riunioni collegiali in cui i monaci discutono se restare o abbandonare il monastero, il rifiuto di accettare la protezione dell'esercito Algerino.
Volti, situazioni, dubbi, tormenti interiori rappresentati in modo magistrale, senza enfasi, andando a scavare nel gesto e nella presenza scenica degli attori che restituiscono la loro ricerca di senso con un'interpretazione misurata ed efficace.
L'intensità del film consiste nel rappresentare le radici della condizione umana e spirituale senza alcun effetto speciale e senza alcuna forzatura. La storia parla per sé. Una storia atroce, un film straordinario.
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renato volpone
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domenica 24 ottobre 2010
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quanto dolore
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bellissimo film....parla degli anni dolorosi dell'Algeria, quando il fondamentalismo seminava vittime nei villaggi. Questo è il racconto di un anno di vita di questa comunità di frati minacciati dal fondamentalismo....il loro percorso umano e spirituale verso un quasi annunciato martirio. Il film non denuncia la guerra di religione, ma fa chiarezza su ciò che è spirito e umanità e ciò che trascende la religione nella violenza. Splendide le interpretazioni....come sempre consiglio la visione della versione originale del film. Assolutamente da vedere
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ablueboy
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domenica 31 ottobre 2010
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tremendo e profondissimo esercizio di stile
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Il registra dimostra tutta la sua maestria nel narrare una storia nota fin dall'inizio, in un contesto che ben si presterebbe alle più ripetute banalità stilistiche e contenutistiche del cinema contemporaneo a sfondo sociale, oltre che a facili esaltazioni religiose a sfondo cristiano. Come altri han detto, il vero titolo del film sarebbe "Degli Uomini e Degli Dei". Conseguentemente, la rappresentazione dello stile di vita monacale non è come sarebbe facilmente potuta essere una semplice esaltazione del credo cristiano e della semplicità del credo monastico. L'operazione filmica proposta è quella di uno sguardo inizialmente molto distaccato e quasi antropologico sulle abitudini dei monaci, per intenderci non un'enfasi beatificante alla Zeffirelli.
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Il registra dimostra tutta la sua maestria nel narrare una storia nota fin dall'inizio, in un contesto che ben si presterebbe alle più ripetute banalità stilistiche e contenutistiche del cinema contemporaneo a sfondo sociale, oltre che a facili esaltazioni religiose a sfondo cristiano. Come altri han detto, il vero titolo del film sarebbe "Degli Uomini e Degli Dei". Conseguentemente, la rappresentazione dello stile di vita monacale non è come sarebbe facilmente potuta essere una semplice esaltazione del credo cristiano e della semplicità del credo monastico. L'operazione filmica proposta è quella di uno sguardo inizialmente molto distaccato e quasi antropologico sulle abitudini dei monaci, per intenderci non un'enfasi beatificante alla Zeffirelli. Il meccanismo di identificazione verso i monaci è indotto non tanto in virtù della loro cristianità, quanto in ragione del loro timore per la morte e del modo umanissimo in cui si aggrappano alla loro fede in risposta al timore. In questo, il messaggio non è quello che potrebbe sembrare un'assolutizzazione evangelizzante del credo cristiano, ma una rappresentazione universale del rapporto fra l'uomo e (una) fede, in cui il credo dei monaci è solo strumento stilistico finalizzato a rappresentare appunto verità che sono "Degli Uomini, e Degli Dei", e non possedute da "Uomini di Dio". Detto questo, il film riesce ad essere sorprendente nel ritmo pur essendo la trama del tutto nota fin dall'inizio. In alcuni momenti, la rappresentazione dell'uomo passa dallo stile minimale documentaristico a ben altri strumenti stilistici, che evitano comunque tutti i cliché di certa produzione filmica a sfondo religioso. Il messaggio cristiano è quindi esaltato, ma la maestria del regista è quella di usarlo per rivelare verità molto più universali, evitando non solo un fastidioso ( e facile) distico fra moderazione monacale cristiana e integralismo islamico, ma anche indigeribili rappresentazioni del buon missionario alle prese con beaux sauvages.
Ho assistito a questo film con sguardo molto laico e molto prevenuto e ne sono rimasto fortemente commosso e sorpreso. Un tremendo e sottilissimo esercizio di stile che sfugge comunque agli sterilimi manierismi del film colto francese, non teme di sfiorare l'universale e riesce ad essere non banale. Finalmente
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giank51
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giovedì 28 ottobre 2010
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uomini di dio in un mondo senza dio
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E' così importante definire il contesto storico di questa vicenda?
Molti anni sono passati da allora e gli integralisi islamici continuano a proliferare.
Questa vicenda è solo un problema di confronto fra identità religiose?
Questo film ha molto di più da trasmettere. Soprattutto a quelli che si considerano cristiani. La vita che questi monaci conducono, sia pure sulle pendici del monte Atlante, è di per sè una provocazione al mondo, al nostro prima ancora che a quello islamico. Una esistenza che si apre con la preghiera e continua nella semplicità delle occupazioni ( chi fa più il medico come quel monaco?) e si chiude con una lode a Dio, è già di per sè un arduo percorso per tutti noi.
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E' così importante definire il contesto storico di questa vicenda?
Molti anni sono passati da allora e gli integralisi islamici continuano a proliferare.
Questa vicenda è solo un problema di confronto fra identità religiose?
Questo film ha molto di più da trasmettere. Soprattutto a quelli che si considerano cristiani. La vita che questi monaci conducono, sia pure sulle pendici del monte Atlante, è di per sè una provocazione al mondo, al nostro prima ancora che a quello islamico. Una esistenza che si apre con la preghiera e continua nella semplicità delle occupazioni ( chi fa più il medico come quel monaco?) e si chiude con una lode a Dio, è già di per sè un arduo percorso per tutti noi.
Ed ecco che anche per i monaci Dio si presenta come domanda ed questa tragica vicenda li costringe a verificare il senso di una scelta e di una vita.
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maria cristina nascosi sandri
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lunedì 1 novembre 2010
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umanamente rigoroso, la realtà.
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«Uomini di Dio» di Xavier Beauvois, umanamente rigoroso, la realtà… di Maria Cristina Nascosi Sandri
Il doppio partitivo del titolo in originale del bel film del francese Xavier Beauvois, Des hommes et des dieux, appena uscito nelle sale italiane, se tradotto letteralmente, pluralizzando anche il secondo sostantivo, si tradurrebbe più o meno Intorno ad uomini e dei e, quindi, potrebbe mistificare il significato del film e la tesi che, con molta umanità e vera cristianità, porta avanti.
Storica e reale la vicenda narrata che non si riporta per non banalizzare la diretta visione della bella pellicola da vedere meritevole, peraltro, quest’anno, del Gran Premio della Giuria a Cannes.
La recitazione degli ottimi Wilson e Lonsdale – ma pure gli altri comprimari non son certo da meno – segue puntualmente anche a livello stilistico – estetico quella tesi di cui si diceva più sopra.
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«Uomini di Dio» di Xavier Beauvois, umanamente rigoroso, la realtà… di Maria Cristina Nascosi Sandri
Il doppio partitivo del titolo in originale del bel film del francese Xavier Beauvois, Des hommes et des dieux, appena uscito nelle sale italiane, se tradotto letteralmente, pluralizzando anche il secondo sostantivo, si tradurrebbe più o meno Intorno ad uomini e dei e, quindi, potrebbe mistificare il significato del film e la tesi che, con molta umanità e vera cristianità, porta avanti.
Storica e reale la vicenda narrata che non si riporta per non banalizzare la diretta visione della bella pellicola da vedere meritevole, peraltro, quest’anno, del Gran Premio della Giuria a Cannes.
La recitazione degli ottimi Wilson e Lonsdale – ma pure gli altri comprimari non son certo da meno – segue puntualmente anche a livello stilistico – estetico quella tesi di cui si diceva più sopra.
La grandezza e la meschinità dell’animo umano escono puntualmente da tutti i personaggi: molto da vicino sarebbe facile citare il Lucrezio dell’Homo sum, nihil umani mihi alienum puto, con millanteria e con umiltà, ad un tempo.
La paura e la vigliaccheria come l’eroismo fan parte, in contemporanea, dell’uomo, santo o criminale che sia.
E se alla fine un perdono autenticamente e letteralmente cristiano – si badi, non cattolico, non a caso una delle ultime frasi è quella di Wilson che, voce-commento fuori campo durante tutto il film, dice “grazie (e non: perdono) anche a te che mi uccidi e che non sai quello che fai” – chiosa un sacrificio umano ‘annunciato’ e prevedibile fin dall’inizio del racconto filmico, è altrettanto e pur vero che un piccolo miracolo umano, ‘divinamente’ umano, avviene quando i monaci svaniscono in un finale di nebbia, nebbia è la loro morte di giustiziati senza peccato se non, forse, quello ‘originale’ , ma proprio per questo ‘un non peccato’.
Perché proprio con quel finale si dimostra che per l’umanità che è nata, muore e risorge - grazie al sacrificio di Cristo - a somiglianza di Dio, omnia vincit amor e carità è amore - per citare San Paolo, quello stesso gran peccatore che morì, ancora un’apparente contraddizione in termini, santo.
Ben dosati pure i silenzi e le cantate, i salmi dei monaci che puntualmente scandiscono le parti del film, tra pause, rallentamenti come pensieri e approfondimenti dell’animo e della mente squassati e martoriati dall’estemporaneo violento della guerra, del malessere che è trama e ordito insieme con la missione benefica dei monaci, il loro quotidiano donarsi per salvare, senza retorica, mente e corpi dei ‘colonizzati’ di un tempo.
Solo, alla fine, musica presaga quant’altri mai, come solo la dolcezza e la violenza della musica fatale di Tchaikowskji sa essere ( un brano del Lago dei cigni, ascoltato durante la loro Ultima Cena – momento essenziale e pregnante del film), la m.d.p. fa il giro dei loro volti che dal sorriso, per quel regalo armonioso che il frate-medico fa loro, una tantum – volgono, in pochi secondi, alla tristezza più cupa per la chiara consapevolezza che la morte li sta per ghermire, vittime innocenti cui il libero arbitrio ha concesso la facoltà di divenire, in quel momento della Storia, martiri innocenti …
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salvatore scaglia
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sabato 6 novembre 2010
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una pellicola terribilmente splendida
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Ispirato a fatti reali, il film narra la vicenda di alcuni monaci, rapiti ed uccisi a Tibhirine, sulle montagne dell’Atlante, in Algeria nel 1996. Mentre nello Stato africano imperversa il fondamentalismo islamico, non contenuto da un governo corrotto, un pugno di religiosi cattolici francesi sceglie di vivere accanto ad un villaggio musulmano, tra preghiera ed impegno concreto a favore degli ultimi. Alcuni dei monaci si occupano delle relazioni con le autorità civili, altri studiano - persino il Corano - e coltivano l’orto, un altro cura, da medico, chiunque abbia bisogno di assistenza:senza distinzioni di fede.
Insieme all’atteggiamento pacifico dei religiosi, ciò dà fastidio, espresso da un crescendo di visite notturne degli integralisti al monastero; di tentativi di protezione dell’esercito, vera o di facciata; di consigli a lasciare il posto; fino all’irruzione definitiva dei sequestratori ed assassini.
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Ispirato a fatti reali, il film narra la vicenda di alcuni monaci, rapiti ed uccisi a Tibhirine, sulle montagne dell’Atlante, in Algeria nel 1996. Mentre nello Stato africano imperversa il fondamentalismo islamico, non contenuto da un governo corrotto, un pugno di religiosi cattolici francesi sceglie di vivere accanto ad un villaggio musulmano, tra preghiera ed impegno concreto a favore degli ultimi. Alcuni dei monaci si occupano delle relazioni con le autorità civili, altri studiano - persino il Corano - e coltivano l’orto, un altro cura, da medico, chiunque abbia bisogno di assistenza:senza distinzioni di fede.
Insieme all’atteggiamento pacifico dei religiosi, ciò dà fastidio, espresso da un crescendo di visite notturne degli integralisti al monastero; di tentativi di protezione dell’esercito, vera o di facciata; di consigli a lasciare il posto; fino all’irruzione definitiva dei sequestratori ed assassini.
La pellicola di Beauvois si presenta terribilmente splendida. Dopo i primi minuti di gioia e di festa, funzionali a descrivere il clima di cordialità tra i monaci e gli abitanti del luogo, è tutto un alternarsi di silenzi (le laboriose meditazioni dei religiosi) e di rumori (le urla degli estremisti, l’arrivo di automezzi militari, il minaccioso sorvolo di un elicottero sul convento); di chiari (l’abito monacale, il sole del giorno) e di scuri (le vesti dei combattenti islamici, le tenebre notturne), a significare icasticamente i beni in gioco: la giustizia, la libertà, la pace, la vita umana stessa.
Se le ripetute orazioni e Sante Messe contribuiscono a dare serenità, anche allo spettatore, in contrapposizione a quanto accade all’esterno del monastero, non sono tuttavia infrequenti i momenti di paura, di pianto, di ricerca della fuga verso la salvezza fisica da parte dei religiosi. Anche le diverse deliberazioni della comunità riunita esprimono tale stato di incertezza, che il regista indaga, con introspezione psicologica, pure mediante l’inquadratura ravvicinata dei volti di questi uomini. Nel turbamento, ben consapevoli, come insegnano non solo i vari Salmi da loro cantati, che “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia”, dice il Signore, “e del vangelo, la salverà” (Marco 8, 35).
Così risulta davvero efficace l’associazione cinematografica del martirio dei monaci al sacrificio di Cristo: l’indugiare della camera sul pane e sul vino della Messa è, ad un tempo, presagio e spiegazione degli ultimi istanti terreni dei religiosi. Così, nell’ennesimo consolarsi vicendevole, un monaco chiede ad un confratello: << ce la fai ? >>. << Sì >>, gli risponde l’altro. Proprio mentre il gruppo, dai colori cupi, dei monaci sequestrati e dei boia integralisti si dissolve, lentamente, nel bianco candido della nebbia e della neve. In faticosa ascesa, come nel Calvario di Cristo: che li trasforma finalmente in veri “Uomini di Dio”.
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paola alex
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lunedì 8 novembre 2010
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le ragioni degli uomini e le ragioni di dio
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Nel 1996, nel corso della guerra civile Algerina, una comunità di monaci vive in un villaggio dell'Atlante nella regola di Dio. Questi uomini sono deboli nelle loro paure e forti nella loro fede, tutta coniugata nell'amore per il prossimo in cui Dio si mostra. In questa enclave in cui il convento ed il villaggio sono tutt'uno, anche la fede mussulmana e quella cristiana sono tutt'uno. Il Dio degli uni e degli altri è lo stesso Dio misericordioso della solidarietà, della com-passione e della pace.
A ciò si contrappone la ragione degli uomini, che è quella del potere, della sopraffazione e della violenza, in cui uomini della stessa fede si uccidono tra loro ed esercitano la violenza sugli altri in nome di Dio, ma in realtà in nome della ferocia, che rende l'uomo simile alle bestie quando combattono per una preda o per la supremazia di un territorio.
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Nel 1996, nel corso della guerra civile Algerina, una comunità di monaci vive in un villaggio dell'Atlante nella regola di Dio. Questi uomini sono deboli nelle loro paure e forti nella loro fede, tutta coniugata nell'amore per il prossimo in cui Dio si mostra. In questa enclave in cui il convento ed il villaggio sono tutt'uno, anche la fede mussulmana e quella cristiana sono tutt'uno. Il Dio degli uni e degli altri è lo stesso Dio misericordioso della solidarietà, della com-passione e della pace.
A ciò si contrappone la ragione degli uomini, che è quella del potere, della sopraffazione e della violenza, in cui uomini della stessa fede si uccidono tra loro ed esercitano la violenza sugli altri in nome di Dio, ma in realtà in nome della ferocia, che rende l'uomo simile alle bestie quando combattono per una preda o per la supremazia di un territorio.
Anche IL LIBRO del villaggio e dei monaci (Il Corano e La Bibbia) parlano la stessa lingua quando sono letti nelle feste del villaggio, nelle preghiere dei monaci e negli incontri pieni di apprensione e di comunione tra i capi del villaggio ed il priore dei monaci; ma lo stesso Corano sembra lontano dai mitra spianati di chi combatte in nome di Allah.
Tuttavia le ragioni di Dio e dell'amore INCONDIZIONATO per l'uomo e per la pace (il rifiuto incondizionato delle armi e della guerra) porta inevitabilmente al sacrificio e all'immolazione sulla croce. Questa non è ricercata, anzi è temuta e sfuggita, ma inevitabile, se non si vuole tradire la fedeltà al voto di amore per gli uomini, fratelli in Dio.
Tutto questo è raccontato in modo asciutto e poetico, in cui la bellezza di una natura spoglia e abbagliante nella sua bellezza parla di Dio, come i canti ed i visi scolpiti dei monaci, che potrebbero venire dai quadri di Vittore Carpaccio.
Attori tutti superlativi, fotografia stupenda di un'Africa di freddo e neve, ritmo lento e solenne, adeguato ai tempi dello spirito e delle ragioni dell'anima.
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francesca meneghetti
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domenica 7 novembre 2010
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perfettamente imperfetti: uomini
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“Uomini di Dio” è la versione italiana di un titolo che includeva nella pluralità anche il divino “Des hommes et de Dieu”). Il film, Gran premio della giuria di Cannes ,ha avuto un sorprendente successo di pubblico nonostante il titolo, l’argomento, la lunghezza, i ritmi narrativi che non sono certo agili. Si può forse partire da qui: dal fatto che il film ha risposto ad una serie di bisogni profondi (di silenzio, di riflessione, spiritualità e, soprattutto, di umanità , tolleranza, coerenza morale) che caratterizzano buona parte del pubblico, forse perché tali bisogni sono sistematicamente calpestati dal Potere. Il messaggio del fim è forte: ricorda per certi versi il percorso descritto da Platone nel Fedone, il dialogo che racconta la morte di Socrate.
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“Uomini di Dio” è la versione italiana di un titolo che includeva nella pluralità anche il divino “Des hommes et de Dieu”). Il film, Gran premio della giuria di Cannes ,ha avuto un sorprendente successo di pubblico nonostante il titolo, l’argomento, la lunghezza, i ritmi narrativi che non sono certo agili. Si può forse partire da qui: dal fatto che il film ha risposto ad una serie di bisogni profondi (di silenzio, di riflessione, spiritualità e, soprattutto, di umanità , tolleranza, coerenza morale) che caratterizzano buona parte del pubblico, forse perché tali bisogni sono sistematicamente calpestati dal Potere. Il messaggio del fim è forte: ricorda per certi versi il percorso descritto da Platone nel Fedone, il dialogo che racconta la morte di Socrate. E merita perciò il massimo rispetto, tanto più per il fatto che il regista lavora molto sulla psicologia dei personaggi, su tutto ciò che li rende umani, benché “uomini di Dio”: cioè perfettamente imperfetti (i dubbi, le paure, le fragilità, la tentazione del tradimento). Notevoli, a questo riguardo, certe riprese dei volti, soprattutto degli sguardi, a scrutarne i pensieri, che ricordano l’intimismo di Bergman. Ugualmente è interessante aver trattato il tema del terrorismo islamico rifiutando la tentazione delle tinte forti: anzi, i colori si smorzano del tutto nella bellissima scena finale che non racconta la fine, ma vi allude con la tecnica dello sfumato portata all’estremo. E’ forse l’unica scena – assieme all’ultima cena, accompagnata dalla musica del Lago dei cigni (presagio di morte) e da vino rosso - che si sottrae alla scelta del realismo nel racconto della vita quotidiana perseguita dal regista.
Grande l’interpretazione di Wilson Lambert, il leader dei monaci, con il fisico e il viso ascetici e adatti al ruolo, ma anche di Michael Lonsdale, il medico, un bellissimo mix di positivismo e spiritualità, e di Jacques Herlin, il più fragile e vecchio dei monaci, che grazie ad un potente istinto di vita, a volte più forte proprio nei vegliardi, riesce a sottrarsi al destino comune.
E tuttavia mi permetto di sottolineare alcuni nei. Il primo riguarda i rituali religiosi. Comprensibili naturalmente come elemento caratterizzante la vita quotidiana di un convento. Necessari, per certi aspetti (vedi i cori), per individuare le radici della forza e dell’unione dei monaci. Ma nell’economia generale del film un po’ troppo invasivi e causa di ritmi a volte lenti. Anche Rossellini, in Paisà, ricreava la calma e la serenità di un monastero sull’Appennino, ma era una pausa all’interno di una cornice più ampia. Il secondo, i colori e le luci degli spazi chiusi. Il realismo ci sta nell’oscurità rischiarata da una candela, ma i toni freddi sembrano in contrasto con il calore umano. Infine un paio di considerazioni da agnostica. La prima: è possibile che un messaggio eticamente forte debba venire ancora oggi solo da una proposta religiosa? La seconda: poiché i monaci sono consapevoli che molte forme di fanatismo vengono da aberranti interpretazioni di una religione è possibile che, tra le motivazioni meno consapevoli della loro scelta, ci sia anche quella di espiare con un sacrificio le violenze prodotte in passato dal cristianesimo?
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[+] gli uomini e gli dei
(di custos)
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pepito1948
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mercoledì 17 novembre 2010
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dei ed eroi
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"Perchè Dio è così lontano? Perchè la fede è così dolorosa?"
Monaci francesi trapiantati in Algeria, finchè non arrivano i segnali della grande tragedia che li circonda e che si avvicina inesorabile come una lenta colata di lava, vivono paghi della loro fede in simbiosi con la popolazione degli umili, dei poveri, dei semplici, vittime della piaga peggiore che gli uomini possono scatenare: non solo una guerra, ma una guerra civile che scarica i suoi devastanti effetti, come la storia insegna, su chi a tale evento è estraneo.
Vivono questa integrazione con dedizione ed amore: assistendo i malati; aiutando a vendere miele al mercato; dando consulenze alle giovani ragazze sulle relazioni amorose non condivise dalla famiglia; partecipando ai riti ed alle letture sacre della comunità islamica.
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"Perchè Dio è così lontano? Perchè la fede è così dolorosa?"
Monaci francesi trapiantati in Algeria, finchè non arrivano i segnali della grande tragedia che li circonda e che si avvicina inesorabile come una lenta colata di lava, vivono paghi della loro fede in simbiosi con la popolazione degli umili, dei poveri, dei semplici, vittime della piaga peggiore che gli uomini possono scatenare: non solo una guerra, ma una guerra civile che scarica i suoi devastanti effetti, come la storia insegna, su chi a tale evento è estraneo.
Vivono questa integrazione con dedizione ed amore: assistendo i malati; aiutando a vendere miele al mercato; dando consulenze alle giovani ragazze sulle relazioni amorose non condivise dalla famiglia; partecipando ai riti ed alle letture sacre della comunità islamica. Non per vocazione professionale, non per pur nobile volontariato, non per pietà ma per e con amore. Verso chi non ha, verso chi non è, verso chi soffre ed è alleviato dalla carezza di una sempre presente mano calorosa.
L'avvicinarsi della grande minaccia crea delle crepe, scopre le debolezze, le paure, la disarmonia; in sintesi affiora l'umanità spicciola e destabilizzante di chi pure si è votato anima e corpo ad un'alta missione. Le posizioni si diversificano, i dubbi dilagano e l'abate Christian, dapprima solitario nel suo rifiuto di qualsiasi protezione armata, fatica a far convergere sulla sua decisione l'intero gruppo, come quel giurato che, inizialmente solo ad opporsi alla condanna a morte dell'imputato in camera di consiglio, con pazienza, passione e lucide argomentazioni riesce a convincere ad uno ad uno tutti gli altri, compreso l'ultimo irriducibile.
Uccelli migratori.
Christian vaga nelle lande sconfinate della "sua" terra in preda al dubbio sotto uno stormo di uccelli migratori; forse vorrebbe essere uno di loro, volare lontano verso siti più sicuri, riacquistare la propria libertà di autodeterminazione, buttarsi alle spalle quello scenario di sgozzamenti, di violenze, di disumanità ma sa che solo la morte ormai può dare un senso compiuto alla sua vita.
Dio e Dei.
L'imam legge le scritture islamiche, e le parole fluiscono come se fuoriuscissero dalla bocca di uno dei monaci presenti. Il Dio evangelico ed il Dio coranico si avvicinano come due cerchi che si toccano, si invadono, si sovrappongono. Le supreme Fonti si compenetrano, uniscono mentre fuori le divisioni scavano fossati e dilaniano.
Musica e preghiere
Tra tante incertezze, cedimenti e ripensamenti, nella cupa attesa di un evento che via via si fa sempre più prossimo ed inevitabile, solo il canto gregoriano unisce, compatta e diventa la colonna sonora della loro restante, breve vita, grazie alla poesia purificatrice della loro armonia.
"Noi siamo gli uccelli, voi siete i rami; se ve ne andate, noi dove ci poseremo?"
Gli umili, i poveri, i semplici, davanti ai tentennamenti dei loro benefattori, si sentono abbandonati e privati del sostegno vitale che gli uomini delle istituzioni, lontani e corrotti, hanno sempre negato. Se rimarranno soli, chi li assisterà, chi venderà il loro miele, chi condividerà i loro riti e soprattutto chi illuminerà la loro piccola vita?
L'ultima cena
L'ora si avvicina, Nel refettorio i monaci si riuniscono, bevono vino, ridono e piangono; le lacrime sgorgano mentre le note della musica di Tchaikovsky inondano la stanza di struggente e lieve festosità. Non versano lacrime di paura o disperazione, ma di amore, verso il loro Dio e verso coloro che se ne sono nutriti, nella consapevolezza di aver chiuso degnamente il cerchio vitale secondo il mandato assunto. Sanno che il loro amore non si sfilaccerà nel vento.
"Non c'è male peggiore di quello che l'uomo fa per motivi religiosi".
Padre Luc cita Pascal, la cui considerazione riassume sinteticamente l'abisso di degradazione umana in cui lui, i suoi fratelli, la sua gente, tanta gente nel mondo, ogni giorno, ogni momento si trova coinvolta.
La fine
Il corteo delle vittime designate, accompagnate dai carnefici, si snoda sulla neve in una nebbia che cala come una mannaia. Si rimpicciolisce, si stempera, si dissolve, diventa un puntino nero. Scompare nel biancore freddo dell'alba.( Solo le loro teste mozzate saranno trovate; dei corpi non si saprà più nulla).
Non c'è male peggiore di quello che l'uomo fa per motivi religiosi.
Un film di potente rigore, costruito come un thrilling di cui è noto il finale, ma che tiene incollati alla poltrona senza pausa, dove la tensione è acuita dalla luce cupa che si spande nel monastero, in contrasto con la luminosità delle scene esterne in cui la gente locale parla, invita, sorride, vende, insomma cerca di vivere. Dialoghi essenziali ma mai banali, recitazione di alta qualità. Praticamente un film quasi perfetto, in parte macchiato da quel maledetto titolo della versione italiana (Dio e non Dei) che travisa uno dei temi principali proposti. Ottima prova di un regista per quanto ne so ateo, che forse per questo riesce a rendere tutto più universalmente credibile e a tratti poetico.
La morte bianca appare molto più agghiacciante di una strage in diretta, che, come giustamente notato, è stata intelligentemente evitata dal regista.
Teologia della liberazione, teologia dal basso (cito Bruno); il vescovo Romero, padre Torres, l'amore per gli ultimi che combatte contro ogni violenza, con la parola, con le armi o anche con il rifiuto di fuggire.
Nessuno si è alzato in sala prima della fine dei titoli di coda, in assoluto silenzio: questo rende superflua ogni ulteriore parola.
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