Ieri sera, sedendomi su quella sedia, ho avuto quell'inconfondibile sensazione solita a chi ha il sentore di assistere ad un evento unico.
Comincio dicendo che per poter apprezzare la pellicola e gustare appieno l'odore della polvere da sparo, occorre traslare animo e testa almeno 25 anni fa, quando strani tizi dal "muscolo in più" impugnavano cultelli di 20 cm, fucili a canne mozze e bazooka da spalla... Erano gli anni delle "americanate".
Nasce così un nuovo genere cinematografico che ci regala sequenze action allo stato puro, senza porsi limiti su ciò che è verosimile o meno, senza porsi limiti sulla potenza fisica o di fuoco. L'imperativo è DISTRUZIONE. Un genere di secondo piano penseranno alcuni, che non contempla interpretazioni da Oscar o sceneggiature dalle firme prestigiose, che va preso per quello che è insomma, un'americanata appunto. Beh, in questa branchia di superdotati, c'è stato qualcuno che è stato più bravo degli altri... Uno in particolare ha valicato i limiti del fisico ed è stato in grado di farsi amare per quel che dimostrava piuttosto che per quel che disintegrava. Signori, giù il cappello per Sylvester Stallone.
Lungi da me pensare che "Lo Stallone Italiano" abbia reso al meglio solo in film del genere, ma è indubbio che l'action abbia contraddistinto un'importante, fondamentale fetta della sua carriera cinematografica.
Coi tempi che corrono, il genere action ha subito una notevole evoluzione. L'aspetto tecnologico è sempre più importante, le trame spesso sfociano nel fantascientifico mentre i veri caratteristi d'un tempo sembrano scomparire quasi del tutto. A Stallone evidentemente questo non è andato giù e, a 63 anni suonati, si è messo di santa ragione ad arruolare uno ad uno tutti i bestioni in circolazione per dar vita all'impresa più grandiosa che il cinema d'azione ricordi, I MERCENARI.
Una trama semplice semplice e personaggi delineati con le accette, da una parte i buoni e dall'altra i cattivi, con qualche traditore di mezzo. Non serve altro, solo un pretesto per farli scontrare. E qui viene il bello... Gli scontri a fuoco sono devastanti, una potenza esplosiva che svaria tra terra e aria senza un attimo di tregua. Come in John Rambo, Sly ama intrdurre nel mezzo delle sparatorie l'elemento risolutore, l'arma che da sola fa piazza pulita. Tamarrissimo! In questo senso, la rissa nei cunicoli sottorranei da sola vale il prezzo del biglietto. I combattimenti corpo a corpo sono esaltanti, ma in alcuni frangenti le inquadrature appaiono confuse e il montaggio frettoloso. Una mensione particolare va alla tenacia di Stallone, eterno evergreen che non rinuncia a mettersi in gioco in qualsiasi scontro fisico, anche rischioso, senza l'uso di controfigure! Se si pensa che il regista italo-americano si è fratturato una vertebra cervicale e ha rischiato la paralisi per uno scontro con Steve Austin, si ha una vaga concezione di ciò che significa questo film per Sly. Con lo scorrere del film, si avverte la mancanza di introspezione nei nostri Mercenari, di qualche segno distintivo che li caratterizzi o di un accenno alla loro vita privata. La storia infatti gira principalmente intorno ai personaggi di Barney Ross (Stallone), capo della truppa d'assalto, e Lee Christmas (Statham), la spalla di peso abile con i coltelli. Peccato perchè si è finito per oscurare alcuni tra i nomi più interessanti della pellicola, in primis Jet Li, risultando come macchiette nell'intera collettività del film. Altro discorso per Mickey Rourke, perfetto nella parte del ruvido Tool, ruolo breve ma importante. In un bellissimo monologo, Tool descrive la desolante realtà di chi ha fatto questa vita per anni, ritrovandosi in vecchiaia a fare tatuaggi e trovare svago in qualche puttana da strapazzo. Non convince invece la scena clou, non solo del flm, quando cioè "i bravi ragazzi" si incontrano per la prima volta sul grande schermo. Se all'appello non avessero risposto Arnold Schwarzenegger, Bruce Wills e Sylvester Stallone non ci sarebbe nemmeno da parlarne, ma poichè l'evento assume connotati epici, sa un pochino di occasione sprecata. Oltre al fatto che Swarzy fa un comparsata veramente di qualche secondo, le battute non sono granchè ficcanti e la messa in scena di fatto non restituisce il fascino sperato.
Prosegue il sodalizio con Brian Tyler, già compositore della colonna sonora di John Rambo, che ancora una volta realizza un ottima struttura del comparto musicale.
I Mercenari si presenta dunque come opera fuori dal tempo, che mira a rievocare vecchi miti, vecchi eroi di un cinema divenuto orfano di figure simili. Eroi spesso emarginati, incompresi, fuori dal mondo, costretti a fronteggiare un male interiore ancor prima di quello fisico, che ne vive di riflesso. Come fu in Rocky, poi in Rambo, Stallone rappresenta da sempre la metafora della forza di volontà, unica arma necessaria per sapere incassare i colpi, per resistere e infine per sapersi rialzare. E non importa se Mason Dixon dice che sei finito, se Lewis dice che non lo vuole un barcarolo tra i piedi o se Christmas ti dice che non sei più veloce come un tempo... Sai chi sei e non c'è niente che ti possa impedire di dimostrarlo, ne adesso ne mai!
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