laulilla
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domenica 22 agosto 2010
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la nazione arcobaleno
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Il film si apre presentando la difficile situazione del Sud Africa dopo la vittoria elettorale di Nelson Mandela: le troppe umiliazioni dei neri soggetti alla ferocia di un segregazione disumana, non potevano essere cancellate, ma neppure era possibile permettere che le paure dei bianchi (minoritari, ma pur sempre in posizioni di vantaggio economico e "militare", essendo la polizia e l'esercito schierati con loro), creassero un clima di tensione e di guerra civile, che avrebbe riportato all'indietro l'orologio della storia. Il compito del popolare "Madiba" non poteva che essere quello di costruire la nazione, rendendola Arcobaleno, cioè colorata di tutti i colori della pelle degli uomini e delle donne che ci vivevano.
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Il film si apre presentando la difficile situazione del Sud Africa dopo la vittoria elettorale di Nelson Mandela: le troppe umiliazioni dei neri soggetti alla ferocia di un segregazione disumana, non potevano essere cancellate, ma neppure era possibile permettere che le paure dei bianchi (minoritari, ma pur sempre in posizioni di vantaggio economico e "militare", essendo la polizia e l'esercito schierati con loro), creassero un clima di tensione e di guerra civile, che avrebbe riportato all'indietro l'orologio della storia. Il compito del popolare "Madiba" non poteva che essere quello di costruire la nazione, rendendola Arcobaleno, cioè colorata di tutti i colori della pelle degli uomini e delle donne che ci vivevano. La prima parte del film si incentra perciò sulla riflessione politica di Mandela, che, cosciente della sua solitudine, assume l'enorme responsabilità di realizzare un progetto di pacificazione dei popoli sudafricani, utilizzando i mezzi che di volta in volta si presentano come i più adatti allo scopo. Un'apertura di credito viene offerta, tra mille diffidenze dei suoi seguaci, agli esperti guardiani "Afrikaner", che avranno cura della sua incolumità. Allo sport del rugby, invece, popolarissimo solo fra i bianchi, Madiba affida la missione quasi impossibile di creare un tifo "trasversale", che cancelli gli odi, permettendo a tutti di identificarsi nei colori verde e oro della squadra degli Springboks. La scommessa difficile sarà vinta, grazie anche all'intelligenza del capitano della compagine, François Pienaar, che guiderà i suoi compagni in giro per il Sudafrica, a conquistare la simpatia e il tifo dei giovani neri e che prenderà coscienza dell'ingiustizia della carcerazione del vecchio Presidente, visitando l'angusta prigione che per trent'anni l'aveva rinchiuso, senza riuscire tuttavia a piegarne la fierezza di combattente.
Cadono le barriere di diffidenza: la squadra, su cui nessuno avrebbe puntato, si affermerà nel campionato del mondo, mandando in visibilio le folle di bianchi e di neri, grazie a un finale di partita giocato con la testa, col corpo, come si addice a uno sport " da selvaggi", ma soprattutto col cuore. La seconda parte del film, che è la più spettacolare, ma che mi pare un po' viziata da retorica apologetica, ci descrive, appunto, il ritrovato orgoglio della squadra, le azioni incalzanti dei giocatori, le emozioni collettive delle folle. Molto interessante è, tuttavia, il film nel suo complesso, in cui è possibile, a tratti, ritrovare la problematicità del vecchio Clint Eastwood, soprattutto nella prima parte, vera riflessione sul potere, sul consenso che continuamente va riconquistato (perché in ogni democrazia continuamente viene messo alla prova), e sul lavoro politico diretto a risolvere problemi di tutti, essendo il governo rappresentante dell'intero paese e non della sola parte, sia pure maggioritaria, che lo ha eletto.
Morgan Freeman interpreta magnificamente il vecchio Madiba, ma tutti gli attori sono all'altezza del loro ruolo.
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aesse
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venerdì 5 marzo 2010
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la pace non si fa con l’odio
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Come fa Clint Eastwood a frequentare temi a vocazione così altamente retorica fornendoci opere cinematografiche, che ne risultano così miracolosamente indenni? Sarà per quelle 2 sole espressioni per cui è famoso come attore che non indulge a ridondanti accelerazioni emotive, ma anche in Invictus riesce a vincere la presunta scommessa la cui posta in quest’ultimo film si è innegabilmente alzata. Vedere a quale bellezza e forza possa giungere il genere umano quando è in uno stato di grazia è sommamente commovente e in questo film molti sono i momenti di grande commozione, tanto commoventi, quanto assolutamente aretorici come solo la verità narrata con modalità autentiche può essere.
Così come la vera storia della libertà riconquistata e l’inizio della presidenza di Nelson Mandela si esprime attraverso la rilettura rivoluzionaria dell’ortodosso assunto di partenza, per gli stessi piani interpretativi si muove quest’ultima coraggiosissima regia di Eastwood .
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Come fa Clint Eastwood a frequentare temi a vocazione così altamente retorica fornendoci opere cinematografiche, che ne risultano così miracolosamente indenni? Sarà per quelle 2 sole espressioni per cui è famoso come attore che non indulge a ridondanti accelerazioni emotive, ma anche in Invictus riesce a vincere la presunta scommessa la cui posta in quest’ultimo film si è innegabilmente alzata. Vedere a quale bellezza e forza possa giungere il genere umano quando è in uno stato di grazia è sommamente commovente e in questo film molti sono i momenti di grande commozione, tanto commoventi, quanto assolutamente aretorici come solo la verità narrata con modalità autentiche può essere.
Così come la vera storia della libertà riconquistata e l’inizio della presidenza di Nelson Mandela si esprime attraverso la rilettura rivoluzionaria dell’ortodosso assunto di partenza, per gli stessi piani interpretativi si muove quest’ultima coraggiosissima regia di Eastwood .
Questo è un film che si titola in lingua latina con le caratteristiche di potenziatrice di retorica solennità che questo comporta, usando il titolo di una poesia vittoriana, come ci dice il meraviglioso Mandela-Freeman il cui contenuto, opera del poeta Henley, superandone la volontà patriottica intrinseca, il nostro splendido eroe usa in chiave assolutamente rivoluzionaria se si vuole intendere come rivoluzionaria la modalità rivoluzionata contraria a quella prevista e quindi consueta.
Invictus cioè invincibile come la qualità dell’anima per la quale Mandela rende grazie a Dio.
Com’ha da essere un’anima invincibile? Se no non essere vinta e corrotta, vendicativa e rancorosa? Un’anima invincibile come nel caso di Mandela e anche di Eastwood, vista l’età, non immeschinita dal rimbambimento, deve volare alto verso ambiziosi compiti di costruzione realizzando progetti considerati improbabili se non impossibili insomma delle vere e proprie missioni.
Così si avvia il processo di pacificazione nel quale nel quale il neoeletto Mandela impegna tutte le proprie energie in totale disponibilità dell’auspicabile futuro che si origina proprio nelle terribili ingiustizie vissute: deprivato della libertà per 27 anni (ogni mattina ancora buia, prima di uscire scortato per passeggiare, riassetta il letto come se ancora fosse il pagliericcio della sua disumana cella con metodicità dolorosamente acquisita) opponendosi a quell’ovvio “cambiare”troppo prevedibile nella sua radicalità, evitando la riproposizione a parti invertite dei torti subiti, vuole definire e promuovere un irreversibile cambiamento.
Il film racconta un episodio emblematico dell’involontaria-eroica vocazione umana al cambiamento: il cuore batte forte, forte quando il plurale si coniuga fra il nero e il bianco che la congiura trasforma da vittima e carnefice in fraterni sodali, quell’ “abbiamo vinto” è il primo noi di un nuovo stato pacificato e una mano bianca si intreccia con quella nera che solleva nel cielo della gloria la coppa dei campioni del mondo: c’è una partita di rugby che tiene il pubblico del film come appassionati tifosi… Eastwood racconta questa storia vera, senza scadute, in costante tensione, facendo vera storia, creando un precedente positivo la vicenda di Mandela allarga la possibilità umana, superati pericolosi ammiccamenti, in verità, vi si narra una cosa bella con il solenne rispetto che gli compete perché questo è uno di quei film che si riconoscono belli non con la testa ma con il cuore.
ANTONELLA SENSI
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brando fioravanti
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martedì 3 aprile 2012
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incredibile ma vero
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La squadra di rugby del sud Africa è composta solo da giocatori bianchi di origine olandese. Non gioca molto bene e non riceve sostegno dalla popolazione nativa, che odia questo sport visto come un esclusiva per bianchi ricchi. Con l'arrivo di Mandela la situazione cambia. Il nuovo capo di stato cerca ostinatamente di unire le diverse etnie presenti nel suo paese. Diffonderà il rugby anche tra i giovani nativi e ne valorizzerà l'importa nei mondiali che si disputeranno proprio in sud Africa. Grazie all'amicizia di Mandela e ad un popolo finalmente vicino i giocatori saranno motivati e riusceranno a vince il mondiale.
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La squadra di rugby del sud Africa è composta solo da giocatori bianchi di origine olandese. Non gioca molto bene e non riceve sostegno dalla popolazione nativa, che odia questo sport visto come un esclusiva per bianchi ricchi. Con l'arrivo di Mandela la situazione cambia. Il nuovo capo di stato cerca ostinatamente di unire le diverse etnie presenti nel suo paese. Diffonderà il rugby anche tra i giovani nativi e ne valorizzerà l'importa nei mondiali che si disputeranno proprio in sud Africa. Grazie all'amicizia di Mandela e ad un popolo finalmente vicino i giocatori saranno motivati e riusceranno a vince il mondiale. Non ci si può non commuovere difronte a questa storia che non sembra quasi vera, ma ci sono dei dati che confermano i risultati di tutte le partite che si vedono nel film. Freeman credo sia il miglior attore nero della storia chi meglio di lui poteva interpretare Mandela, Damon è bravissimo. Bellisimo film girato da uno dei migliori film del mondo.
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fabrizio cirnigliaro
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venerdì 26 febbraio 2010
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mandela,esisteva già prima delle feste di bono vox
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Mandela ha utilizzato il rugby per raggiungere uno scopo politico e per far ciò ha dovuto prendere delle decisioni impopolari. Impedendo di cambiare nome agli Springboks, ha messo a rischio anche la sua leadership politica.
“Se il popolo in questo momento sbaglia, è dovere del leader dimostrare che hanno torto”
Oltretutto, a causa dell’ embargo internazionale, la nazionale di rugby sudafricana non aveva disputato per quasi trent’anni tornei internazionali. Le chance di una loro vittoria finale erano davvero pochissime.
Invictus è un omaggio ad un uomo, ad uno sport, ad una nazione.
Il film è sostanzialmente diviso in 2 parti.
La prima è la parte più politica, la seconda quella sportiva.
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Mandela ha utilizzato il rugby per raggiungere uno scopo politico e per far ciò ha dovuto prendere delle decisioni impopolari. Impedendo di cambiare nome agli Springboks, ha messo a rischio anche la sua leadership politica.
“Se il popolo in questo momento sbaglia, è dovere del leader dimostrare che hanno torto”
Oltretutto, a causa dell’ embargo internazionale, la nazionale di rugby sudafricana non aveva disputato per quasi trent’anni tornei internazionali. Le chance di una loro vittoria finale erano davvero pochissime.
Invictus è un omaggio ad un uomo, ad uno sport, ad una nazione.
Il film è sostanzialmente diviso in 2 parti.
La prima è la parte più politica, la seconda quella sportiva.
Per un regista americano non era certamente un compito facile realizzare una pellicola incentrata in parte su un mondiale di rugby, anche se come ha detto lo stesso regista “ Invictus non è un film di sport più di quanto Million Dollar Baby fosse un film di pugilato.”
Clint Eastwood, che ha già girato nove film nel nuovo millennio, non ha lasciato niente al caso, tutto è stato curato nei minimi particolari, dalla danza Haka con cui gli All Blacks lanciano la sfida agli avversari prima dell’incontro, al fisico visivamente ingrossato e muscoloso di Matt Damon.
L’interpretazione di Morgan Freeman poi è superba.
Che lo sport possa essere un ottimo vettore per raggiungere degli scopi politici non è certamente una scoperta di Mandela, basti pensare alla la Germania, che si è davvero unificata solo dopo la vittoria ai mondiali di Italia 90, non con il crollo del muro.
Alcuni gesti e alcuni avvenimenti sono simbolici. Il difficile viene dopo, ancora peggio se hai tutto il mondo che ti guarda. Spesso si sente dire che la famiglia del mulino bianco non esiste, che si tratta solo di una trovata pubblicitaria.
In Invictus non c’è del falso buonismo, eppure il film potrebbe sembrare uno spot dei Ringo boys.
Purtroppo il fenomeno del razzismo non è scomparso insieme all’Apartheid.
Si è solo spostato, complice la globalizzazione, e troppo spesso capita che lo sport dia dei cattivi esempi.
L’Italia sarà una delle poche nazionali europee che parteciperà ai prossimi mondiali di calcio del Sud Africa a non avere nella propria rosa un giocatore di colore. Balotelli merita quella maglia, e in ogni caso sarebbe un gesto importante, che forse farebbe riflettere coloro che la domenica negli stadi cantano che “non ci sono italiani di colore”
Non serve essere Mandela per capire certe cose, basterebbe guardare al di là del proprio _naso.
Mandela diceva spesso
“Bisogna conoscere il proprio nemico, prima di prevalere su esso”.
A vincere non sono stati solo gli Springboks sul campo, ma tutto l’Ellis Park (Adesso si chiama Coca-Cola Park), tutto il Sud Africa, finalmente unito, sotto un’unica bandiera, indistintamente dal colore della pelle, dalle disparità socioeconomiche.
Un popolo per la prima volta compatto, solido. Forte come la mischia di una squadra di rugby, in cui il più forte sorregge il più debole, perché si resta in piedi o si crolla tutti insieme. Non a caso si dice che mentre il calcio è uno sport da gentiluomini giocato da teppisti, il rugby è un gioco da teppisti giocato da gentiluomini.
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miss brown
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lunedì 1 marzo 2010
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clint for president
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Negli ultimi film Clint Eastwood gira attorno al tema del patriottismo, ma visto in modi molto diversi: nei due opposti e paralleli film corali sulla IIWW americani e giapponesi davano tutto per il loro Paese, ma come passive marionette nelle mani delle rispettive gerarchie militari. In GRAN TORINO il vecchio Kovalski prende l'iniziativa, decide che il destino DEVE essere nelle sue mani, il brutto carattere diventa sana indignazione, perchè "da noi in America certe cose non devono succedere" e dà la vita per questo.
In INVICTUS c'è un altro vecchio, Mandela, pacato e sereno quanto Kovalski era aggressivo e iracondo, entrambi profondamente laici, ma con una grande fede nel potere della democrazia e dell'uguaglianza.
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Negli ultimi film Clint Eastwood gira attorno al tema del patriottismo, ma visto in modi molto diversi: nei due opposti e paralleli film corali sulla IIWW americani e giapponesi davano tutto per il loro Paese, ma come passive marionette nelle mani delle rispettive gerarchie militari. In GRAN TORINO il vecchio Kovalski prende l'iniziativa, decide che il destino DEVE essere nelle sue mani, il brutto carattere diventa sana indignazione, perchè "da noi in America certe cose non devono succedere" e dà la vita per questo.
In INVICTUS c'è un altro vecchio, Mandela, pacato e sereno quanto Kovalski era aggressivo e iracondo, entrambi profondamente laici, ma con una grande fede nel potere della democrazia e dell'uguaglianza. Madiba è un uomo dolce e gentile (un capo di stato che porta in dono da un viaggio in Europa le caramelle preferite a una guardia del corpo), ma non esita a servirsi di uno sport violento come il rugby per dare una scossa al suo popolo, a quei neri che tifavano per la squadra avversaria nelle partite internazionali, e ai bianchi che si rifiutavano di cantare il nuovo inno nazionale, non sapendo che significa "Dio benedica l'Africa". Tutto è raccontato con calma, con la lentezza che è non solo dei vecchi saggi, ma dei grandi classici.
Il capitano bianco della nazionale Pinaar non ha votato per Mandela, ma impara a stimarlo come uomo prima che come Presidente. Così tutti, indipendentemente dalle idee politiche, non possiamo non amare profondamente il vecchio Clint: se tutti gli uomini di destra fossero come lui non avremmo bisogno di uomini di sinistra.
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ace87
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sabato 27 febbraio 2010
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il potere dello sport
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Sembrava che il percorso del Cinema di Clint Eastwood, con Gran Torino avesse toccato il culmine dei messaggi che l’ottantenne californiano, attraverso il suo stile, aveva a cuore di lanciare. Dopo gli ultimi tristi quadri della realtà contemporanea, questa volta sembra voler donarci la luce. E lo fa tramutando in lungometraggio gli anni più significativi di uno dei leader nazionali più quotati, più acclamati, e più amati in generale, da sempre. Nelson Mandela, dopo 27 anni di duro carcere, viene eletto presidente del Sud Africa, suo amato ed onorato suolo natio, ricolmo di piaghe e lacerazioni interne.
Da un romanzo ne trae spunto. Dalla stessa realtà storica, ne trae ispirazione.
E’ infatti alle soglie l’anno in cui il paese ospiterà per la prima volta la coppa del mondo di Rugby, sport nazionale.
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Sembrava che il percorso del Cinema di Clint Eastwood, con Gran Torino avesse toccato il culmine dei messaggi che l’ottantenne californiano, attraverso il suo stile, aveva a cuore di lanciare. Dopo gli ultimi tristi quadri della realtà contemporanea, questa volta sembra voler donarci la luce. E lo fa tramutando in lungometraggio gli anni più significativi di uno dei leader nazionali più quotati, più acclamati, e più amati in generale, da sempre. Nelson Mandela, dopo 27 anni di duro carcere, viene eletto presidente del Sud Africa, suo amato ed onorato suolo natio, ricolmo di piaghe e lacerazioni interne.
Da un romanzo ne trae spunto. Dalla stessa realtà storica, ne trae ispirazione.
E’ infatti alle soglie l’anno in cui il paese ospiterà per la prima volta la coppa del mondo di Rugby, sport nazionale. Evento che ha potuto aver corso grazie proprio all’elezione di Mandela, deciso più che mai a lenire le ferite e le divisioni interne dovute all’apartheid. Prima sull’orlo della guerra civile, ed ora vicino ad un’unione nazionale, due sono le bandiere che identificano lo Stato: quella più “scarna” della divisione, e quella nuova “arcobaleno”. Ma una bandiera, o due che siano, non bastano a fare una Nazione. C’è bisogno di un collante, di un legame, che unisca la popolazione costituita da Afrikaner, bianchi, neri, Inglesi, africani. C’è bisogno che l’odio sia sconfitto. C’è bisogno che Tutti cambino. E per cambiare, lo stesso leader deve mettersi in gioco. “Madiba” contatterà il capitano degli Springbooks F. Pienaar, interpretato da un convincente Matt Damon, ed attraverso la figura più importante del team nazionale, instaurerà una serie di iniziative che culmineranno nella finale di Ellis Park. Già, perché sfavorita dopo le ultime preoccupanti partite, la squadra del biondo Capitano scalerà invece il torneo. Il neo presidente, temprato dagli anni di prigionia, regalerà al suo popolo una nuova identificazione attraverso un mezzo che, veramente, può avere poteri fenomenali. Trarrà spunto dalle parole di un poemetto vittoriano (Invictus), i quali versi, rimbomberanno da Robben Island a Pretoria, per innalzare un Uomo che con il sorriso ha saputo sfondare barriere, ed illuminare i cuori. “Se non potete parlare alle loro menti, parlate ai loro cuori”. Pensare che una palla ovale faccia da tramite, fa sorridere, per l’appunto. E in questo film la Paura, per eventuali cecchini, aerei dirottati o semplici vigliacchi, non trova spazio. In questo film, il Rugby è solo un “calcolo politico e umano”, intrapreso da chi ha fatto del Perdono la propria arma. Solo il Perdono scansa la Paura: questo è l’ultimo passo di Clint, ancor più enorme del penultimo. “Ringrazio qualunque Dio esista, per la mia anima invincibile…”.
Chiudo con un piccolo riferimento: vedendo questo capolavoro di classicismo, non ho potuto non pensare a come ci siamo sentiti, chi più e chi meno, la sera in cui la nazionale italiana di calcio, ha vinto i mondiali 2006 in Germania: pensando a come uno Sport possa smuovere la gente a gioire, festeggiare, cantare e quant’altro, indipendentemente da chi ci si ritrovi accanto, fa riflettere. Fa riflettere pensare che per accorgersene, ci si debba prima convincere.
“Io sono il padrone del mio destino, il capitano dell’anima mia”.
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(di davide allegra)
[ - ] ottima recensione
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sancrispino
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martedì 29 marzo 2011
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imperdibile
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Un film sul cambiamento, sulla forza del perdono e sulle grandi virtù dello sport. E' la storia di una missione impossibile: portare una squadra debole e demotivata a vincere il campionato mondiale di rugby contro un team, quello degli All Blacks, considerato un'invincibile armata. Ma Nelson Mandela chiede al capitano Pienaar di giocare non solo per sè e per la squadra, ma soprattutto per il suo Paese.
E avviene il miracolo: gli Springboks vincono e convincono milioni di neri sudafricani a tifare per loro, fino a quel momento quasi un simbolo dell'apartheid.
Il film cresce ogni minuto che passa, in perfetta sintonia con la crescita sportiva e umana dei 15 gladiatori sudafricani, per esplodere in un finale emozionantissimo dove l'abbraccio dei 62 mila spettatori allo stadio e dei 43 milioni di sudafricani davanti ai teleschermi diventa una cosa sola con l'abbraccio dei milioni di spettatori che nelle sale cinematografiche di tutto il mondo hanno tributato onore a Clint Eastwood, regista del film e ultimo grandissimo interprete del cinema classico americano.
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Un film sul cambiamento, sulla forza del perdono e sulle grandi virtù dello sport. E' la storia di una missione impossibile: portare una squadra debole e demotivata a vincere il campionato mondiale di rugby contro un team, quello degli All Blacks, considerato un'invincibile armata. Ma Nelson Mandela chiede al capitano Pienaar di giocare non solo per sè e per la squadra, ma soprattutto per il suo Paese.
E avviene il miracolo: gli Springboks vincono e convincono milioni di neri sudafricani a tifare per loro, fino a quel momento quasi un simbolo dell'apartheid.
Il film cresce ogni minuto che passa, in perfetta sintonia con la crescita sportiva e umana dei 15 gladiatori sudafricani, per esplodere in un finale emozionantissimo dove l'abbraccio dei 62 mila spettatori allo stadio e dei 43 milioni di sudafricani davanti ai teleschermi diventa una cosa sola con l'abbraccio dei milioni di spettatori che nelle sale cinematografiche di tutto il mondo hanno tributato onore a Clint Eastwood, regista del film e ultimo grandissimo interprete del cinema classico americano.
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slowfilm.splinder.com
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sabato 27 febbraio 2010
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un giusto omaggio, ma non un film sorprendente.
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Invictus appartiene ad un genere molto apprezzato nell’ultimo ventennio, che è “il film molto classico di Clint Eastwood”. Caratteristiche dei film appartenenti al genere sono: essere diretti da un regista che si professa conservatore, ma trattare soggetti “progressisti”; avere una fotografia pietrosa, come se lo spettatore vedesse tutto attraverso occhi stanchi, ma sapienti, ma anche un po’ colpevoli; avvalersi di attori protagonisti che, entusiasti di poter lavorare nel film molto classico di Clint Eastwood, danno il loro meglio nell’impersonare dei caterpillar della consapevolezza; infine, una colonna sonora solo strumentale, un po’ malinconica e ripetitiva, che tace nei momenti clou e riprende subito dopo l’acme, come a dire, sì, è vero, è successo qualcosa di grosso, ma per me è normale e me ne sono appena accorta, perché sono la colonna sonora di un film di Clint Eastwood.
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Invictus appartiene ad un genere molto apprezzato nell’ultimo ventennio, che è “il film molto classico di Clint Eastwood”. Caratteristiche dei film appartenenti al genere sono: essere diretti da un regista che si professa conservatore, ma trattare soggetti “progressisti”; avere una fotografia pietrosa, come se lo spettatore vedesse tutto attraverso occhi stanchi, ma sapienti, ma anche un po’ colpevoli; avvalersi di attori protagonisti che, entusiasti di poter lavorare nel film molto classico di Clint Eastwood, danno il loro meglio nell’impersonare dei caterpillar della consapevolezza; infine, una colonna sonora solo strumentale, un po’ malinconica e ripetitiva, che tace nei momenti clou e riprende subito dopo l’acme, come a dire, sì, è vero, è successo qualcosa di grosso, ma per me è normale e me ne sono appena accorta, perché sono la colonna sonora di un film di Clint Eastwood. Probabilmente scritta, almeno in parte, dallo stesso Eastwood.
Ecco, la colonna sonora in questo caso non m’è parsa delle più memorabili, con l’”Invictus Theme” che suona come una rivisitazione non particolarmente brillante di “'O Sole Mio”. Per il resto, il film racconta senza uno sbaffo la bella storia di Mandela presidente neoeletto del Sudafrica, che dà prova del suo genio politico nel trattare la nazionale bianca di rugby degli Springboks, in odio a tutti quelli che Mandela l’hanno votato. Nel fare della squadra un simbolo e uno strumento per un nuovo corso, invece di scioglierla, Mandela dimostra come un ragionamento puramente utilitaristico possa essere alla base di una scelta eticamente e umanamente inarrivabile, per l'istinto e il livello morale medio.
Il film scorre fluido e senza intoppi, parabola su un uomo che, dopo aver passato l’inferno, è già diventato un simbolo e un illuminato (e, in quanto tale, trova la sua naturale incarnazione in Morgan Freeman, onnisciente per definizione). Eppure, come per altri film molto classici di Clint Eastwood, quando si parlerà di Invictus come dell’ennesimo splendido capolavoro, io me ne starò un po’ in disparte, ripensando ad un film ben costruito, ammirevole nel tema e nel messaggio (anche se non privo di qualche momento di retorica facile, come nella scena del bambino nero portato in trionfo dai due poliziotti bianchi), eppure inaspettatamente volatile, incapace di dare alla figura di Mandela una consistenza più concreta di quella radicata nell’immaginario comune, presentandosi più come un omaggio che come un’opera che abbia davvero la forza (e la volontà) di misurarsi con uomini e tempi tanto importanti e complessi. slowfilm.splinder.com
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(di jimi caos)
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andy11
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mercoledì 9 giugno 2010
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mandela e il rugby: alleati per una stessa causa
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Regia straordinaria, sceneggiatura sublime, fotografia altrettanto magnifica per una vicenda che lascia tutti affascinati dal grande Nelson Mandela, qui interpretato magistralmente da Morgan Freeman. Probabilmente nessun altro attore si sarebbe potuto calare meglio in questo personaggio. Gli eventi narrati si svolgono nel periodo immediatamente successivo alla fine dell'apartheid e all'elezione alla presidenza del Sudafrica di Mandela. Siamo nel 1995, in contemporanea con i campionati mondiali di rugby, tenutisi proprio in Sudafrica. Nessuno avrebbe pensato che gli Sprinboks( la nazionale sudafricana di rugby), capitanati da Francois Pienaar(Matt Damon), avrebbero vinto la coppa del mondo, dato che la squadra, appena un anno prima, si presentava completamente impreparata.
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Regia straordinaria, sceneggiatura sublime, fotografia altrettanto magnifica per una vicenda che lascia tutti affascinati dal grande Nelson Mandela, qui interpretato magistralmente da Morgan Freeman. Probabilmente nessun altro attore si sarebbe potuto calare meglio in questo personaggio. Gli eventi narrati si svolgono nel periodo immediatamente successivo alla fine dell'apartheid e all'elezione alla presidenza del Sudafrica di Mandela. Siamo nel 1995, in contemporanea con i campionati mondiali di rugby, tenutisi proprio in Sudafrica. Nessuno avrebbe pensato che gli Sprinboks( la nazionale sudafricana di rugby), capitanati da Francois Pienaar(Matt Damon), avrebbero vinto la coppa del mondo, dato che la squadra, appena un anno prima, si presentava completamente impreparata. Ed è qui che interviene Mandela, che fa del rugby un manifesto della sua politica, volta ad unificare un paese che pochi anni prima era stato vittima di una vera e propria scissione razziale, senza il minimo rancore verso coloro( gli Afrikaner, i sudafricani bianchi) che lo avevano tenuto in prigione per quasi 30 anni. Non a caso egli affermò che prima di poter cambiare gli altri, dobbiamo cambiare noi stessi.La vittoria non è semplicemente una vittoria sul campo, ma una vittoria dell'intera nazione e si deve a lui, a Nelson Mandela, colui che si avvalse di un evento sportivo per unire l'intera popolazione sudafricana, indipendentemente dal colore della pelle. Il regista Eastwood insiste molto sulla potenza espressiva delle immagini, che comunicano ancor più delle parole, soprattutto verso la fine, quando la telecamera si sofferma sugli abbracci tra bianchi e neri, suscitando una profonda commozione nello spettatore. Storiche le battute finali tra Mandela e Pienaar:“Grazie per quel che ha fatto per il Sudafrica”, ma Francois dice: “Grazie per quel che ha fatto Lei!”. Senza il supporto di Mandela certamente gli Springboks non avrebbero mai vinto e sarebbe venuto meno un momento di conciliazione tanto importante tra i due principali gruppi etnici sudafricani.
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filippo catani
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domenica 30 settembre 2012
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il mandela sportivo
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Alla vigilia della coppa del mondo di rugby del 1995 ospitata del Sud Africa, Mandela decide di investire tantissimo su questo evento sia dal punto di vista sportivo cercando di spronare la squadra a dare il massimo sia dal punto di vista sociale come una delle occasioni per avviare la riconciliazione tra la popolazione bianca e quella di colore. Il tutto grazie allo splendido rapporto che si crea tra Mandela e il capitano della squadra di casa.
Il film è davvero molto toccante e aiuta ad illuminare altri aspetti della vita di Mandela che magari in film precedenti non erano stati presi in esame (mentre sono presenti anche cose già ben note). Oltre al grande messaggio del film e della storia che lo ispira realmente accaduta c'è da sottolineare la bravura dei due interpreti principali.
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Alla vigilia della coppa del mondo di rugby del 1995 ospitata del Sud Africa, Mandela decide di investire tantissimo su questo evento sia dal punto di vista sportivo cercando di spronare la squadra a dare il massimo sia dal punto di vista sociale come una delle occasioni per avviare la riconciliazione tra la popolazione bianca e quella di colore. Il tutto grazie allo splendido rapporto che si crea tra Mandela e il capitano della squadra di casa.
Il film è davvero molto toccante e aiuta ad illuminare altri aspetti della vita di Mandela che magari in film precedenti non erano stati presi in esame (mentre sono presenti anche cose già ben note). Oltre al grande messaggio del film e della storia che lo ispira realmente accaduta c'è da sottolineare la bravura dei due interpreti principali. Lo straordinario Morgan Freeman si cala alla perfezione in quella che poteva essere una parte insidiosa riuscendo ad impersonare benissimo il leader sudafricano anche nelle sue movenze. Certo è da vero leader quale è stato riuscire a "piegare" un evento sportivo per riuscire a trasformarlo in un grande evento di riconciliazione e senso di appartenza alla stessa nazione visto che bianchi e neri si dividevano anche sullo sport preferito (per i bianchi il rugby per i neri il calcio). E poi una menzione anche a Matt Damon molto bravo a scendere nella parte del capitano Pienaar dando prova di grande duttilità e passione viste le ore passate in palestra e con il vero capitano per poter interpretare alla meglio la parte. Insomma che dire? Eastwood regala un'altra perla di regia.
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