no_data
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sabato 9 gennaio 2016
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road movie - musicale
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Gran bel film, bella musica. Un road movie musicale dove una coppia di ragazzi ricerca i compenenti della band con cui partire in tour nei luoghi più diversi: da una stalla, ad una cantina. Il film attraversa quasi ogni genere musicale, dal rap persiano, folk heavy metal. Sullo sfondo dellla ricerca ma anche cooprotagonista Theran con il suo traffico, la sua miseria. La polizia che non si vede ma che ti strappa il cane dall'auto.
Un film clandestino dal grande impatto sociale, capace dil mostrale una città viva culturalmente ma schiacciata dal peso delle regole imposte dallo Stato che non riesce però a togliere la voglia di provare a questo gruppo di ragazzi, che per poter provare deve aspettare che il vicino esca di casa.
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Gran bel film, bella musica. Un road movie musicale dove una coppia di ragazzi ricerca i compenenti della band con cui partire in tour nei luoghi più diversi: da una stalla, ad una cantina. Il film attraversa quasi ogni genere musicale, dal rap persiano, folk heavy metal. Sullo sfondo dellla ricerca ma anche cooprotagonista Theran con il suo traffico, la sua miseria. La polizia che non si vede ma che ti strappa il cane dall'auto.
Un film clandestino dal grande impatto sociale, capace dil mostrale una città viva culturalmente ma schiacciata dal peso delle regole imposte dallo Stato che non riesce però a togliere la voglia di provare a questo gruppo di ragazzi, che per poter provare deve aspettare che il vicino esca di casa.. e questo è solo uno degli esempi della assurdità con in quali i ragazzi si scontrano.
Film vitalissimo e accompagnato da una bellissima colononna sonora.
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__jb__
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martedì 4 giugno 2013
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ma che strano...
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... non è colpa dei cattivoni della cia con gli occhiali scuri stavolta? Ma dai, che recensione politicamente scarsa, non correrà mai per il premio Lenin.
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francesco2
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mercoledì 11 luglio 2012
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pedinamento e videoclip
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Per quanto risulta a chi scrive, il pedinamento zavattiniano consisteva nel seguire un personaggio con la telecamera in mano, inserendosi ovviamente, nel neorealismo, che ritrae prima (O invece) di "creare".
Partendo da questo presupposto, bisognerebbe chiedersi quanto certo cinema iraniano più o meno "contemporaneo" sia debitore della lezione di certi maestri nostrani. Se Kiarostamì, in "Dov'è la casa del mio amico", ritraeva certe situazioni con l'occhio, sì, documentaristico, ma suggerendo un degrado morale in un apparente film di avventura, anche Marzyieh Meshini, nel suo pessimo "Piccoli ladri", aveva -Mi pare- riconosciuto l'influenza dei nostri "Ladri di biciclette".
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Per quanto risulta a chi scrive, il pedinamento zavattiniano consisteva nel seguire un personaggio con la telecamera in mano, inserendosi ovviamente, nel neorealismo, che ritrae prima (O invece) di "creare".
Partendo da questo presupposto, bisognerebbe chiedersi quanto certo cinema iraniano più o meno "contemporaneo" sia debitore della lezione di certi maestri nostrani. Se Kiarostamì, in "Dov'è la casa del mio amico", ritraeva certe situazioni con l'occhio, sì, documentaristico, ma suggerendo un degrado morale in un apparente film di avventura, anche Marzyieh Meshini, nel suo pessimo "Piccoli ladri", aveva -Mi pare- riconosciuto l'influenza dei nostri "Ladri di biciclette".
Mi rendo conto che questa premessa può apparire dilatata o inutile, ma potrebbe tornare utile parlando di questo film; ricordandoci, oltretutto, che Ghobadi aveva già diretto il più interessante "Tempo dei cavalli ubriachi". Anche lì, la tecnica era al contempo documentaristica (Attenzione anche nei minimi particolari per azioni come, ad esempio, allacciarsi le scarpe) e kiarostamiana, nel senso più "nostrano" del termine ( Le voci fuori campo dei personaggi, mentre sono impegnati a fare qualcos'altro). La stessa tecnica dei "Gatti persiani", che nella sua sceneggiatura ingenua e talora virtuosistica (Che lungo il colloquio, tragicomico, tra il giovane d il poliziotto), ed un pò gratuita (La scena del cagnolino,ad esempio), ci (tras)porta nei vicol(ett)i frequentati dal ragazzo , per poi (sof)fermarsi sui volti dei giovani protagonisti: quando ci risparmia fastidiosi "Videoclippismi" che ricordano c rto Stone o "L'odio" di Kassovitz, il film trova qui il principale motivo di interesse. Insinuandosi nella semplicità (Di mezzi, ahimé, ma anche di volti e dialoghi), Ghobadis embra volere(si?) insinuare che, in realtà, la tensione è latente; quella macchina da presa fissa, immobile, mentre i protagonisti parlano, è solo una premessa della tragedia finale.
Per raggiungere davvero un risultato simile, tuttavia, occorre una cosa chiamata rigore. E questo film non trasmette rigore, ma più spesso simpatia (si vedano, otretutto, anche figure minori, come il giovane che parla del suo amore per Teheran). E la simpatia è una cosa diversa.
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storyteller
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giovedì 29 aprile 2010
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molto gradito
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Film di denuncia che ha per protagonisti non i canonici giovani arrabbiati, ma piuttosto dei fuggitivi, clandestini nel loro stesso Paese. Sorprendentemente godibile e a tratti spassoso, vanta un apporto sonoro eccezionale.
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il caimano
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venerdì 23 aprile 2010
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vivere a teheran
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E' proprio un ottimo film questo "I gatti persiani": un pò indagina sociologica, un pò racconto poetico e romantico, un pò documentario, senza sbagliare in nessuno di questi.
La storia ruota intorno alla realizzazione del desiderio di un gruppo di giovani musicisti: lasciare l'Iran per suonare all'estero liberamente la musica che nella madrepatria è vietata, ovvero tutta la musica che non è conforme ai dettami oltranzisti del regime (ed è utile ricordare che alle donne è vietato cantare, se non in un ruolo di corista).
In primo luogo l'ambientazione, visiva e di contesto: il film porta finalmente lo spettatore ad aprire gli occhi su una realtà normalmente oscura (ed oscurata) a noi occidentali, che non riusciamo ad immaginare come vivano e cosa pensino le persone che abitano Teheran, quali siano i loro sogni, le loro frustrazioni, se e quanto ci assomiglino (non posso non pensare al titolo di un libro che finalmente mi deciderò a comprare "Leggere Lolita a Teheran" di Nafisi Azar).
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E' proprio un ottimo film questo "I gatti persiani": un pò indagina sociologica, un pò racconto poetico e romantico, un pò documentario, senza sbagliare in nessuno di questi.
La storia ruota intorno alla realizzazione del desiderio di un gruppo di giovani musicisti: lasciare l'Iran per suonare all'estero liberamente la musica che nella madrepatria è vietata, ovvero tutta la musica che non è conforme ai dettami oltranzisti del regime (ed è utile ricordare che alle donne è vietato cantare, se non in un ruolo di corista).
In primo luogo l'ambientazione, visiva e di contesto: il film porta finalmente lo spettatore ad aprire gli occhi su una realtà normalmente oscura (ed oscurata) a noi occidentali, che non riusciamo ad immaginare come vivano e cosa pensino le persone che abitano Teheran, quali siano i loro sogni, le loro frustrazioni, se e quanto ci assomiglino (non posso non pensare al titolo di un libro che finalmente mi deciderò a comprare "Leggere Lolita a Teheran" di Nafisi Azar).
Purtroppo (per loro) no, non ci assomigliano, se non in minima parte. Le nostre ambizioni sono altre: un lavoro soddisfacente, una famiglia amorevole, il riconoscimento degli altri. Loro invece vogliono respirare a pieni polmoni il sapore della libertà, la libertà che solo la musica (questa si, uguale dappertutto) riesce a regalare a chi si lascia attraversare dal suo passaggio. E questi ragazzi lo fanno.
Ovviamente avbrebbero molto da insegnarci, e da insegnare alle nuove generazioni: inseguire un sogno a volte è più importante della vita stessa, soprattutto se questa vale poco, maltrattata com'è da burocrati e gerarchi del regime. Non è un caso che questo film, osteggiato in patria, sia stato spinto e promosso da Amnesty International, che in fatto di diritti umani ne sa abbastanza.
Però (ecco il secondo insegnamento, ed ecco l'errore fondamentale che ha fatto il regime nel bandire questo titolo) questi ragazzi continuano, nonostante tutto, ad amare il loro Paese: nonostante le vessazioni, la corruttela, le ingiustizie palesi, l'approssimazione, gli espedienti necessari ad ottenere ciò che per "gli altri" è un diritto sacrosanto. Loro vorrebbero andare a Londra, ma poi ritornare, non abbandonare un paese che ora li ama poco, o che forse non è capace di amarli nel modo più giusto.
Neanche visivamente Teheran ci è nota, se non a livello assolutamente ideale: alzi la mano chi pensa che ci siano profonde differenze tra "tutte quelle città": Teheran, Beirut, Taskent, Baku....nell'immaginario collettivo un pò si somigliano tutte, un misto di confusione, sporcizia, traffico e disordine architettonico. Beh, nel film in effetti Teheran appare esattamente così.
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olgadik
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martedì 20 aprile 2010
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perseguitati pure cani e gatti
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Underground di nome e di fatto per i giovani musicisti iraniani che, non potendo liberamente suonare con le loro band perché troppo rivoluzionarie, vivono la loro passione letteralmente sottoterra. La città di Teheran nasconde sotto di sé un inimmaginabile percorso fatto di cantine, ambienti in degrado, corridoi, stradine, veri e propri nascondigli dove pareti rozzamente insonorizzate accolgono le note del rock, del rap, suonate da giovani sperimentatori in fuga dalle maglie dell’oppressione e delle censure. Di questo, come di altre realtà del Medio Oriente, si conosce da noi sempre troppo poco e ben venga quindi questo tipo di informazioni. Il film, per questo motivo, è prima di tutto un atto di coraggio e racconta soprattutto l’energia materialmente sottesa a quello che si vede in superficie, ma che cammina ovunque: sui tetti, nelle stanze nascoste, addirittura nelle stalle in campagna.
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Underground di nome e di fatto per i giovani musicisti iraniani che, non potendo liberamente suonare con le loro band perché troppo rivoluzionarie, vivono la loro passione letteralmente sottoterra. La città di Teheran nasconde sotto di sé un inimmaginabile percorso fatto di cantine, ambienti in degrado, corridoi, stradine, veri e propri nascondigli dove pareti rozzamente insonorizzate accolgono le note del rock, del rap, suonate da giovani sperimentatori in fuga dalle maglie dell’oppressione e delle censure. Di questo, come di altre realtà del Medio Oriente, si conosce da noi sempre troppo poco e ben venga quindi questo tipo di informazioni. Il film, per questo motivo, è prima di tutto un atto di coraggio e racconta soprattutto l’energia materialmente sottesa a quello che si vede in superficie, ma che cammina ovunque: sui tetti, nelle stanze nascoste, addirittura nelle stalle in campagna. Questa specie di documentario che mette in scena anche la storia di due personaggi è però a mio parere interessante soprattutto come testimonianza della realtà iraniana, essendo la storia debolina, gli attori un po’ inespressivi (salvo il pirotecnico e comico Hamed Behdad), il mezzo quasi da cinema amatoriale, girato com’è con una piccola camera da ripresa digitale. Ciò avviene perché il materiale da 35 mm. è di proprietà privata dello stato che “seleziona” i registi a cui darlo. Nel nostro caso l’autore è il curdo-iraniano Barman Ghobadi, conosciuto da noi solo per Il tempo dei cavalli ubriachi e malvisto dal potere del suo paese. Accanto a lui come sceneggiatrice e fidanzata Roxana Saberi, processata in Iran per un supposto spionaggio a favore degli Usa e poi assolta. Se si aggiunge che Gohbadi è noto a casa sua solo attraverso dvd che circolano di nascosto, è chiaro il quadro della situazione. E veniamo al film. Dopo un piccolo prologo entrano in scena i giovani protagonisti, Ashkan e la sua ragazza Negar, che hanno deciso di andar via dall’Iran per poter liberamente coltivare i loro sogni e la loro musica. Due i problemi rilevanti: procurarsi dei passaporti falsi e individuare altri musicisti appassionati della musica nuova con cui formare una band esportabile in Occidente. Ad aiutarli nella soluzione di entrambi spunta Nader, ineffabile factotum traffichino e fanfarone, che conosce tutti i segreti del mondo sotterraneo e di quelli che lo fiancheggiano, fornendo locali, informazioni e passaporti falsi. Con lui i due ragazzi girano per la città superore e inferiore e tramite i loro giri noi conosciamo le varie realtà sociali che compongono quel paese con luci nascoste e ombre evidenti, nel degrado, nella miseria, nell’atmosfera opprimente di un regime che ce l’ha anche con i cani e i gatti, considerati impuri e da confinare nelle case. Come questi animali, si vorrebbe imprigionare la musica, salvando solo quella tradizionale, come se le note e l’espressione artistica potessero essere gestite dall’alto senza respirare aria i libertà. Invece il film vuole proprio documentare come ogni società tenda ad esprimere energie giovani, le quali, pur soffocate, sanno farsi strada accettando pure drammi e difficoltà, perché dove c’è da creare c’è anche lo spazio per un sorriso. Pur non ignorando le contraddizioni dei sistemi politici d’altro tipo e gli appiattimenti di un mondo globalizzato, la ricerca dei due giovani si nutre di impegno e speranza, due disposizioni d’anima che fioriscono anche tra paure e underground.
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laulilla
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domenica 18 aprile 2010
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i ragazzi di teheran.
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Un gruppo di giovani (fra loro anche una ragazza) di Teheran, dalla faccia pulita e dai mille sogni in tasca, vorrebbe cantare, suonare e ascoltare la musica rock di cui ciascuno di loro è appassionato, come milioni di loro coetanei in altri paesi del mondo. Purtroppo a Teheran, il regime instaurato dalla repubblica islamica, soprattutto dopo i contestatissimi risultati delle ultime elezioni, allarga senza tregua e con crescente ottusità il numero dei nemici da reprimere: non solo gli oppositori politici, ma gli intellettuali, i giovani che amano la musica non tradizionale, persino i cagnolini da compagnia, probabilmente anche i gatti, che però, prediligendo le pareti domestiche per loro natura, se la passano un po' meglio e non vengono sequestrati per strada.
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Un gruppo di giovani (fra loro anche una ragazza) di Teheran, dalla faccia pulita e dai mille sogni in tasca, vorrebbe cantare, suonare e ascoltare la musica rock di cui ciascuno di loro è appassionato, come milioni di loro coetanei in altri paesi del mondo. Purtroppo a Teheran, il regime instaurato dalla repubblica islamica, soprattutto dopo i contestatissimi risultati delle ultime elezioni, allarga senza tregua e con crescente ottusità il numero dei nemici da reprimere: non solo gli oppositori politici, ma gli intellettuali, i giovani che amano la musica non tradizionale, persino i cagnolini da compagnia, probabilmente anche i gatti, che però, prediligendo le pareti domestiche per loro natura, se la passano un po' meglio e non vengono sequestrati per strada. In questo quadro, i nostri giovanotti, ritenendo di non avere spazio alcuno per sviluppare il loro talento in patria, decidono di investire i magri risparmi familiari per espatriare. Londra, da sempre amata dagli esuli perseguitati, è l'obiettivo della loro fuga, ma è un difficilissimo traguardo, perché, naturalmente, nessuno può allontanarsi dal paese senza rischiare, a meno di ottenere, dalle autorità pubbliche, un passaporto non contraffatto. Purtroppo, per questi giovani avere un passaporto regolare è impossibile, avendo ciascuno di essi già conosciuto il carcere, senza altra colpa, se non quella di amare la musica. Un quadro davvero impressionante, quello che emerge da questo terribile film, che denuncia la ferocia repressiva di un regime incapace di offrire una speranza a quei giovani che pur amano profondamente il loro paese e non vorrebbero proprio abbandonarlo, solo che venisse offerta loro qualche chanche. Il mondo immobile dell'Iran contemporaneo non è solo quello delle danze delle spade e delle nenie immutabili, ma quello dell'ignoranza diffusa, della sporcizia e del degrado urbano della capitale, dello smog asfissiante, di un traffico caotico e rumorosissimo, sovrastato continuamente dalle sirene sinistre delle auto della polizia.
Tutto questo ci viene narrato con un ritmo veloce e incalzante, che segue il continuo fuggire dei giovani dagli spazi aperti, dove potrebbero essere visti, alla ricerca di luoghi bui, insonorizzati, catacombali, dove la loro passione per il rock possa esprimersi senza troppi problemi. Film molto bello, da vedere e meditare, costato l'esilio al regista, che non è tornato in patria dopo averlo presentato a Cannes.
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marezia
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domenica 18 aprile 2010
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alla redazione
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Avete preferito pubblicare LE IDIOZIE di chiarialessandro e non la mia considerazione extra relativa all'arresto di Panahi? VERGOGNA! Tanto la petizione "l'ho chiamata" lo stesso perché PUNTUALMENTE si è verificato quello che avevo evocato quindi anche questa volta il mio apporto INTELLIGENTE a questo sito quasi del tutto inutile l'ho dato. Alla prossima!
[+] ed allora...
(di francesco2)
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