omero sala
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lunedì 9 gennaio 2012
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la fatica di sopravvivere
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I distributori italiani non hanno preso in considerazione questo film, troppo ostico e indigeribile per il pubblico lobotomizzato che affolla le nostre multisale.
La insopportabilmente cupa storia di Adam Stein, ebreo tedesco, si articola in tre tempi: nel primo - anni ’30 - Adam è un irresistibile intrattenitore di cabaret, mago, prestidigitatore, cantante e ballerino che raccoglie enorme successo di pubblico (anche presso i nazisti che stanno conquistando il potere); nel secondo tempo viene internato, insieme alla moglie e alle due figlie, in un campo di sterminio e salva la pelle facendo letteralmente il cane per il comandante nazista (suo ammiratore in tempo di pace) e suonando il violino per accompagnare nelle camere a gas i deportati (fra cui i suoi cari); nel terzo tempo infine - anni ’60 - si ritrova ospite forzato in un struttura sanitaria isolata nel deserto dove, con altri sopravvissuti persi nei loro disagi psichici, tenta di raggiungere un difficile compromesso con la fatica di sopravvivere e di trovare una normalità tanto desiderata quanto temuta e insostenibile.
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I distributori italiani non hanno preso in considerazione questo film, troppo ostico e indigeribile per il pubblico lobotomizzato che affolla le nostre multisale.
La insopportabilmente cupa storia di Adam Stein, ebreo tedesco, si articola in tre tempi: nel primo - anni ’30 - Adam è un irresistibile intrattenitore di cabaret, mago, prestidigitatore, cantante e ballerino che raccoglie enorme successo di pubblico (anche presso i nazisti che stanno conquistando il potere); nel secondo tempo viene internato, insieme alla moglie e alle due figlie, in un campo di sterminio e salva la pelle facendo letteralmente il cane per il comandante nazista (suo ammiratore in tempo di pace) e suonando il violino per accompagnare nelle camere a gas i deportati (fra cui i suoi cari); nel terzo tempo infine - anni ’60 - si ritrova ospite forzato in un struttura sanitaria isolata nel deserto dove, con altri sopravvissuti persi nei loro disagi psichici, tenta di raggiungere un difficile compromesso con la fatica di sopravvivere e di trovare una normalità tanto desiderata quanto temuta e insostenibile.
Qui, nella desolazione assoluta di un ospedale-lager asettico dalle architetture essenziali inserito in uno scenario riarso e arido, Adam entra in contatto con un “enfant sauvage” che come lui ha subito maltrattamenti e come lui - sia pure in circostanze diverse - è stato costretto ad assumere i comportamenti di un cane, inselvatichendosi al punto di subire una sorta di mutazione e diventare cane, ferocemente diffidente, rabbioso ed inavvicinabile.
Fra loro scatta, tra mille incertezze e angosce riesumate, la “sin-patia”: le due vittime della sadica bestialità umana si fiutano, si riconoscono, trovano inspiegabilmente la voglia istintiva di scampare dalla negatività, dal disfacimento e dall’inevitabile desiderio di autodistruzione, arrancano nel buio dell’incertezza per salvarsi reciprocamente, si sorreggono a vicenda per scrollarsi di dosso la insopportabile colpa di esistere. (Noi siamo i sopravvissuti. Non è un delitto ...)
Il film, estremamente duro e disturbante, si snoda sui tre livelli temporali in un continuo intrecciarsi di flashback volutamente disorganici e inquietanti, organizzato sul filo illogico degli incubi che riemergono e delle angosce rievocate.
La regia è asciutta, essenziale; evita gli scivolamenti nel melodramma e nello psicodramma e non si lascia tentare da facili allusioni alla storia o alla politica.
Cupo il bianco e nero dei ricordi, abbacinanti i nitidi colori del presente, allucinati i cromatismi dei deliri.
Il protagonista, lo straordinario Jeff Goldblum, sa alternare con convincente efficacia momenti di istrionismo dissacrante e crisi di panico e smarrimento, passando da scene di surreale comicità a situazioni di devastante disperazione. Cinico e pietoso nello stesso tempo, impudente e fragile, egotista e compassionevole, lucido nell’ironia, spento e annichilito nell’angoscia.
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manusha
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lunedì 21 marzo 2011
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il dramma della resurrezione
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Il tema marca il ruolo dei due protagonisti principali: Adam e il bambino-cane. Tale rapporto è così determinante che non appena Adam tenta per la prima volta di togliere il collare al fanciullo, lasciando appena intravvedere uno spiraglio di emancipazione, egli stesso smette apparentemente di vivere.
La stessa dinamica si ripete, al contrario, verso la fine del film quando Adam torna a fare il cane ed il fanciullo, già avviato verso l'emancipazione lo chiama da lontano.
Questa teatralità si allarga a tutta la società nei rapporti quotidiani, apparentemente mostruosi, ma a quanto pare, imprescindibili per la "normale" condizione umana. "La sanità mentale è piacevole, è calma, ma non c'è grandiosità, né vera gioia, nè il dolore terribile che dilania il cuore".
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Il tema marca il ruolo dei due protagonisti principali: Adam e il bambino-cane. Tale rapporto è così determinante che non appena Adam tenta per la prima volta di togliere il collare al fanciullo, lasciando appena intravvedere uno spiraglio di emancipazione, egli stesso smette apparentemente di vivere.
La stessa dinamica si ripete, al contrario, verso la fine del film quando Adam torna a fare il cane ed il fanciullo, già avviato verso l'emancipazione lo chiama da lontano.
Questa teatralità si allarga a tutta la società nei rapporti quotidiani, apparentemente mostruosi, ma a quanto pare, imprescindibili per la "normale" condizione umana. "La sanità mentale è piacevole, è calma, ma non c'è grandiosità, né vera gioia, nè il dolore terribile che dilania il cuore".
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molenga
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mercoledì 3 agosto 2011
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eccezionale goldblum
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Cosa non mi è piaciuto di questo film? una scena, quella della festività ebraica all'interno della casa di cura; l'ho messo subito in chiaro perché per il resto ritengo di aver visto il miglior Shrader e un grandioso Goldblum nel ruolo che più di ogni altro esalta le sue naturali virtù: cascamorto, folle, istrione. Elaborare il lutto di noi stessi è complicatissimo, specialmente se questo è composto da un intero popolo che non c'è più, da una koinè distrutta e dagli affetti scomparsi.
Adam è pieno dell'anno che ha trascorso in un campo di concentramento, pieno del ricordo del suo carceriere, klein -un efficacissimo dafoe-, che lo teneva a quattro zampe, pieno della morte dell'amata sposa e della figlia più piccola, che entravano nelle camere a gas mentre lui suonava il violino in fronte a loro, pieno, infine, del rancore della figlia scampata al genocidio, che ritroverà solo morta.
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Cosa non mi è piaciuto di questo film? una scena, quella della festività ebraica all'interno della casa di cura; l'ho messo subito in chiaro perché per il resto ritengo di aver visto il miglior Shrader e un grandioso Goldblum nel ruolo che più di ogni altro esalta le sue naturali virtù: cascamorto, folle, istrione. Elaborare il lutto di noi stessi è complicatissimo, specialmente se questo è composto da un intero popolo che non c'è più, da una koinè distrutta e dagli affetti scomparsi.
Adam è pieno dell'anno che ha trascorso in un campo di concentramento, pieno del ricordo del suo carceriere, klein -un efficacissimo dafoe-, che lo teneva a quattro zampe, pieno della morte dell'amata sposa e della figlia più piccola, che entravano nelle camere a gas mentre lui suonava il violino in fronte a loro, pieno, infine, del rancore della figlia scampata al genocidio, che ritroverà solo morta.
Adam si salva grazie al rapporto con un bambino cresciuto come un cane con tanto di guinzaglio. Una sorpresa per un film per niente pubblicizzato
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flory brown
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sabato 19 ottobre 2013
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la follia che guarisce
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Ho sempre pensato che ne sapessero di più alcuni pazienti di tutti i medici specializzati in malattie mentali, solitamente impegnati a distribuire farmaci e buoni consigli, anziché sguardi amorevoli.
Ho focalizzato la mia attenzione su quest’aspetto del film incoraggiata dalla frase finale di Adam, il geniale protagonista, che della sua dolorosa esperienza ricorda, soprattutto, quanto fosse esaltante la pazzia:
"La sanità mentale è piacevole, è calma, ma non c'è grandiosità, né vera gioia, né il dolore terribile che dilania il cuore."
Chi non ha mai provato a perdere se stesso dopo una vita difficile o un episodio devastante quale è l'olocausto, non comprenderà queste parole, turbato dall'agire di chi non segue regole e rincorre stordimenti per dimenticare o distruggersi l'anima.
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Ho sempre pensato che ne sapessero di più alcuni pazienti di tutti i medici specializzati in malattie mentali, solitamente impegnati a distribuire farmaci e buoni consigli, anziché sguardi amorevoli.
Ho focalizzato la mia attenzione su quest’aspetto del film incoraggiata dalla frase finale di Adam, il geniale protagonista, che della sua dolorosa esperienza ricorda, soprattutto, quanto fosse esaltante la pazzia:
"La sanità mentale è piacevole, è calma, ma non c'è grandiosità, né vera gioia, né il dolore terribile che dilania il cuore."
Chi non ha mai provato a perdere se stesso dopo una vita difficile o un episodio devastante quale è l'olocausto, non comprenderà queste parole, turbato dall'agire di chi non segue regole e rincorre stordimenti per dimenticare o distruggersi l'anima.
Il film non è privo di sequenze più lievi, anzi, credo non sia così pesante da risultare sgradito a chi si definisce ipersensibile.
I temi dell'umiliazione, del senso di colpa, della comprensione di Adam verso il ragazzo "cane", sono trattati con mirabile realismo, senza indugiare sugli aspetti spiacevoli che devono essere raccontati e che commuovono o fanno riflettere.
Jeff Goldblum, il protagonista, finalmente si cimenta in un ruolo intenso, affascinando più raramente con il suo bel sorriso e dimostrando, così, un talento senz'altro accresciuto nel tempo.
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carloalberto
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martedì 5 maggio 2020
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la colpa di esistere
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Il senso di colpa dei sopravvissuti all’olocausto nazista è utilizzato da Paul Schrader come metafora del dramma esistenziale dell’Uomo, nato per privilegio e, sempre, vivo a scapito di qualcun altro. Jeff Goldblum, il prestigiatore circense, è l’uomo nato dal caos cosmico e scagliato da un Dio oscuro e terribile ma privo di fantasia in un mondo governato da uomini nevrotici, come lo spettatore di una delle sue esibizioni, il borghese sull’orlo del suicidio interpretato da Willem Dafoe, che, all’occasione, nel momento storico opportuno, si trasformano in psicotiche belve assassine per sopprimere nell’altro, ridotto a cane, la propria sofferenza.
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Il senso di colpa dei sopravvissuti all’olocausto nazista è utilizzato da Paul Schrader come metafora del dramma esistenziale dell’Uomo, nato per privilegio e, sempre, vivo a scapito di qualcun altro. Jeff Goldblum, il prestigiatore circense, è l’uomo nato dal caos cosmico e scagliato da un Dio oscuro e terribile ma privo di fantasia in un mondo governato da uomini nevrotici, come lo spettatore di una delle sue esibizioni, il borghese sull’orlo del suicidio interpretato da Willem Dafoe, che, all’occasione, nel momento storico opportuno, si trasformano in psicotiche belve assassine per sopprimere nell’altro, ridotto a cane, la propria sofferenza. Ma un’altra liberazione dal dolore di esistere è possibile. La trasformazione in animale, come in un rito sciamanico, disinibisce dalle costrizioni, va oltre le regole, anche quelle sintattiche del linguaggio, ed il ragazzo, che morde e abbaia, inizia a battere sulla macchina da scrivere frasi incomprensibili, iniziatiche per il cammino, attraverso l’abbandono delle convenzioni ed il ritorno alla Natura primordiale, verso l’apprensione di una vita più autenticamente umana. E’ lui l’Adamo, il primo uomo rinato a nuova vita grazie all’amore salvifico del mago. Gli altri rimarranno prigionieri in una casa di cura, che sorge come un’oasi nel deserto, simbolo di discontinuità nel fluire costante della vita e perciò estrema possibilità di redenzione, ma non alla portata di tutti. Per tanti quel soggiorno sarà soltanto un seguito pietoso, senza soluzione di continuità, alla cattività nei lager degli orrori, in una situazione che nella patologia riproduce in modo speculare la condizione permanente dell’umanità nell’alienazione. Il Dio buono, il direttore del manicomio, Derek Jacopi, impotente davanti alla disastrosa opera del suo demiurgo, lascia l’uomo alla cura dell’uomo, convinto delle potenzialità taumaturgiche e rigenerative di questa strana creatura ibrida, l’Artista, perfetto connubio di immane forza creatrice e di pura follia, unica speranza di palingenesi.
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