Roberto Nepoti
La Repubblica
Un giovane monaco arriva in un sinistro monastero e si appresta ad appendere alla parete il suo crocefisso: ma, come stimmate, i buchi fanno colare sangue. Non c'è solo un morto nel muro; sono molte le vittime di omicidi rituali e portano tutte il nome di un apostolo. Il commissario Niemans deve riprendere servizio.
Non più tratto da un romanzo di Grangé, come il prototipo, ma sceneggiato dal produttore e regista Luc Besson, I fiumi di porpora 2 gioca sostanzialmente su una coppia di elementi: da una parte l'iconografia religiosa cara ai film gotici (esoterismo malefico, monaci assassini, crocefissi lugubri che piacerebbero a Mel Gibson; senza dimenticare il "cammeo" di Chistopher Lee, indimenticato Dracula); dall'altra il repertorio del cinema d'azione (gli inseguimenti; i combattimenti; la coppia poliziotto veterano/poliziotto giovane).
Olivier Dahan, che ha preso il posto di Mathieu Kassovitz alla regia, se la cava bene in tutti e due i registri. Da antico allievo dell'Accademia di Belle Arti installa un'atmosfera oppressiva, con scenografie minacciose e colori tenebrosi; quanto all'azione, la rende coinvolgente grazie a una regia nervosa, a un ritmo sostenuto e a un montaggio che ti fa venire il fiato grosso. Jean Reno ci mette la sua naturale autorevolezza, corretta con un pizzico di humour nero. Quel che non va è la sceneggiatura di Besson, che mischia semplicità biblica con simbologie astruse, improbabilità, dialoghi di seconda mano.
Da La Repubblica, 2 aprile 2004,
di Roberto Nepoti,