Roberto Nepoti
La Repubblica
Riuscite a immaginare un soggetto più pericoloso, più fatto a posta perché un regista e un film vadano a sbatterci i denti? A 23 anni, sposata e con due bambini adorabili, Anne apprende di avere un cancro e poche settimane da vivere. Ma ecco che La mia vita senza me, prodotto da Pedro Almodovar e diretto con sensibilità da Isabel Coixet, compie un piccolo prodigio.
Anne decide di tacere ciò che sa a chi le sta intorno e di realizzare, prima di partire dal mondo, una lista di cose importanti: preparare una "vita senza di lei" per coloro che ama (offre al compagno la possibilità di essere felice con un'altra donna, registra cassette per i compleanni delle figlie), regalare a se stessa l'emozione di un ultimo amore con un uomo incontrato per caso.
Anziché tradurre un soggetto potenzialmente così macabro in contabilità dei sentimenti, raccontando gli ultimi giorni di una mamminacoraggio da santino, Coixet sceglie una messa in scena tutta in ritegno, ellittica, largamente venata di malinconia (per il sapere che lo spettatore condivide con la protagonista) ma dove è la vita a vincerla sulla morte.
Anne fa ciò che fa conscia di non avere tempo a disposizione; mai, però, come se fosse l'ultima volta. Intorno a Sarah Polley, perfetta, circola un piccolo mondo di personaggi secondari ben schizzati e interpretati dagli attori giusti. Tra cui molte spettatrici riconosceranno l'emergente sexsymbol Mark Ruffalo, in trasferta dalle torbide atmosfere di In the cut.
Da La Repubblica, 6 febbraio 2004
di Roberto Nepoti, 6 febbraio 2004