La folla si muove. Seguiamo i passi di uomini silenziosi, armati di manganelli, come avevamo seguito, in altre sequenze, il cammino di Valuska e Gyorgy. Queste scene, in cui la macchina da presa in movimento si avvicina ai volti, o da lontano mostra gli spazi attraversati dai protagonisti, così come i campi vuoti, in Tarr non sono mai sospensione della narrazione; non si tratta di pura raffigurazione del tempo, ma di materiale che concorre alla costruzione dell’attesa, delle decisioni, della furia irrazionale. Sono queste frazioni che permettono al film di non diventare una parabola o una considerazione morale, riconducendo ogni volta il piano al mostrare estetico, e riportando l'estetica stessa come scelta etica, rafforzata dalla mancanza di realismo.
La folla irrompe in un ospedale, dove sono le persone indifese e malate, e distrugge uomini e cose. Nell’ultimo quadro della sequenza, un vecchio nudo e magro, secondo l’iconografia dei prigionieri nei campi di concentramento, immobile in piedi in una vasca da bagno, è avvolto in un fascio di luce. Nel 1941 l’Ungheria entrava in guerra al fianco della Germania e dell’Italia, e sarà successivamente invasa dall’Armata Rossa. E infatti, dopo la violenza muta della folla, vedremo Tunde dare indicazioni all’esercito (a un esercito)per l’invasione militare.
Il film si chiude con Valuska, che aveva raffigurato il ritorno della luce dopo l’eclissi, ormai catatonico, la balena impagliata abbandonata al centro della piazza, e la notte e la nebbia ad oscurare tutto.
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