Irene Bignardi
La Repubblica
Otto anni fa, ai tempi del suo primo film Alambrado, si poteva già scommettere sul talento di Marco Bechis. E a otto anni di distanza, dopo un lungo silenzio, Garage Olimpo - emozionante, duro, rigoroso - è arrivato lo scorso maggio nel panorama di Cannes a confermare le qualità di un cineasta molto speciale portandosi dietro tutta la forza di una terribile esperienza collettiva che il film rivisita attraverso una storia individuale. La storia raccontata dal film di Marco Bechis, quella che lui ha vissuto da studente a Buenos Aires e da cui è fortunatamente e fortunosamente uscito, è quella di trentamila ragazzi scomparsi per mano dei militari argentini nei tragici anni dei desaparecidos. Il suo carcere si chiamava Club Atletico anziché Garage Olimpo, il finale, per fortuna, è diverso. Ma che sia una esperienza vera, vissuta in prima persona, lo si sente, nel trattamento semplice, austero, severo della vicenda, scritto da Bechis assieme a Laura Fremder. Anche se, mettendo al centro della vicenda un personaggio femminile e costruendo un singolare rapporto a due, Bechis attiva un meccanismo appena più romanzesco. La bravura di Bechis sta nel condurre il suo Kammerspiel - che si apre nel finale a un'immagine sconvolgente del Rio della Plata - con straordinario pudore, senza mai cedere in rigore ai risvolti romanzeschi di film anche molto belli come La storia ufficiale o La morte e la fanciulla, giocando sulla normalità perversa della situazione, sulla routine della prigionia, sulla impiegatizia, irresponsabile banalità del male, innescando, in questa normalità, un'identificazione che ci costringe a ricordare degli orrori troppo presto messi in un angolo della memoria.
Da La Repubblica, 30 Gennaio 2000
di Irene Bignardi, 30 Gennaio 2000